2024-10-22
Industria in allarme: «Troppa burocrazia rischia di far fallire Transizione 5.0»
Alessandro Spada, presidente di Assolombarda (Imagoeconomica)
Assolombarda chiede l’intervento del governo per snellire la misura parte del Pnrr. Adolfo Urso: «Possibili cambiamenti».È in costante aumento tra i vertici degli industriali l’allarme - lanciato mesi fa su questo giornale - sul rischio di fallimento degli incentivi per gli investimenti «Transizione 5.0». Ieri si sono aggiunte le parole del presidente di Assolombarda Alessandro Spada. Nella sua relazione e in occasione della conferenza stampa nell’ambito dell’assemblea dell’associazione a Milano, Spada non ha usato toni soft e mezze misure per rappresentare il problema, non limitandosi alla pars destruens, ma avanzando concrete proposte per superare lo stallo.Ha dapprima constatato che «la misura Transizione 5.0, arrivata con troppo ritardo, non sta decollando […] secondo Ucimu, finora sono arrivate richieste per soli 70 milioni di crediti d’imposta di cui 45 milioni già fruibili ma siamo ben lontani dai 6,3 miliardi di incentivo. Il motivo lo sappiamo tutti e lo abbiamo detto in molte occasioni: la burocrazia. Tempistiche stringenti non calibrate sulla reale messa a regime degli investimenti, complessità di procedure e vincoli, incertezze tecniche». Con ciò evidenziando che il freno non risiede solo nella mole di adempimenti burocratici necessari. Ci sono anche i tempi incompatibili - investimenti da effettuarsi entro fine 2025 - con l’ordinaria lunghezza del ciclo di ordine, produzione e consegna di beni digitalmente avanzati. Infine pesano le incertezze tecniche, perché dimostrare che, rispetto a una situazione ex ante, l’investimento agevolato potrebbe portare una riduzione dei consumi energetici variabile dal 3% al 15% (col credito d’imposta che sale dal 35% al 45%), è spesso una prova diabolica. Tali e tante sono le variabili che farebbero tremare i polsi a qualsiasi tecnico accreditato incaricato di certificare tale situazione. Con l’aggravante, piuttosto assurda, che se ex post tale risparmio non si realizzasse per qualsivoglia variabile esterna nel frattempo sopravvenuta, si conserverebbe comunque l’agevolazione. Basta rispettare il piano di investimento progettato. Un esito assurdo, se l’obiettivo è quello della transizione energetica. A Spada non sfugge certamente l’origine di tale labirinto, quando ha affermato che «lo sappiamo: sono risorse europee e avete negoziato a lungo con Bruxelles. Ma proprio noi abbiamo dato con Industria 4.0 un esempio virtuoso. Possibile che non si riesca a replicare un modello vincente che ha dimostrato di funzionare così bene al punto che solo noi in Europa abbiamo continuato a investire nonostante la tempesta di crisi degli ultimi anni?». Specificando poi che «va detto che non è responsabilità completa del governo, sono fondi del Pnrr che hanno dei limiti da inserire».Infatti quei 6,3 miliardi di credito di imposta sono stati inseriti nella revisione del Pnrr faticosamente negoziata dal ministro Raffaele Fitto poco più di un anno fa, e sono nati sotto l’insegna dell’affrancamento dalle fonti energetiche di origine fossile, soprattutto fornite dalla Russia. Ecco spiegato il motivo di quei paletti particolarmente stringenti. Di cui però non si può non cogliere l’intrinseca contraddittorietà che sconfina nell’eterogenesi dei fini: si parte per risparmiare energia e si finisce per consumarne di più. Infatti aumentando l’efficienza energetica di un macchinario o di un processo produttivo, è molto probabile che le imprese siano naturalmente inclini ad aumentare la produzione e quindi a consumare almeno la stessa quantità totale di energia. Per non dire della probabile origine di fonte fossile di tale energia aggiuntiva, stante l’impossibilità dell’offerta di energia di fonte rinnovabile di coprire tale domanda aggiuntiva. È come acquistare un’automobile con minori consumi di carburante per chilometro: in genere si tende a usarla di più e la spesa e i consumi totali non diminuiscono. Per Assolombarda non è più il tempo di indugiare e Spada ha chiesto di «costituire subito una task force per gestire con flessibilità le tante domande di chiarimento da parte delle imprese. E di prevedere al più presto una serie di interventi di semplificazione che consentano effettivamente il decollo della misura. Partiamo dal meccanismo di prenotazione dei fondi e dalla individuazione delle finestre di ammissibilità degli investimenti». Spada ha aggiunto che «il rischio è quello di perdere una grande occasione […] Io mi auguro che si riesca a trovare una soluzione. Dovremo vedere come modificarlo per renderlo efficace perché così perderemmo i 6,3 miliardi messi a disposizione e questo sarebbe un peccato per le aziende ma anche per le sfide dell’Ai e dell’innovazione».In questo senso, è stato proprio il ministro delle Imprese e del made in Italy, Adolfo Urso, intervenuto all’assemblea, a fornire un’apertura. Infatti ha dichiarato «Transizione 5.0 si può cambiare? Certo, mi vedrò mercoledì col presidente (di Confindustria, ndr) Orsini per parlare della manovra economica».Un’ulteriore conferma dell’effetto zavorra provocato dalle incertezze e dai ritardi di Transizione 5.0 arriva dal settore bancario, che segnala un ritardo anche degli investimenti, non necessariamente digitali, comunque correlati a quelli digitali. Il danno rischia di essere di portata molto più ampia.A costo di essere ripetitivi, ci pare opportuno ribadire che questa vicenda è il prevedibile esito di aver creduto nella «pioggia di miliardi dall’Europa» (che tale non è, perché si tratta di debito da ripagare) senza porre la dovuta attenzione ai vincoli e alle condizioni, talvolta capestro, che assistevano tali «regali». Ora Urso ed Emanuele Orsini proveranno a sbrogliare la matassa.
Benedetta Scuderi, Annalisa Corrado, Arturo Scotto e Marco Croatti (Ansa)
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