2025-06-19
Assalti cyber prima di quelli «veri». Israele ha riscritto il manuale bellico
Gerusalemme ha operato con un intreccio letale tra informazione digitale, sabotaggio fisico e superiorità tecnologica. L’Iran non ha sfruttato la Rete per proteggersi: l’ha disconnessa. Il divario può solo aumentare.Risinng lion, l’operazione militare israeliana del giugno 2025, non è stata solo un attacco aereo contro le infrastrutture nucleari e missilistiche dell’Iran. È stata un caso esemplare di «guerra ibrida» portata a un nuovo livello: un intreccio letale tra informazione digitale, sabotaggio fisico e superiorità tecnologica. Non una guerra di trincee, ma di codici, droni e infiltrazioni umane. E, soprattutto, una guerra dove Teheran si è trovata a reagire più che ad agire.Quando i primi missili hanno colpito la torre delle telecomunicazioni di Karaj tra il 13 e il 14 giugno, l’Iran era già virtualmente isolato. Radar, reti di comunicazione, linee di comando: tutto era stato compromesso nei giorni e nelle settimane precedenti grazie a una campagna informatica coordinata e invisibile. A orchestrare questo fronte silenzioso è stata l’Unità 8200, branca cyber dell’Idf, in sinergia con l’intelligence umana del Mossad, vero ultimo servizio segreto ed erede dell’intelligence del Novecento.Secondo The Guardian, l’Unità 8200 ha manipolato le reti iraniane con precisione millimetrica: attacchi informatici avanzati hanno neutralizzato temporaneamente i radar, disorientato i sistemi di controllo e addirittura simulato attività militari fittizie per confondere Teheran e deviarne le risorse. È stato il cyberspazio a creare le «finestre operative» per l’attacco cinetico, riducendo il rischio per i jet israeliani. Nessun sistema radar ha potuto avvisare in tempo.«Non è più una contrapposizione tra cyberwar e guerra tradizionale», spiega Pierguido Iezzi, esperto di cybersecurity e direttore cybersecurity di Maticmind «ma un’integrazione tattica e strategica dei due domini. Ogni blackout digitale ha aperto un corridoio aereo, ogni sabotaggio informatico ha moltiplicato l’efficacia degli armamenti di precisione».Ma, mentre i radar venivano accecati da remoto, il Mossad agiva nel cuore del territorio iraniano. Secondo Washington Post e Reuters, agenti sotto copertura hanno infiltrato il Paese nei mesi precedenti, stabilendo basi logistiche clandestine e trasportando, in piccoli lotti, droni «suicidi» e cariche esplosive. Uno degli attacchi più simbolici è partito proprio da dentro il territorio iraniano: droni Shahed, assemblati localmente, sono stati lanciati da una base segreta alla periferia di Teheran e hanno colpito batterie missilistiche e veicoli antiaerei con una precisione devastante.Fonti occidentali parlano anche di sabotaggi manuali: disattivazione fisica di radar, demolizione di infrastrutture e persino eliminazioni mirate di ufficiali coinvolti nel programma missilistico. Un ritorno alla vecchia arte dello spionaggio, ma con strumenti e obiettivi del nuovo millennio.Se l’azione israeliana ha mostrato una perfetta convergenza tra tecnologie digitali e operazioni cinetiche, la risposta iraniana ha messo a nudo limiti strutturali e culturali profondi. Tra il 13 e il 15 giugno gli attacchi informatici partiti dall’Iran sono cresciuti del 700%, secondo le analisi sul campo. Ma si è trattato, in gran parte, di azioni scoordinate da parte di gruppi hacktivisti: defacement di siti, attacchi DDoS, tentativi di rallentamento dei servizi. Pochi effetti reali, molti proclami. Le presunte esfiltrazioni di dati non sono state documentate e i servizi israeliani hanno subito solo ritardi temporanei.«Manca, nel caso iraniano, la capacità di trasformare il dominio cyber in una leva tattica concreta», osserva ancora Iezzi, «Teheran è costretta a concepire la Rete come una minaccia, non come uno strumento. E il risultato è che il primo gesto è sempre lo stesso: spegnere tutto», In effetti, la risposta dell’Iran è stata disconnettersi: chiudere i nodi di rete, ridurre del 50% il traffico Internet, isolarsi per limitare l’esposizione agli attacchi. Ma questa scelta ha avuto un prezzo: l’interruzione delle comunicazioni militari, il blackout dei canali di propaganda online e la sensazione, tra la popolazione, di essere tagliati fuori dal mondo.La differenza non è solo tecnologica. Israele ha costruito nel tempo un ecosistema resiliente: reti segmentate, backup georidondanti, Intelligenza artificiale per rilevare e neutralizzare minacce in tempo reale. L’infrastruttura cyber israeliana è un giubbotto in kevlar, mentre quella iraniana somiglia, per usare l’efficace metafora di Iezzi, «a uno scudo di vetro».Anche la recente paralisi di Bank Sepah è un altro colpo ben assestato al regime iraniano che dimostra quanto la cyberwar sia utilizzata in questo conflitto come elemento di sostegno alle azioni militari nel campo di battaglia. «Il blocco delle attività della banca, infatti, ha molteplici effetti sia dal punto di vista del morale avversario sia dal punto di vista delle sue capacità belliche», aggiunge Iezzi.Inoltre, mentre Israele ha integrato il dominio cyber all’interno di una dottrina militare evoluta, Teheran continua a trattarlo come un campo separato, spesso lasciato nelle mani di gruppi esterni e non allineati. È una asimmetria strategica, più ancora che tecnica.Quello a cui abbiamo assistito è molto più di una campagna militare. È una svolta nella dottrina del conflitto. L’attacco a Karaj , simbolico e strategico al tempo stesso, è l’esempio più chiaro di come il dominio digitale non sia più un terreno di preparazione ma un moltiplicatore operativo che decide la sorte dei conflitti. Il cyberspazio, oggi, è il collante tra la pianificazione e l’azione. «Non è una guerra cibernetica nel senso puro del termine», conclude Iezzi, «ma una nuova grammatica del conflitto: cyber-kinetic convergence». Ogni codice può preparare un’esplosione reale e ogni blackout può valere quanto un colpo d’artiglieria. Israele ha dimostrato che la guerra moderna si vince non solo con i missili, ma con la capacità di farli arrivare dove servono, quando servono, senza essere visti. E questo richiede più della semplice potenza di fuoco: richiede visione, coordinamento e, soprattutto, una comprensione integrata del conflitto nei suoi cinque domini terra, mare, aria, spazio e cyberspazio.L’Iran, per ora, rincorre. A Teheran, piegata dai bombardamenti e decapitata a livello militare, con militari di alto rango eliminati in serie da Israele, serve una strategia. Finché la risposta sarà «spegnere tutto» o saranno solo gruppi di hacktivisti, il divario non potrà che ampliarsi.
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Matteo Bassetti (Imagoeconomica)