Il documento di programmazione prevede 18 miliardi di incassi dalla cessione di quote delle partecipate. Il disavanzo passa da 14 a 15,7 miliardi. Non indicati i fondi per il Ponte, ma c’è un collegato ad hoc. E il rapporto debito/Pil cala rispetto al precedente Def.
Il documento di programmazione prevede 18 miliardi di incassi dalla cessione di quote delle partecipate. Il disavanzo passa da 14 a 15,7 miliardi. Non indicati i fondi per il Ponte, ma c’è un collegato ad hoc. E il rapporto debito/Pil cala rispetto al precedente Def.Finalmente è uscito il testo della Nadef, la nota di aggiornamento al Def ovvero la cornice macroeconomica in cui verrà inserita la manovra di bilancio. A tre giorni dal cdm che l’ha varato è stato pubblicato il documento accompagnato dalla relazione che verrà presentata al Parlamento da Giorgia Meloni e dal ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti. Ebbene, scorrendo le 138 pagine si scopre che il deficit non sarà di 14 miliardi come inizialmente emerso, ma di 15,7 miliardi. «Gli spazi finanziari che si rendono disponibili, quale differenza tra gli andamenti tendenziali e programmatici aggiornati, che includono anche la maggiore spesa per interessi passivi conseguente al maggior disavanzo, sono pari a 3,2 miliardi nel 2023, 15,7 miliardi nel 2024 e 4,6 miliardi nel 2025», cioè in tutto 23,5 miliardi in tre anni, si legge nella relazione al Parlamento sulla Nadef. Gli spazi in deficit per 3,2 miliardi nel 2023 «attraverso un provvedimento d’urgenza, saranno destinate, in particolare, al conguaglio anticipato dell’adeguamento Istat per i trattamenti pensionistici previsto per l’anno 2024, a misure per il personale delle pubbliche amministrazioni e alla gestione dei flussi migratori». Nella premessa al testo della Nadef, il ministro Giorgetti sottolinea che la situazione economica e di finanza pubblica «è più delicata di quanto prefigurato in primavera. In una situazione in cui la finanza pubblica è gravata dall’onere degli incentivi edilizi, dal rialzo dei tassi e dal rallentamento del ciclo economico internazionale, è necessario fare scelte difficili». Per garantire la sostenibilità del debito e «coerentemente con una gestione più dinamica delle partecipazioni pubbliche, il nuovo scenario programmatico prevede proventi da dismissioni pari ad almeno l’1 per cento del Pil» nel 2024-2026, sottolinea il ministro. Ovvero una cifra che viaggia attorno ai 18 miliardi. Si tratterà di «dismissione di partecipazioni societarie pubbliche, rispetto alle quali esistono impegni nei confronti della Commissione europea legati alla disciplina degli aiuti di Stato, oppure la cui quota di possesso del settore pubblico eccede quella necessaria a mantenere un’opportuna coerenza e unitarietà di indirizzo strategico». Tra queste l’uscita dal capitale di Mps, nel rispetto degli accordi presi con Francoforte e Bruxelles ai tempi della ricapitalizzazione precauzionale. Resta da capire quali altre cessioni verranno messe in campo per raggiungere la cifra assai ambiziosa annunciata dal governo che per altro – si legge sempre nel documento - ha «in programma anche di acquisire partecipazioni strategiche in settori chiave per la modernizzazione e digitalizzazione della nostra economia, quali le reti di telecomunicazione, nonché di adottare politiche innovative per lo sviluppo delle infrastrutture». E proprio sul fronte delle infrastrutture nel testo non viene citato esplicitamente il Ponte sullo Stretto ma a completamento della manovra, il governo dichiara quali collegati alla decisione di bilancio una serie di disegni di legge tra cui, le «misure per la realizzazione delle infrastrutture di preminente interesse nazionale e di altri interventi strategici in materia di lavori pubblici nonché per il potenziamento del trasporto e della logistica». In questi giorni il sottosegretario all’Economia, Federico Freni, ha sottolineato che il Ponte «si costruisce con quelle che sono le famose tabelle investimenti e che la legge della contabilità ci vieta di usare i soldi che useremmo per gli investimenti per finanziare la spesa corrente. Vuol dire che i soldi che metteremo sul ponte non li potremmo usare per altro che per investimenti». Come tale, il ponte «prende quindi i soldi da una tabella del bilancio dello Stato diversa».Intanto c’è qualcosa che non torna confrontando i numeri della Nadef e i primi commenti. Parrebbe che il governo sia stato poco deciso nel ridurre il rapporto debito/Pil, destando preoccupazioni tra gli investitori. Ma così non è, numeri alla mano. Facciamo un passo indietro ad aprile 2023, quando il governo Meloni pubblicò il precedente quadro programmatico che a settembre ogni anno viene abitualmente aggiornato. Solo sei mesi fa, il debito/Pil programmatico per 2023, 2024, 2025 era rispettivamente pari a 142,1%, 141,4% e 140,9%. Con la Nadef il nuovo quadro programmatico è diventato 140,2%, 140,1% e 139,9%. Confrontando i livelli, è evidente che il governo abbia ridotto ulteriormente gli obiettivi programmatici di debito/Pil in tutti gli anni. In particolare, 1,9, 1,3 e 1 punto in meno per ciascun anno del triennio considerato. E non si capisce perché, se ad aprile 141,4% del 2024 andava bene, ora, che l’obiettivo è fissato al 140,1%, qualcuno alzi le sopracciglia. È vero che la Nadef presenta un profilo di discesa meno ripido rispetto al Def (solo 0,3 punti dal 2023 al 2025, contro 1,3 punti del Def), ma è il livello che conta ai fini della sostenibilità del debito. Va evidenziato che il nuovo livello indicato dal governo beneficia della revisione al rialzo del Pil (35 miliardi) comunicata dall’Istat il 22 settembre, ma è pesantemente zavorrato dai circa 30 miliardi di ulteriore debito per lo sforamento della previsione del Superbonus. Ciononostante si migliora. Ed è quello che dovrebbe contare per i mercati.
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