2020-01-02
Anziché curarle, il bail in uccide le banche
Per il presidente dell'Abi è uno «spauracchio inefficace» e «contrasta con la Costituzione». Il solo fatto che sia possibile ricorrervi, insieme al «rischio Italia», sfiducia gli investitori e rende più costoso per gli istituti finanziarsi, aumentando l'instabilità del sistema.L'elefante nella stanza del sistema bancario italiano si chiama bail in. Secondo il presidente dell'Associazione bancaria italiana, Antonio Patuelli, il meccanismo di risoluzione delle crisi bancarie voluto dall'Unione europea e in vigore dal 2016 è uno «spauracchio inefficace» e per questo motivo «vale la pena di fare uno sforzo e abolirlo». Parole durissime quelle pronunciate nell'intervista pubblicata dal Sole 24 Ore proprio nell'ultimo giorno dell'anno: «Contrasta anche con la Costituzione della Repubblica italiana, che prevede la tutela del risparmio anche sopra i 100.000 euro». Non è la prima volta che il numero uno delle banche nostrane si scaglia contro il bail in. Lo scorso febbraio, parlando al Corriere, Patuelli aveva detto che è «una norma in desuetudine e come tale va abrogata», mentre nel corso della relazione annuale pronunciata a luglio aveva auspicato un «solido clima di fiducia non più minato da regole inapplicabili», quale per l'appunto il bail in. Ma la personale battaglia di Patuelli aveva avuto inizio già l'8 luglio del 2016, nel corso della relazione annuale dell'Abi: «Il sempre vigente articolo 47 dispone che “la Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l'esercizio del credito". Occorre venga rivista al più presto la normativa sulle risoluzioni e sul bail in innanzitutto per ciò che contrasta con la Costituzione italiana». Concetto ribadito qualche giorno tramite una lettera indirizzata al Sole, nella quale il presidente dell'Abi aggiungeva che «affrontare la problematica sulla non costituzionalità del bail in non è […] solamente importante questione di principio giuridico, ma è fondamentale premessa per una forte ripresa di fiducia nel risparmio». Forse quest'ultimo rilievo potrebbe sembrare secondario, ma il richiamo all'affidabilità è tutt'altro che casuale. Nel sistema bancario, infatti, la fiducia degli investitori rischia di avere ricadute pesanti sul conto economico. Per prima cosa, l'esistenza stessa del nuovo meccanismo di risoluzione ha finito per influenzare il processo con cui le banche si finanziano. Secondo alcuni ricercatori, nel tentativo di rendere più attraenti ai possibili acquirenti gli strumenti soggetti a un eventuale bail in (in particolare titoli subordinati e obbligazioni), le banche hanno dovuto aumentarne i rendimenti, facendo così schizzare verso l'alto i costi della raccolta. C'è poi un aspetto connesso all'andamento della congiuntura. A novembre del 2018, Unicredit ha emesso un bond per 3 miliardi di dollari (circa 2,7 miliardi di euro), a un tasso giudicato «impressionante», e dovuto secondo gli analisti al «rischio Italia» legato all'instabilità politica e ai dubbi sull'effettiva ripresa dell'economia. La vicenda Tercas dimostra poi che la Commissione ha un forte pregiudizio nei confronti dell'intervento tramite strumenti «alternativi», come il Fondo interbancario di tutela dei depositi. Ne sanno qualcosa le quattro banche (Marche, Etruria, Carife e Carichieti) sottoposte a risoluzione verso la fine del 2015 proprio perché il Fondo era stato «azzoppato» qualche mese prima dalla decisione da parte di Bruxelles di considerare aiuto di Stato lo stanziamento a favore della banca teramana. Anche se la decisione è stata poi smentita lo scorso marzo dalla sentenza della Corte di giustizia europea, lo stop ha finito per influenzare le successive crisi, con ripercussioni drammatiche per migliaia di risparmiatori. Sull'esito del tribunale Ue pende anche un ricorso, e fonti vicine al commissario alla Concorrenza, Margrethe Vestager, riferiscono alla Verità che a Bruxelles sono fiduciosi sul fatto che, alla fine, la Corte finirà per tornare sui suoi passi.Quella di Antonio Patuelli non è, per usare un'espressione biblica, la voce di uno che grida nel deserto. Nel luglio del 2016, il professor Lorenzo Cuocolo (ordinario di Diritto all'Università di Genova e alla Bocconi), in un articolo pubblicato per lavoce.info contestò al bail almeno cinque profili di incostituzionalità. Preoccupazioni analoghe sono state espresse anche da Claudio De Rose, magistrato della Corte dei conti. Secondo quanto affermato lo scorso marzo dal capo della Vigilanza di Banca d'Italia, Carmelo Barbagallo, l'approvazione della normativa sul bail in «è stata affrettata» e «rischia di minare la fiducia nelle banche e generare instabilità». Spulciando i resoconti del tempo, si scopre che la discussione parlamentare è durata appena due sedute ai primi di luglio del 2015. Sono le drammatiche settimane della crisi greca, e la norma sul bail è inserita nella legge di delegazione europea all'interno di un testo definito «blindato» per scongiurare eventuali procedure di infrazione. Caduti nel vuoto gli emendamenti per escludere i correntisti dal meccanismo di risoluzione. Per la cronaca, il provvedimento passa con i voti del Pd, mentre si esprimono contro Fratelli d'Italia, Lega, Forza Italia e Movimento 5 stelle. Forse oggi, dopo quattro anni dalla sua entrata in vigore, è arrivato il momento di rimettere mano a quella legge capestro.