2024-11-21
«La maggioranza? Non va bene per decidere»
L'Università di Salerno, sede del congresso dei Costituzionalisti. Nel riquadro, Anna Mastromarino
Al congresso dell’Associazione dei costituzionalisti, la docente (già candidata col Pd) Anna Mastromarino teorizza la bontà della «cancel culture» e la necessità di superare sia lo Stato-nazione sia il consenso come legittimazione delle scelte politiche.L’Associazione italiana dei costituzionalisti è uno dei centri di dibattito e dialogo più interessanti nel panorama giuridico italiano. Più volte La Verità si è occupata di spunti, idee e confronti ospitati dalla rivista, dal sito o dai convegni. Annualmente, infatti, l’Aic organizza un appuntamento, giunto lo scorso weekend alla 39esima edizione in quel di Salerno. Alla presenza del governatore Vincenzo De Luca, venerdì e sabato si sono svolti presso l’Università del capoluogo di provincia campano i lavori dedicati al cruciale tema della libertà di manifestazione del pensiero. Tra le relazioni, come sempre di alto livello, merita cenno quella della professoressa Anna Mastromarino dell’Università di Torino, la cui stesura «provvisoria» si può leggere al sito dell’Aic (link: shorturl.at/GVrNw). Il testo è di straordinario interesse per comprendere i fondamenti di pensiero culturali e politici di una certa interpretazione del «costituzionalismo democratico», che assegna cioè al diritto e alla giurisprudenza un compito decisamente attivo di cambiamento della società, se necessario in contrasto con la rappresentanza politica. In lieve eccentricità rispetto al tema generale, la relazione si intitola «Formazioni culturali e conflitti identitari. Oltre l’accomodamento per esercitare il pensiero complesso». La Mastromarino parte da una disamina sulla crisi delle democrazie liberali, anchilosate nella capacità di adattamento a quella che chiama «super-diversità», ovvero la forte pressione esercitata dalla crescente varietà di identità presenti nel nostro tessuto sociale.La docente affronta il perimetro della libertà d’espressione del fenomeno della cosiddetta cancel culture, su cui matura un giudizio tutt’altro che negativo: la «cultura della cancellazione», dice, «si concreta in atti di ostracismo, annullamento, boicottaggio che, nei modi più svariati, investono diverse espressioni culturali, materiali o immateriali, facendo perno su atti di intolleranza e vergogna pubblica volti a colpire, al contempo, l’oggetto e l’autore (o i suoi eredi morali), ritenuti responsabili di alimentare nel tempo narrazioni dense di ingiustizia e prevaricazione». Ci si trova davanti, prosegue, a «un vero e proprio esercizio di manifestazione del pensiero [...] Ritengo, infatti, che gli atti di “bonifica” dello spazio pubblico cui assistiamo sono al contempo da una parte il felice risultato di processi costituzionali che hanno saputo educare alla consapevolezza del valore della dignità umana [...]; dall’altra, il più acuto sintomo di quel malessere profondo cui sono relegati gli ultimi tra gli ultimi, gli eterni esclusi». Eventuali violazioni del codice penale non paiono qui meritevoli di riflessione, perché «i movimenti che hanno portato sinora avanti rivendicazioni di “cancellazione”, attraverso atti di censura, abbattimento, imbrattamento, gogna pubblica non vedono affatto negli oggetti contro cui scagliano la loro furia il fine ultimo del loro agire: non intendono sovvertire la storia, annullare la memoria, neutralizzare la cultura, come è stato detto dai loro oppositori. Essi, semmai, intendono colpire l’assetto di poteri che da secoli li tiene schiacciati in condizione di subalternità economica, sociale e culturale. Per farlo colpiscono quegli oggetti esemplari che sono simbolo e rappresentazione di quell’assetto». Non solo: «Il grado di elaborazione proattiva raggiunto dalla cultura democratica di una comunità» si misura «nella capacità di bonificare i luoghi e di risemantizzare il dolore patito in opportunità per il presente, trasformando spazi che sono stati scene di violenza, traumi, ingiustizia in luoghi di commemorazione di valori come la pace, la dignità e la giustizia».Se quindi abbattere una statua, o togliere autori dall’insegnamento universitario, o compiere altre «bonifiche» è indice di maturità democratica, ecco che anche per i giuristi si impone un compito all’altezza di tale rivoluzione: «Assumere la consapevolezza che, per quanto vischiosi, certi automatismi del pensiero e dunque alcuni “dati per scontato” non solo possono essere disarticolati solo attraverso il diritto, ma devono essere sottoposti a uno sbullonamento [sic, ndr] in quanto alla base di dinamiche di potere che nei secoli hanno prodotto ingiustizie sociali e disparità di trattamento».Una vera chiamata alle armi che chiede ai custodi del diritto un passo in avanti. La Mastromarino prosegue nelle sue 33 pagine di riflessione invitando a ragionare sui mutamenti sociali in termini di legittimità e non solo di legalità. Si colgono echi di Carl Schmitt, che portano però conclusioni leggermente diverse: «I conflitti identitari che attraversano le liberaldemocrazie oggi non sono effetto di un disordine sociale che deve essere neutralizzato, bensì manifestazione di pluralismo che deve essere gestito. Ma ciò non è possibile se restiamo vincolati al paradigma dello Stato nazione». E qui ci avviciniamo al cuore della questione: il «costituzionalismo democratico» senza Stato e senza maggioranza, un casino dove comanda chi si autodefinisce nel giusto. Prosegue la Mastromarino: «Non vi è chi non veda che il principio di maggioranza, pur mitigato da correttivi a tutela delle minoranze, non costituisce più un quadro appropriato per formare la decisione pubblica, dal momento che non fa altro che reiterare processi di dominazione utili a consolidare strategie coloniali e di patriarcato».Sembra di notare una certa confusione tra «maggioranza» intesa come consenso politico (e dunque «minoranza» intesa come opposizione) e «minoranza» come gruppo identificabile per ragioni etniche, sociali, economiche, religiose. In democrazia, nulla impedisce a «minoranze» nel secondo significato di incidere sostenendo una «maggioranza» in senso politico. In ogni caso, se non usiamo il principio di maggioranza per «formare la decisione pubblica», che alternative restano? Proporre «un concetto di cittadinanza relazionale che alle tensioni maggioranza-minoranza non risponde con la forza dei numeri, della tradizione, dell’appartenenza nazionale, bensì con le procedure della democrazia in pubblico e della costruzione del consenso attraverso processi di legittimazione del potere e, inevitabilmente con un ripensamento delle regole per l’ottenimento della cittadinanza e dei conseguenti diritti politici». Ius soli, e via?Si farebbe un torto al lettore omettendo che Anna Mastromarino è stata candidata alla elezioni europee del 2019 con il Pd (11.588 preferenze in Circoscrizione 1, non eletta) e alle Comunali di Torino nel 2021 sempre col Pd (78 preferenze, non eletta), non sappiamo se per «sbullonare» automatismi di pensiero o se per superare il principio di maggioranza. Ma la relazione presentata a Salerno è indicativa di un pensiero che evidentemente anima una parte non irrilevante della cultura giuridica e politica in Italia: quella per cui chi è in grado di capire quale sia la «vera» applicazione dei principi costituzionali possa fare a meno della fatica delle procedure democratiche. Ovviamente un dibattito deve ospitare anche le tesi più radicali, specie in un consesso accademico, in grado di suscitare provocazioni e quesiti: la libertà di pensiero cui era dedicato il congresso è anzitutto questo. Di tale libertà profitta persino il cronista, che sussurra una domanda: ma quelli che impongono leggi e idee senza farsi eleggere e senza la maggioranza, come si chiamano?
Pedro Sánchez (Getty Images)
Alpini e Legionari francesi si addestrano all'uso di un drone (Esercito Italiano)
Oltre 100 militari si sono addestrati per 72 ore continuative nell'area montana compresa tra Artesina, Prato Nevoso e Frabosa, nel Cuneese.
Obiettivo dell'esercitazione l'accrescimento della capacità di operare congiuntamente e di svolgere attività tattiche specifiche dell'arma Genio in ambiente montano e in contesto di combattimento.
In particolare, i guastatori alpini del 32° e i genieri della Legione hanno operato per tre giorni in quota, sul filo dei 2000 metri, a temperature sotto lo zero termico, mettendo alla prova le proprie capacità di vivere, muoversi e combattere in montagna.
La «Joint Sapper» ha dato la possibilità ai militari italiani e francesi di condividere tecniche, tattiche e procedure, incrementando il livello di interoperabilità nel quadro della cooperazione internazionale, nella quale si inserisce la brigata da montagna italo-francese designata con l'acronimo inglese NSBNBC (Not Standing Bi-National Brigade Command).
La NSBNBC è un'unità multinazionale, non permanente ma subito impiegabile, basata sulla Brigata alpina Taurinense e sulla 27^ Brigata di fanteria da montagna francese, le cui componenti dell'arma Genio sono rispettivamente costituite dal 32° Reggimento di Fossano e dal 2° Régiment étranger du Génie.
È uno strumento flessibile, mobile, modulare ed espandibile, che può svolgere missioni in ambito Nazioni Unite, NATO e Unione Europea, potendo costituire anche la forza di schieramento iniziale di un contingente più ampio.
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