2025-01-01
Ankara preoccupa Mosca nel Caucaso meridionale
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Recep Tayyip Erdogan (Ansa)
Vladimir Putin si è scusato con l’Azerbaigian, definendo un «tragico incidente» il recente schianto dell’aereo della Azerbaijan Airlines, abbattuto dai sistemi di difesa aerea russi. Ma i rapporti tra Baku e Mosca potrebbero farsi sempre più problematici. E non è detto che la Turchia non ne stia già abilmente approfittando. Innanzitutto non dobbiamo dimenticare che Russia e Azerbaigian si sono trovati su fronti opposti in riferimento al conflitto del Nagorno-Karabakh. Lo scorso agosto, Putin si era recato a Baku per incontrare l’omologo azero Ilham Aliyev. Nell’occasione, lo zar si era proposto come mediatore tra l’Azerbaigian e l’Armenia. “È ampiamente noto che anche la Russia sta affrontando delle crisi, prima di tutto sul binario ucraino”, aveva affermato, per poi aggiungere: “Tuttavia, il coinvolgimento storico della Russia negli eventi nel Caucaso meridionale, anche negli ultimi anni, rende necessario per noi partecipare laddove ritenuto necessario dalle parti, senza dubbio”.Il punto è che, anche a causa della crisi ucraina, Mosca ha perso notevolmente influenza nell’area. Non solo Baku è storicamente spalleggiata da Ankara ma la stessa Armenia si è recentemente avvicinata agli Stati Uniti, raffreddando i rapporti con il Cremlino. La visita di Putin in Azerbaigian era quindi finalizzata a cercare di rilanciare la claudicante influenza russa sulla regione. Ma adesso, per lo zar, la situazione rischia di complicarsi ulteriormente. E questo per due ragioni.In primis, come abbiamo visto, c’è stato l’«incidente» aereo dello scorso 25 dicembre. In secondo luogo, non dobbiamo trascurare la crisi siriana. L’offensiva che ha portato alla caduta di Bashar al Assad è stata in gran parte spalleggiata dalla Turchia, che è adesso diventata il principale attore geopolitico nello scacchiere siriano. Tutto questo a netto discapito di Mosca che del regime baathista di Damasco era uno dei principali alleati. Va da sé come questa situazione favorisca indirettamente Ankara anche nel Caucaso meridionale. Sarà un caso, ma, il 24 dicembre scorso, Aliyev ha avuto un colloquio telefonico con Recep Tayyip Erdogan. «Dopo il crollo del regime di Assad in Siria, sono stati calorosamente riconosciuti i progressi verso un cambiamento positivo», recita una nota del governo azero a seguito della telefonata. Non è quindi affatto escluso che, dopo aver drasticamente ridotto l’influenza della Russia in Siria, il sultano punti a fare altrettanto nel Caucaso meridionale. E chissà che prima o poi Erdogan non cerchi di tirare allo zar qualche scherzo in Libia. Dopo il crollo di Assad, la strategia del presidente turco è quella di insidiare l’influenza del Cremlino in tutte le aree in cui da anni coopera de facto con Ankara. Un obiettivo machiavellico che Erdogan, almeno per il momento, sembra stia riuscendo a conseguire.
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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