2020-07-25
Anche lo studio degli euroentusiasti dimostra che il Recovery ci penalizza
Un documento del think tank belga Bruegel spiega come il nuovo accordo ci danneggi: nel 2023, il ricalcolo dei sussidi favorirà Germania e Francia. L'Italia, rispetto alla prima bozza, avrà un miliardo in meno.A proposito di sussidi e prestiti che arriveranno all'Italia con il Recovery fund, sono bastati pochi giorni per far cambiare il modo verbale da indicativo a condizionale. Il titolo della tabella del Corriere della Sera («Le stime di Palazzo Chigi»), era ieri prudentemente accompagnato da un «così dovrebbero essere suddivisi gli aiuti». Dopo ben quattro giorni durante i quali su queste colonne, con Fabio Dragoni, ci siamo sforzati di far capire ai nostri lettori le mille incognite, sia finanziarie che giuridiche, che si annidano dentro le 67 pagine vergate dai leader europei all'alba del 21 luglio, le nostre perplessità cominciano ad essere timidamente condivise. A sostegno delle nostre affermazioni portiamo studi ed economisti che non possono certo essere tacciati di euroscetticismo o di disfattismo di sorta. In questo caso ci soccorre il lavoro dell'economista Szolt Darvas, pubblicato il 23 luglio dal prestigioso think tank belga Bruegel, un sancta sanctorum degli economisti mainstream, il cui nome è frutto di un'idea di Mario Monti. L'economista ungherese già lo scorso 17 giugno aveva analizzato la proposta della Commissione del 27 maggio, giungendo ad attribuire all'Italia sussidi per 85,9 miliardi. Nello studio del 23, dall'eloquente titolo «Mangiare la torta, ma tagliarla in modo diverso», Darvas si concentra sulla variazione intervenuta nel paniere dei sussidi, scesi da 500 a 390 miliardi, dopo il Consiglio del 21. Il confronto tra le due situazioni è ricco di sorprese. Infatti i punti A15 ed A16 di quell'accordo politico sono intervenuti a cambiare la ripartizione dei sussidi stessi, stabilendo che il 70% del Recovery resilience fund (il cui importo totale è pari a 312,5 miliardi) dovrà essere impegnato nel 2021-2022 in base ai criteri già proposti dalla Commissione. Il restante 30% dovrà essere impegnato nel 2023 e ripartito sostituendo uno dei precedenti criteri (il tasso di disoccupazione) con una media della perdita di Pil registrata nel 2020 e nel 2020-2021. Ma questo lo sapremo solo a metà 2022. Oggi possiamo solo tentare delle stime. Accade però che, mentre il tasso di disoccupazione è espresso in percentuale e quindi prescinde dalle dimensioni dello Stato, la perdita del Pil è un valore che dipende invece molto dalla dimensione. Più grande è lo Stato, maggiore è la perdita di Pil in valore assoluto. Tenendo come riferimento il Pil previsto dalla Commissione, Darvas ha calcolato che i nuovi criteri toglieranno molto ai Paesi più piccoli (Polonia, Grecia, Romania) e daranno molto ai Paesi più grandi cioè Germania (+14 miliardi!) e Francia (+7 miliardi), ma, incredibilmente, sottrarranno all'Italia circa 1 miliardo e ben 9 miliardi alla Spagna. C'è da sospettare che la Germania abbia voluto aumentare il sostegno alla sua transizione ecologica già pronta. Si potrà molto discutere di queste stime, ma il nostro punto è che, fino a quando non sarà presentato il Recovery plan e non saranno adottati e finanziati i progetti, qualsiasi numero sui sussidi spettanti all'Italia sarà frutto di una mera stima e congettura, e come tale dovrà essere presentato. Ma vi è di più. Secondo Darvas, i 500 miliardi di sussidi proposti dalla Commissione comprendevano anche ben 18 miliardi di garanzie a favore dell'Italia, ridottisi drasticamente a soli due. Riguardo ai presunti 127 miliardi di prestiti, la tabella del Corriere della Sera è basata sul presupposto che ben 10 Stati su 27 non li richiedano, e che quindi gli altri 17 si dividano 360 miliardi, con l'Italia a fare la parte del leone. Ci appare una eccessiva professione di ottimismo, soprattutto considerando la difficoltà dell'Italia nello spendere i circa 10 miliardi che mediamente ogni anno la Ue ci restituisce, prelevandoli dai nostri contributi. All'improvviso dovremmo essere capaci di spenderne poco più di 80 in 3 anni, oltre a 120 miliardi di prestiti? Il collo di bottiglia delle «raccomandazioni Paese» e del vincolo di destinazione della spesa (30% per affrontare il cambiamento climatico) appare decisivo.Un altro aspetto che mina alle fondamenta il trionfalismo di questi giorni è il criterio, tuttora indeterminato, secondo cui nel bilancio Ue saranno coperti quei sussidi. L'unico dato certo è che essi saranno coperti da imposte su imprese e cittadini europei a partire dal 2026 e fino al 2058. Come tali imposte saranno distribuite tra i contribuenti dei diversi Stati sarà la chiave di volta per capire chi riceverà un reale impulso alla crescita e chi continuerà a stagnare. Quale sarà l'impatto sull'Italia? Il concreto effetto recessivo del rispetto delle raccomandazioni Paese (Patto di stabilità incluso) è forse l'aspetto più sottovalutato per il nostro Paese. Su questo registriamo l'ammissione del Commissario Ue Paolo Gentiloni, il cui «non possiamo sbagliare i tempi di riattivazione del Patto, non possiamo rischiare una doppia recessione», appare una voce dal sen fuggita che però ci rivela la pericolosità delle stringenti condizioni a cui saremo sottoposti. Potremo intestare il conto della recessione indotta da tali condizioni a chi ci ha infilato in questo ginepraio?Un altro argomento che non regge è quello che le somme provenienti da Bruxelles alleggeriranno la pressione sull'emissione di titoli pubblici. Non sarà così, per il semplice motivo che quelle somme sono destinate a finanziare fabbisogni aggiuntivi rispetto a quelli attualmente previsti. Il transito verso fonti di energia come l'idrogeno o il trattamento dei rifiuti sono capitoli di spesa oggi non previsti.Probabilmente, tra qualche anno, o anche prima, rideremo amaramente nel rivedere quella prima pagina di un giornale che raffigurava il presidente Conte, novello Signor Bonaventura, tornare da Bruxelles con un assegno da 209 miliardi sotto braccio.