2023-11-26
Anche il Tar fa a brandelli Speranza: per colpa sua c’è un buco di 3,6 miliardi
La corte amministrativa: sono illegittimi i 3,6 miliardi chiesti nel 2022 alle aziende per i dispositivi sanitari già consegnati. Resta il buco da saldare nel bilancio pubblico.Il giudizio finale su Roberto Speranza ci penserà la storia e emetterlo. Dirà che è stato l’uomo sbagliato al momento giusto. Il Covid e il lockdown hanno elevato l’ideologia malsana al massimo del potere con tanto di ciliegine sulla torta. Dpcm, mascherine, business con la Cina, imposizioni ai cittadini, green pass, spese fuori controllo. E, a chiudere il periodo drammatico, l’idea di far pagare i buchi di bilancio alle aziende private che hanno la sola colpa di lavorare per lo Stato. Così ad agosto del 2022, poco più di un anno fa, il ministero della Salute, guidato all’epoca proprio da Speranza infila nel decreto Aiuti bis un articolo che in un sol colpo rappresenta un esproprio da 3,6 miliardi e di fatto un taglio secco al welfare. La scelta di applicare un «payback» alle aziende che forniscono ospedali e Asl dei dispositivi sanitari è una tassa vera e propria. In pratica, con la scusa di dover fornire decreti attuativi a una legge del 2015, si decide di imporre ai fornitori della Pa di concorrere a ritroso alle inefficienze dello Stato o delle Regioni. «Pandemia, guerra, crisi energetica e delle materie prime stanno lasciando il nostro comparto in forte sofferenza», commentava nel settembre 2022 Confindustria dispositivi medici quando La Verità lanciò la prima denuncia del misfatto. «A questi vanno purtroppo aggiunti sistemi di tassazione specifici per il settore, come il payback contenuto nell’Aiuti bis, che dovrebbe appunto aiutare le imprese e non metterle in difficoltà. Si tratta di un provvedimento», proseguiva l’associazione di categoria, «che grava sulle imprese in un momento già drammatico per la nostra economia. Non si può pensare che ci sono delle gare in cui vengono definiti prezzi e quantità e poi dopo anni viene richiesta una contribuzione del 50% dello sforamento della spesa regionale, di cui le aziende non hanno responsabilità». Il comparto ha effettivamente dimostrato, durante la pandemia, di essere fondamentale e poi viene trattato come un cencio sporco da abbandonare. «Non dobbiamo dimenticare che produciamo salute e non possiamo permetterci di interrompere un pubblico servizio con il rischio di lasciare le strutture sanitarie senza gli strumenti per curare i cittadini», chiudeva Confindustria. I cui iscritti non hanno accettato di passare da «eroi delle corsie» a bancomat da spremere nel silenzio dell’opinione pubblica. Perché, a parte rare eccezioni, al tema si è appassionata solo La Verità tanto da seguire passo passo gli eventi successivi. A ottobre scorso alcune delle società del settore prendono carta e penna e si rivolgono al Tar per denunciare l’incostituzionalità del blitz di Speranza. Nel frattempo cambia governo. Palazzo Chigi mette qualche toppa, prima in manovra e poi in un decreto primaverile con lo stanziamento di fondi per un piccolo parziale ristoro. Senza però dare una risposta definitiva. Venerdì sera arriva la prima risposta e la batosta per il governo dei «competenti». Così, in attesa del giudizio della storia su Speranza, ci accontentiamo di quello del Tar. I giudici del Lazio hanno redatto un’ordinanza che non lascia spazio a dubbi. Fanno a pezzi l’operato del ministero guidato dal dalemiano ex di Articolo 1 e criticano pesantemente l’avallo del Mef e delle Regioni. Il Tar del Lazio ha così accolto il ricorso di Diasorin spa che chiedeva «l’annullamento previa sospensiva» del decreto del ministero della salute del luglio 2022 e del successivo dell’ottobre 2022 (pochi giorni prima che Speranza lasciasse), della circolare del dicastero del settembre 2022 e dell’accordo firmato con le Regioni praticamente contemporaneo. Una lunga sfilza di interventi sintetizzati così. «Nel caso in esame, invece, il legislatore non ha individuato alcuna finalità precisa che legittima la disposizione impugnata se non quella di ripianare il disavanzo sanitario». Non solo. «Nella vicenda di cui trattasi, si dubita del contrasto della disposizione normativa in questione con l’articolo 41 della Costituzione, ritenendosi che sia stato delineato un sistema nel suo complesso irragionevole». Per i giudici, lo Stato prima ha dunque sbagliato a fare i conti e poi ha ribaltato senza alcun criterio e senza il rispetto della libertà imprenditoriale i propri errori su chi produce ricchezza. Mettendolo, aggiungiamo noi, in serio repentaglio. Risultato e con effetto immediato gli interventi di Speranza sono azzerati. Resta però il buco di bilancio, quei 3,6 miliardi spalmati su quattro anni. Di cui due miliardi usati per coprire la legge finanziaria 2023. Che succederà adesso non è semplice da capire. Intanto, il Tar ha mandato tutti gli atti alla Corte costituzionale perché anch’essa valuti l’operato di Speranza e come abbia stravolto il sistema del payback. Di certo quei soldi finiranno comunque nella fiscalità generale. E quindi pagheremo tutti. Quando pagherà Speranza? Questo è un interrogativo diverso. Secondo noi, colpevoli sono tutti coloro che non hanno fermato prima l’ideologia al potere. Quel senso di superiorità che pervade la sinistra con una devianza di fondo. Gli amici di Speranza non riescono a comprendere che governo e Stato sono due cose diverse. E quando le si fonde si abusa dei cittadini.
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