2019-09-14
Anche dopo il crollo del Morandi continuavano a falsificare i report
Arresti e misure interdittive per nove manager e tecnici di Autostrade per l'Italia e Spea che taroccavano le carte sui controlli di ponti e viadotti. Per il gip «minavano gravemente la sicurezza degli utenti stradali».Il 4 dicembre 2018 uno dei vertici di Spea, società operativa di Autostrade per l'Italia, riceve una preoccupante segnalazione da un tecnico: c'è una perdita di precompressione su un ponte. La risposta è disarmante: «L'importante è che sulle carte che abbiamo siamo a posto». Poco dopo su quel tratto stradale malandato passa un carico speciale. Ed è solo uno degli episodi ricostruiti dagli investigatori che ieri mattina hanno svelato i giochetti che avvenivano negli uffici di Spea e di Autostrade per l'Italia per taroccare le carte nonostante il peso della tragedia del 14 agosto 2018, giorno in cui crollò il ponte Morandi portandosi dietro la vita di 43 persone. Tre tecnici di Aspi sono stati privati della libertà dalla Guardia di finanza su ordine del gip del Tribunale genovese Angela Nutini che ha accolto le richieste del pubblico ministero Walter Cotugno. Altre sei persone, tra tecnici e funzionari di Spea e di Aspi, sono state interdette. E ci sono ulteriori sei indagati a piede libero. È il secondo filone d'indagine, quello sulle anomalie nei controlli anche su altre infrastrutture di Autostrade. Manomissioni negli atti sono state riscontrate dagli investigatori per il viadotto Pecetti sull'A26, in Liguria, e per il ponte Paolillo sulla A16, che collega Napoli a Canosa di Puglia. Il cda di Autostrade ha deliberato l'avvio immediato di un audit sui fatti emersi.È dalle intercettazioni telefoniche degli addetti che si occupavano del tronco autostradale pugliese che è emerso il trucchetto: «La stesura di una relazione di Spea», annota il gip, «a seguito di pressioni esercitate», in particolare dal capo della Direzione di quel tronco, è risultata «volutamente omissiva dell'indicazione dell'incongruenza rilevata tra il progetto e l'opera costruita». Il telefono bollente era quello dell'ingegnere strutturale di Spea Andrea Indovino (interdetto dal gip). Dalle telefonate con il tecnico Angelandrea Salcuni (interdetto anche lui), della società alla quale Spea si affida per le relazioni, è emerso che i due avevano steso i propri elaborati in modo da non fare emergere le criticità. A dare loro quelle indicazioni, secondo l'accusa, fu una catena di comando composta da Gaetano Di Mundo (Ufficio di sorveglianza di Spea) e da Luigi Vastola (responsabile operativo di Aspi). Anche per loro il gip ha disposto la sospensione dalle attività professionali. Ma, soprattutto, il gip ritiene che ci siano state pressioni da Gianni Marrone (finito ai domiciliari), il direttore del tronco. Il tutto con la supervisione degli altri due indagati finiti ai domiciliari: il direttore tecnico di Spea Massimiliano Giacobbi e il progettista specialistico e capo della Direzione opere d'arte di Spea Lucio Ferretti Torricelli.Ben 22 annotazioni della Guardia di finanza costituiscono le pietre angolari sulle quali poggia l'inchiesta. E già a settembre 2018, con le salme di Genova appena sepolte, erano emerse, prima in termini dubitativi, poi con certezza, «le difformità», scrive il gip, «tra il ponte progettato e quello costruito». Stando alla normativa, correva l'obbligo di eseguire verifiche specifiche. E invece, «su pressioni di Aspi», sottolinea il gip, gli indagati, prima di incontrare l'ispettore del ministero dei Trasporti, sostituiscono la relazione che indicava le criticità con una «nella quale», è scritto nell'ordinanza, «si ometteva ogni riferimento alla difformità». «È una scelta politica», dice Indovino. In questo caso, oltre a Marrone, le pressioni per alterare i documenti sono arrivate anche da Francesco D'Antona dell'Ufficio sorveglianza di Spea (interdetto dal gip), da Di Mundo e Vastola. E allora Indovino, con l'ausilio del consulente esterno Salcuni, e d'accordo con i suoi superiori Giacobbi e Ferretti, avrebbe elaborato una versione aggiornata del report. Per ponte Pecetti, invece, è stato il direttore dell'Ufficio collaudi e controlli non distruttivi Maurizio Ceneri (colpito da interdizione), secondo l'accusa, a truccare la relazione che un suo sottoposto gli aveva inviato, indicandogli la rottura di uno dei cavi centrali. Quella relazione (definita nelle telefonate «carta per il formaggio») è stata usata per consentire il transito di un trasporto eccezionale da 141 tonnellate. Autostrade per l'Italia ribadisce la sicurezza dei viadotti: Paolillo, «completamente ristrutturato», e Pecetti, «totalmente ristrutturato e oggetto di ripetute verifiche». Nonostante le rassicurazioni, però, il titolo di Atlantia (holding che controlla Aspi e Spea) è crollato in Borsa. Le parole del gip, d'altra parte, pesano come macigni: «Le condotte degli indagati sono gravemente minatorie della sicurezza degli utenti della strada». Alcuni di loro, durante le fasi dell'inchiesta, avrebbero usato uno jammer, il disturbatore di frequenze dei cellulari, sperando di evitare le intercettazioni. In particolare, scrive il gip, Lucio Torricelli Ferretti, «è tra i soggetti attivi nell'attività di inquinamento probatorio». Ed è emersa anche l'intenzione di influenzare i testimoni: «Il problema è che dovremmo capire chi chiamano. E ci si prepara». «Ferretti», prosegue il giudice, «nonostante il proprio ruolo apicale, ha concorso a tenere all'oscuro il Mit del reale stato del viadotto Pecetti e deve ritenersi che, ripresentandosi l'occasione, non esiterebbe a reiterare condotte delittuose, soprattutto per la distorta filosofia di fondo che muove l'indagato nel proprio lavoro, che non è quella di garantire la sicurezza degli utenti della strada, bensì di razionalizzare le carte che ha in mano».