Il settore è in sofferenza, però potrebbe riprendere a dare non poche soddisfazioni. Alcuni titoli ben scelti hanno offerto buoni rendimenti, e possono continuare a farlo . Non soltanto con le azioni dei colossi.
Il settore è in sofferenza, però potrebbe riprendere a dare non poche soddisfazioni. Alcuni titoli ben scelti hanno offerto buoni rendimenti, e possono continuare a farlo . Non soltanto con le azioni dei colossi.Il mondo delle quattro ruote soffre in Borsa, ma potrebbe riprendere a dare non poche soddisfazioni ai risparmiatori. I motivi di questa situazione sono chiari: da un lato c'è la crisi che non permette di comprare automobili troppo spesso, dall'altro c'è l'ostracismo che molti governi stanno portando avanti verso i motori a benzina e, soprattutto a gasolio. Detto questo, alcuni titoli ben scelti hanno saputo offrire grandi soddisfazioni e altrettante ne offriranno. «A livello globale il settore delle quattro ruote sta presentando negli ultimi anni risultati generalmente poco edificanti, molto negativi negli ultimi 24 e 12 mesi accompagnati da recuperi in questo inizio d'anno, ma non particolarmente competitivi rispetto agli andamenti più che positivi degli altri comparti», spiega Alessandro Allegri, amministratore delegato di Ambrosetti Am Sim. «Confrontandone, infatti, le dinamiche con quelle dei maggiori macrosettori si nota come negli ultimi semestri l'automotive risulti essere complessivamente fra i settori più deboli, sebbene i rendimenti cambino anche significativamente sia sotto il punto di vista geografico che valutando le divergenze fra le varie aziende».Il vero problema è che il settore delle quattro ruote sta attraversando un momento di grande cambiamento in cui i vecchi motori termici verranno via via sostituiti da quelli elettrici che, però, ad oggi risultano ancora costosi e con non poche limitazioni. C'è poi un tema di cambiamento a livello culturale: l'auto non viene più vista come un bene da possedere, ma come un servizio da usare. «La sfida per le industrie del settore», dice Allegri, «non è più quindi solo connessa al miglioramento del prodotto e all'adeguamento concorrenziale ma deve fare i conti con una variazione culturale che sta trasformando un bene in grado di trasportare persone e cose in uno strumento capace soprattutto di veicolare dati, informazioni ed abitudini comportamentali focalizzate a far vivere un'esperienza del passeggero all'interno del veicolo».Dove investire, dunque? «Per gli investitori interessati al tema la sfida è dunque significativa e non può essere gestita in maniera generalizzata ma, al contrario, puntando su aziende specifiche. Daimler, Ferrari (Isin: Nl0011585146, 236% di rendimento in tre anni) e Porsche (Isin: De000pah0038, 17% in tre anni), così come Volvo (Isin: Se0000115446, oltre il 50% di crescita in tre anni) e Toyota sul mercato nipponico, risultano tra le più interessanti, mentre la speculazione su Fiat e su Renault-Nissan appare in questa fase più rischiosa», spiega il numero uno di Ambrosetti Am Sim. Trai i titoli coreani c'è il gruppo Kia (Isin: Kr7000270009) che ha fatto male in tre anni (-11,47%), ma che ha dato buone soddisfazioni nel 2019 (+22,55%) e in un anno (32,58%). Ma non ci sono solo le azioni di colossi dell'automotive su cui puntare. Anche perché, va ricordato, investire direttamente su titoli azionari potrebbe essere rischioso. Nonostante i rendimenti siano decisamente più bassi, gli investitori possono dormire anche sonni decisamente più tranquilli. Le obbligazioni Ferrari con scadenza al 2023 (Isin: Xs1380394806), ad esempio, in tre anni hanno reso il 4%. Un po' poco, certo, ma chi sceglie questi prodotti si mette al riparo dalla volatilità di cui da sempre il mondo delle quattro ruote è vittima in Borsa.
La maxi operazione nella favela di Rio de Janeiro. Nel riquadro, Gaetano Trivelli (Ansa)
Parla Gaetano Trivelli, uno dei leader del team Recap, il gruppo che dà la caccia ai trafficanti che cercano di fuggire dalla legge.
Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
Su un testo riservato appare il nome del partito creato da Grillo. Dietro a questi finanziamenti una vera internazionale di sinistra.
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Nel 1937 l’archeologo francese Fernand Benoit fece una scoperta clamorosa. Durante gli scavi archeologici nei pressi dell’acquedotto romano di Arles, la sua città, riportò alla luce un sito straordinario. Lungo un crinale ripido e roccioso, scoprì quello che probabilmente è stato il primo impianto industriale della storia, un complesso che anticipò di oltre un millennio la prima rivoluzione industriale, quella della forza idraulica.
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Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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