2025-08-20
Gli allenatori ora vogliono bandire Israele
Renzo Ulivieri (col gagliardetto), presidente dell’Aiac, a un’iniziativa coi bambini del Palestine youth club
L’Aiac guidata da Ulivieri, che si professa orgogliosamente «comunista», scrive alla Figc per chiedere di vietare alla nazionale di partecipare alle competizioni internazionali. Netanyahu attacca Macron: «Parigi getta benzina sul fuoco antisemita».Con una missiva indirizzata al presidente della Figc, Gabriele Gravina, l’Associazione italiana allenatori di calcio sollecita un intervento concreto a favore di Gaza, chiedendo che la federazione proponga a Uefa e Fifa la sospensione di Israele dalle competizioni internazionali. «Non è solo un gesto simbolico, ma una scelta necessaria, fondata su un imperativo morale e condivisa dall’intera dirigenza dell’associazione», recita la nota. Dopo un primo confronto nel Consiglio di presidenza, convocato da Renzo Ulivieri - che di sé dice: «Sono sempre stato comunista» - il Consiglio direttivo nazionale ha approvato all’unanimità l’invio della lettera appello a Gravina e a tutte le componenti federali. Obiettivo dichiarato: spingere il calcio italiano a mobilitarsi, nell’ambito delle proprie competenze, a sostegno del popolo palestinese, avanzando formalmente agli organismi internazionali la richiesta di sospendere temporaneamente Israele dai tornei ufficiali. Israele comunicherà entro venerdì la propria posizione ai mediatori internazionali riguardo al nuovo piano di tregua per Gaza, già accettato da Hamas. A riferirlo è il Guardian, che ha diffuso i dettagli dell’intesa: il progetto prevede la liberazione progressiva di circa metà degli ostaggi ancora vivi e la restituzione di un numero equivalente di salme, in cambio della scarcerazione di circa 150 prigionieri palestinesi detenuti in Israele, tra cui diversi condannati all’ergastolo. Il cessate il fuoco avrebbe una durata di 60 giorni. A questo proposito un alto rappresentante politico israeliano ieri ha commentato la proposta avanzata da Hamas per un accordo che prevede il rilascio solo parziale degli ostaggi. «La linea di Israele resta ferma e invariata: chiediamo la liberazione di tutti i 50 prigionieri in conformità con i principi fissati dal governo per arrivare alla fine del conflitto», ha dichiarato.In ogni caso, mentre sono in corso trattative delicate e siamo alla vigilia dell’operazione militare annunciata nei giorni scorsi su Gaza City, la commissione ministeriale per gli Affari legislativi ha dato il via libera a un disegno di legge che intende classificare il Qatar come Paese nemico. L’iniziativa, sostenuta dal ministro Nir Barkat e dal deputato Moshe Saada (Likud), era stata bloccata settimane fa dall’ufficio di Benjamin Netanyahu, che aveva definito l’emirato «una realtà complessa, ma non ostile». Il provvedimento approderà ora in Knesset per una prima votazione, quindi tornerà in commissione e successivamente affronterà seconda e terza lettura. La proposta stabilisce criteri precisi per identificare come sponsor del terrorismo gli Stati che forniscono finanziamenti, addestramento o mezzi ad attività rivolte contro Israele o contro cittadini ebrei all’estero. Sarà il primo ministro a stabilire, con decreto, quali Paesi rientreranno in questa categoria. Il testo prevede inoltre la creazione, all’interno del Consiglio di sicurezza nazionale, di un’unità incaricata di monitorare tali Stati, raccogliere informazioni e sostenere azioni legali promosse da Israele o da singoli cittadini. È previsto anche il divieto per questi Paesi di partecipare ad accordi politici con Israele e sanzioni pecuniarie per funzionari israeliani che accettassero fondi non autorizzati. Il Qatar viene citato come esempio principale. Secondo le motivazioni della legge, da 20 anni agirebbe come «un lupo travestito da pecora», destinando risorse a Hamas, Hezbollah, i talebani e l’Isis. Doha avrebbe inoltre investito oltre 1.000 miliardi di dollari a livello globale per sostenere la jihad anche attraverso donazioni a università statunitensi, sponsorizzazioni sportive e pressioni politiche, con l’obiettivo di indebolire Israele e diffondere sentimenti ostili verso gli ebrei. Un piano che sta avendo successo vista l’ondata di antisemitismo globale che si manifesta anche in Italia. Netanyahu ha attaccato Emmanuel Macron accusandolo di favorire l’antisemitismo. In una lettera, ha criticato l’appello del presidente francese per uno Stato palestinese, definendolo un atto di «appeasement» che, a suo dire, legittima Hamas, ostacola il rilascio degli ostaggi e incoraggia le minacce contro gli ebrei in Francia. La replica del ministro francese per gli Affari europei, Benjamin Haddad, è stata netta: la Francia «non ha nulla da apprendere nella sua battaglia contro l’antisemitismo». Ieri è stata diffusa un’analisi del Cogat (Coordinamento delle attività governative nei territori), l’unità del ministero della Difesa israeliano che gestisce i rapporti civili con i palestinesi e controlla il passaggio di merci e aiuti. Il documento evidenzia un forte divario rispetto ai dati diffusi dall’Onu sugli aiuti a Gaza. Secondo le Nazioni Unite, da maggio sono entrati nella Striscia 3.553 camion, mentre i registri israeliani ne contano quasi 9.200: una differenza di circa 6.000 convogli, pari a 2,5 volte il volume dichiarato dall’Onu. Per Israele, l’Onu considera solo i convogli gestiti dalle proprie agenzie e da partner selezionati, escludendo gli aiuti provenienti da altri Stati, da enti indipendenti, dal settore privato, dai lanci aerei e dai centri sostenuti dagli Stati Uniti. Il Cogat sottolinea che i dati completi sono pubblicati quotidianamente sul proprio portale ufficiale, mentre le cifre Onu, spesso utilizzate come riferimento dalla comunità internazionale, offrirebbero un quadro parziale e impreciso della situazione umanitaria a Gaza. Il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha avviato le discussioni sulla proposta francese per prorogare il mandato dell’Unifil, la forza di pace presente nel Sud del Libano dal 1978. Il voto è fissato al 25 agosto, alla vigilia della scadenza dell’attuale mandato. La bozza, secondo Reuters, prevede non solo l’estensione ma anche un graduale ritiro delle truppe Onu, con il trasferimento delle responsabilità di sicurezza al governo libanese, a condizione che ottenga pieno controllo del territorio e si raggiunga un accordo politico complessivo. Israele e Stati Uniti, però, hanno espresso contrarietà.
lUrsula von der Leyen (Ansa)