
Dopo i no di Eni, Leonardo, Lufthansa e Cdp, le due compagnie aeree presentano lettere d'intenti. L'unica pista credibile resta quella delle Ferrovie. Ma senza un nuovo partner industriale sarà solo una perdita di tempo. E di altri soldi pubblici.Il consiglio di amministrazione di Fs lunedì sera fa ha approvato la proposta vincolata per l'acquisizione di Alitalia. Ieri sera sono arrivate le offerte: saranno rese note solo fra qualche giorno, ma le indiscrezioni vedono in Fs l'unico vero partner che si è fatto avanti. Al di là di Easyjet e Delta, che ieri in tarda serata ha fatto sapere di aver mandato una nuova lettera d'intenti, bilanciando in un certo senso il «niet» arrivato da Lufthansa. Eni e Leonardo si erano già sfilate, cogliendo in pieno il sentimento che riempie i corridoi del ministero dell'Economia. «Lo Stato non esercita attività di direzione e coordinamento sulle società partecipate», ha detto il ministro, Giovanni Tria, rispondendo ieri al question time. «Ferrovie agisce come un operatore indipendente e il consiglio di amministrazione, nell'esercizio delle sue prerogative gestionali, valuta autonomamente la fattibilità e la sostenibilità economico finanziaria dell'operazione», ha aggiunto Tria. «Nell'ambito della sua autonomia, il cda può decidere di realizzare l'operazione, nel rispetto di un quadro sostenibilità economica anche con la presenza partner industriali di settore, previa la verifica dell'assenza di pregiudizi e nel rispetto della normativa antitrust e sugli aiuti di Stato», ha concluso il ministro. Non è certo una novità il fatto che il Mef sia contrario all'operazione, tanto che la stessa Cassa depositi e prestiti nella voce degli azionisti di minoranza ha espresso un parere negativo. L'altro ieri il numero uno delle fondazioni bancarie, Giuseppe Guzzetti, ha alzato il dito e detto no all'operazione. Gli è andato dietro il presidente di Cdp, Massimo Tononi. «Sottoscrivo in pieno la visione di Guzzetti sul ruolo di Cdp», ha detto. Già l'altro ieri Guzzetti era stato molto chiaro in proposito. «L'ho detto e lo ripeto, è diventato un ritornello e sul punto siamo rigidissimi: in Alitalia la Cassa depositi e prestiti non deve mettere un euro per nessuna ragione. Siccome sono votazioni con maggioranza qualificata, il sistema delle fondazioni mi ha già dato mandato di dire che noi non voteremo investimenti nella compagnia aerea», ha spiegato. Un modo per isolare Fs, che anche con un partner industriale resterebbe da sola sotto il punto di vista finanziario. Non a caso, il documento approvato dal cda guidato da Gianfranco Battisti mette nero su bianco una lunga sfilza di paletti. In pratica, l'offerta è vincolata ma non vincolante. Oltre alla necessità di trovare un alleato del settore - che sia europeo, asiatico o americano non importa - che finora manca, il gruppo del trasporto ferroviario, che non vuole certo mantenere il 100% del capitale di Alitalia, vuole bypassare qualsiasi problematica di mercato, in termini di concentrazione di business, e quindi non avere intoppi a livelli di Antitrust, per non vedersi arrivare da Bruxelles il richiamo per eventuali aiuti di Stato. Soprattutto, l'integrazione eventuale deve creare valore. Ma non solo per il vettore nazionale, con la quale sinergie sono possibili, ma per tutto il nuovo, possibile polo infrastrutturale. A oggi tali informazioni non ci sarebbero. Come scrive il quotidiano Mf, «Battisti chiede almeno tre mesi di tempo per valutare il dossier Alitalia. Un tempo che però con ogni probabilità si allungherà almeno a sei, se non otto mesi. Perché l'analisi dei conti, dello stato dell'arte e del progetto di rilancio richiederà approfondimenti accurati e dettagliati. In seno al cda di Fs le idee sono chiare: non deve essere una cosiddetta operazione di sistema dal sapore politico, ma deve diventare un progetto di aggregazione sfidante e capace di garantire una solida creazione di valore futura». In pratica, Battisti vorrebbe creare un polo integrato con linee guida della durata decennale. Nel frattempo il primo nodo da sciogliere è quello del tempo. Anche nel migliore di casi a Fs serviranno almeno sei mesi per stilare un piano industriale. A fine anno scade il prestito ponte da 900 milioni. Di conseguenza, il governo dovrà prorogarlo o diluirlo. Se i commissari dimostreranno che le perdite sono state inferiori alla somma erogata, basterà fare una operazione contabile. In caso contrario, i contribuenti dovranno di nuovo mettere mano al portafogli. Con l'ingresso in partita di Fs, sarà più facile che Bruxelles chiuda un occhio. Il timore è che si stanzino altri soldi senza alcuna prospettiva. Abbiamo più volte criticato l'aggregazione tra Fs ed Anas perché avrebbe provocato un scompenso nello stato patrimoniale di almeno due miliardi. Che effetto potrà causare sui conti dei treni un'azienda incancrenita come Alitalia? È anche difficile immaginare che per creare intermodalità tra treni e aerei debba per forza nascere una fusione. Altri Paesi, ad esempio la Germania, lo fanno senza mettere in piedi un colosso pubblico. Alla fine non sappiamo se sperare che non se ne faccia nulla oppure che l'operazione si realizzi. Nel primo caso, il governo avrà tergiversato sei mesi e speso soldi pubblici. Nel secondo, potrebbe spenderne ancora di più.
Giancarlo Giorgetti (Ansa)
Il ministro fa cadere l’illusione dei «soldi a pioggia» da Bruxelles: «Questi prestiti non sono gratis». Il Mef avrebbe potuto fare meglio, ma abbiamo voluto legarci a un mostro burocratico che ci ha limitato.
«Questi prestiti non sono gratis, costano in questo momento […] poco sopra il 3%». Finalmente il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti fa luce, seppure parzialmente, sul grande mistero del costo dei prestiti che la Commissione ha erogato alla Repubblica italiana per finanziare il Pnrr. Su un totale inizialmente accordato di 122,6 miliardi, ad oggi abbiamo incassato complessivamente 104,6 miliardi erogati in sette rate a partire dall’aprile 2022. L’ottava rata potrebbe essere incassata entro fine anno, portando così a 118 miliardi il totale del prestito. La parte residua è legata agli obiettivi ed ai traguardi della nona e decima rata e dovrà essere richiesta entro il 31 agosto 2026.
I tagli del governo degli ultimi anni hanno favorito soprattutto le fasce di reddito più basse. Ora viene attuato un riequilibrio.
Man mano che si chiariscono i dettagli della legge di bilancio, emerge che i provvedimenti vanno in direzione di una maggiore attenzione al ceto medio. Ma è una impostazione che si spiega guardandola in prospettiva, in quanto viene dopo due manovre che si erano concentrate sui percettori di redditi più bassi e, quindi, più sfavoriti. Anche le analisi di istituti autorevoli come la Banca d’Italia e l’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) tengono conto dei provvedimenti varati negli anni passati.
Maurizio Landini (Ansa)
La Cgil proclama l’ennesima protesta di venerdì (per la manovra). Reazione ironica di Meloni e Salvini: quando cade il 12 dicembre? In realtà il sindacato ha stoppato gli incrementi alle paghe degli statali, mentre dal 2022 i rinnovi dei privati si sono velocizzati.
Sembra che al governo avessero aperto una sorta di riffa. Scavallato novembre, alcuni esponenti dell’esecutivo hanno messo in fila tutti i venerdì dell’ultimo mese dell’anno e aperto le scommesse: quando cadrà il «telefonatissimo» sciopero generale di Landini contro la manovra? Cinque, dodici e diciannove di dicembre le date segnate con un circoletto rosso. C’è chi aveva puntato sul primo fine settimana disponibile mettendo in conto che il segretario questa volta volesse fare le cose in grande: un super-ponte attaccato all’Immacolata. Pochi invece avevano messo le loro fiches sul 19, troppo vicino al Natale e all’approvazione della legge di Bilancio. La maggioranza dei partecipanti alla serratissima competizione si diceva sicura: vedrete che si organizzerà sul 12, gli manca pure la fantasia per sparigliare. Tant’è che all’annuncio di ieri, in molti anche nella maggioranza hanno stappato: evviva.
Nel riquadro in alto l'immagine dei postumi dell’aggressione subìta da Stephanie A. Nel riquadro in basso un frame del video postato su X del gambiano di 26 anni che l'ha aggredita (iStock)
L’aggressore è un gambiano con una lunga fila di precedenti, però si era visto accordare la protezione speciale per restare in Italia. I clandestini sono 50 volte più pericolosi, ma sinistra e magistrati legano le mani agli agenti.
Vittime sacrificali di criminali senza pietà o effetti collaterali della «inevitabile» migrazione di massa? In questo caso il grande abbraccio che tanto intenerisce la Cei si concretizza con un pugno, una bottigliata, un tentativo di strangolamento, qualche calcione mentre era a terra, sputi, insulti. «Mi diceva che mi avrebbe ammazzata», scrive sui social Stephanie A., modella di origini brasiliane, aggredita lunedì sera nello scompartimento di un treno regionale Trenord della linea Ponte San Pietro-Milano Garibaldi, nella zona di Arcore. La giovane ha postato gli scatti dei colpi subìti ma anche alcune foto che ritraggono l’aggressore, fondamentali per identificarlo. Il suo appello non è caduto nel vuoto.





