2021-09-23
Il logo Alitalia già pagato da tutti i cittadini
Grottesca disputa sul suo valore fra la newco e la vecchia compagnia, tenuta in vita dai miliardi pubblici.La diatriba sul valore del marchio Alitalia ha visto un botta e risposta tra il presidente di Ita, Alfredo Altavilla, e i rappresentanti della vecchia compagnia di bandiera. Altavilla, uscendo dall'audizione alla commissione Trasporti della Camera, circa la base d'asta di 290 milioni per il marchio ha dichiarato: «Se una compagnia aerea in undici anni ha generato 3,5 miliardi di perdite, mi sembra una valutazione non realistica». I commissari di Alitalia hanno immediatamente reso noto che la stima rappresenta «il valore minimo risultante da una perizia, dovuta per legge e operata da un professionista terzo incaricato dalla procedura, previo parere favorevole del comitato di sorveglianza». Purtroppo la perizia non è stata resa pubblica, tanto meno le ragioni che possono aver portato il perito a totalizzare quella notevole cifra, tuttavia dal punto di vista del marketing è facile pensare che per dare valore al vecchio logo sia stata considerata ogni attività del passato di Alitalia, finanche il merchandising degli anni Sessanta e Settanta, i successi della squadra automobilistica di rally degli anni Settanta e Ottanta (chi non ha avuto almeno un modellino di Fiat 131 e soprattutto della mitica Lancia stratos?) o il fatto che la compagnia è sempre stata scelta dal Vaticano per trasportare Sua santità. Ma oggi dal punto di vista aeronautico quanto dichiarato da Altavilla è corretto per almeno tre motivi. Primo: ogni vettore europeo per operare deve seguire le normative dell'Agenzia europea per la sicurezza del volo (Easa), che attraverso i suoi regolamenti stabilisce in ogni dettaglio come debba essere strutturata una compagnia, quali competenze debba prevedere in organico, le procedure da attuare, eccetera. Dunque il vecchio «logo» non può in alcun modo garantire a Ita null'altro che l'apparenza legata al suo passato e non costituisce certo un motivo reale (bensì psicologico), per il quale la clientela possa essere portata a «fidarsi di più» se l'aeroplano ha la livrea del vecchio vettore di bandiera. Secondo: nel mondo dell'aviazione un nuovo brand che ha l'occasione di presentarsi sul mercato è accolto favorevolmente; Alitalia ha una reputazione di grande sicurezza anche se dal punto di vista operativo nella sua storia ha dovuto più volte recuperare terreno in fatto di puntualità. Terzo: la flotta attuale è vetusta, l'arrivo di nuovi aeromobili dovrebbe coincidere con la presentazione di una nuova livrea, ci auguriamo fatta realizzare da chi opera in ambito aeronautico.Forse il grande valore attribuito al vecchio marchio non è soltanto generato dal fatto che, un tempo conosciuti, lentamente gli aeroplani italiani siano diventati una rarità negli aeroporti di tutto il mondo, quanto dal fatto che il nuovo stemma è graficamente discutibile, senza l'ombra di quell'eleganza che ha sempre contraddistinto le nostre compagnie nazionali come la rondine dell'Ala littoria, l'idrovolante della Società aerea mediterranea o il carattere futurista con il quale era scritta la parola Transadriatica. Insomma, nella patria del design per Ita si poteva fare qualcosa di meglio in termini grafici, attenuando quel senso di nostalgia per le derive e la A tricolore frutto del concorso indetto nel 1969 e vinto dalla Landor associates, ritoccata dall'agenzia Saatchi&Saatchi nel 2005 in occasione del riposizionamento del marchio sul mercato e rivista ancora da Landor nel 2015, per poi tornare alla versione precedente nel 2018. Pochi ritocchi, qualche punto di luce, linee più o meno ammorbidite. Lavori che non sappiamo quanto ci siano costati ma che abbiamo pagato noi cittadini. Ma il logo che (forse) lasciamo, al posto di evocare dinamismo e destinazioni esotiche, eleganza e italianità, ormai ci ricorda i miliardi spesi nel tentativo di tenerlo nel cielo. E seppure risulti ipocrita la richiesta europea di dare un segnale di «netta discontinuità» imponendoci di metterlo all'asta per ricomprarlo e poterlo riutilizzare, a partire dal presidente Mario Draghi noi italiani siamo terribilmente sentimentali e di Ita abbiamo subito fatto notare che il logo è oggettivamente bruttino.Perché allora non usare quello che la compagnia presentava tra il 1946 e il 1969, la «Freccia alata» azzurra con la scritta a pentagramma? Oppure far buon viso a cattivo gioco e con un po' di realismo ricordare che altre compagnie storiche sono scomparse e con loro marchi mitici, come il planisfero dell'americana Twa oppure la rosa dei venti della brasiliana Varig (Viação Aérea Rio Grandense).Nelle condizioni in cui siamo, con 8.000 esuberi da gestire (e sfruttare sotto elezioni) e la pretesa di cinque anni di cassa integrazione chiesta per chi non sarà scelto da Ita, sarebbe meglio badare al sodo, almeno per ora. Perché Ita, che dovrà cominciare a volare il 15 ottobre, se nasce graficamente limitata, a ben guardare ha altrove il suo peccato originale, quello che potrebbe rivelarsi fatale: è nata anch'essa a Roma. Forse la vera discontinuità sarebbe stata posizionare la sede a Bergamo, Milano o a Bolzano.