
I due Paesi hanno fatto dichiarazioni ostili a Israele e, insieme, garantiscono il 40% dell’afflusso di oro azzurro. Una nuova spada di Damocle in vista dell’inverno. Tunisi spaventa per i migranti. La mediazione egiziana, visti i rapporti con Eni, è una via d’uscita.Hamas. Su circa 37 miliardi di metri cubi importati attraverso lo snodo di Mazara del vallo ne sono passati poco meno di 18 dall’Algeria. Un altro miliardo e mezzo è targato Libia. La somma fa appunto il 40%, che ironia della sorte, rappresenta la stessa fetta che importavamo da Mosca prima dello scoppio delle ostilità in Ucraina. A oggi il consumo di gas importato via tubo è sceso rispetto al 2020 (soppiantato dal più costoso Gnl e da una crescita delle rinnovabili) ma copre pur sempre il 30% dell’energia che serve all’Italia per andare avanti. Algeria e Libia, dunque, sono una nuova spada di Damocle. Non tanto per il fatto che possano decidere di fermare i flussi - cosa improbabile, vista la necessità che hanno di valuta estera - ma nel caso in cui il consesso internazionale tornasse a ragionare su pacchetti di sanzioni. Tra l’altro, un’altra grossa fetta di gas arriva da Baku via Tap e l’Azerbaijan è praticamente a un passo da uno scontro con l’Armenia dopo la pulizia etnica effettuata nel Nagorno Karabakh. Le aziende e i caloriferi italiani sono di nuovo appesi a bombe che piovono a chilometri di distanza. Le prossime ore saranno quindi fondamentali per capire se le uscite di Algeri e Tripoli siano semplici dichiarazioni per placare l’opinione pubblica interna, oppure saranno da intendere come sostegno diretto al nuovo asse che va rafforzandosi: l’Iran e il Qatar, con una spruzzata di tecnologia russa non del tutto estranea all’hackeraggio avvenuto lo scorso sabato mattina ai sistemi di difesa della linea meridionale di Israele. Va detto che la posizione assunta dall’Europa e dall’Onu nei confronti dell’Azerbaijan lasciano intendere che stavolta Bruxelles non voglia tagliare il ramo energetico su cui è seduta. Baku ha fatto fuggire oltre 100.000 cristiani dal Nagorno in pochi giorni invadendo lo staterello autonomo. Nessuno ha mosso un dito per gli armeni nel timore di rimanere senza gas. Il Tap che vale oltre il 10% dei nostri flussi parte proprio da quella regione del Caucaso. Se la linea è la medesima, Bruxelles si girerà dall’altra parte pure con Algeria e Libia. Mentre a complicarsi potrebbe essere il rapporto on la Tunisia. Anche il governo di Kaïs Saïed ha legami comuni con chi vive nella striscia di Gaza. La Fratellanza Musulmana è stata grande sostenitrice del leader tunisino. Entrambi hanno sfruttato l’onda delle primavere arabe avviata dall’intervento contro Muhammar Gheddafi e sostenuta per anni dal governo Usa di Barack Obama. Le congiunzioni sono rimaste, anche se meno forti, ma sono le stesse che sostengono una fetta del governo palestinese e veicolano fondi per Hamas, anche se minoritari rispetto a quelli che arrivano dal Qatar e dall’Iran. Nel caso di Tunisi non balla il gas ma il flusso di immigrati clandestini. L’accordo da 160 milioni di euro scarsi per fare da filtro e rallentare gli sbarchi è già arenato sulla battigia degli scontri tra Consiglio e Commissione Ue e interni alla medesima Commissione. Saïed alza ogni volta la posta, ma dopo l’attacco di Hamas potrebbe vedere affacciarsi a Tunisi nuovi investitori pro Iran che hanno tutto l’interesse ad alzare la posta della destabilizzazione europea. È chiaro che molto dipenderà dalla guerra e dalle mosse sul terreno. Ieri in una conferenza stampa il ministro degli Esteri di Tel Aviv ha fornito dettagli solo sulle violenze di Hamas e nulla sulla possibile invasione di Gaza. Fonti vivine all’Idf, l’esercito israeliano, spiegano che gli ostaggi portati dentro la Striscia potrebbero essere morti. Il che non significa che lo siano letteralmente che forse si vuole cambiare strategia. Nessun intervento per liberarli, ma azione invasiva con effetti collaterali anche pesanti. Ciò libera anche la Casa Bianca dal dover intervenire. Se gli ostaggi sono morti o sono dati per morti, le forze speciali Usa non sono tenute a mettere piede a Gaza. Una ipotesi che apre la strada a una mediazione da parte dell’Egitto e pure della Turchia. Nel caso del Cairo, e quindi in scia del proseguimento del dialogo tra Israele e l’Arabia Saudita, la mediazione potrebbe portare con sé benefici di natura energetica pure per l’Italia. Non dimentichiamo che l’Eni è presente e forte nelle aree di confine tra Cipro e Israele e tra Israele ed Egitto. Uno dei più grandi giacimenti del Mediterraneo, che avrebbe dovuto dare vita al Transmed, non è mai partito per fare spazio al Tap. Stavolta le carte in tavola potrebbero cambiare soprattutto se Iran e Qatar, con il sostegno della Cina, dovessero proseguire nelle azioni di disturbo contro la cosiddetta Via del Cotone, il percorso indiano alternativo alla Via della Seta. Ragionamenti forse troppo lontani nel tempo. Adesso resta l’emergenza a Gaza. Ieri sera Giorgia Meloni ha partecipato a un colloquio telefonico con Emmanuel Macron, Joe Biden, Olaf Scholz e il leader britannico Rishi Sunak. Confronto aperto. Tradotto: tutto ancora in evoluzione.
Matteo Ricci (Ansa)
Gli inquirenti puntano il faro sugli eventi conviviali del candidato dem alla Regione Marche durante il tour per il libro. I contratti, a spese del Comune di Pesaro, alla società che lavora per il Pd nazionale.
(Getty Images)
A novembre alla Cop11 di Ginevra, la Commissione vuol introdurre il voto a maggioranza qualificata per scavalcare i singoli Stati e far passare la sua linea su temi delicati come tabacco, salute e alimentazione. C’era stato un tentativo a Panama, il blitz era fallito.