2021-12-26
«Sull’eutanasia legge e referendum: è corsa a chi procura prima la morte»
Il vicepresidente del Centro studi Livatino, Alfredo Mantovano (Ansa)
Il vicepresidente del Centro studi Livatino, Alfredo Mantovano: «La proposta del Pd va oltre i limiti fissati dalla Consulta. E il governo non è neutrale».Archiviato, almeno per un po’, il ddl Zan, a occupare il dibattito politico è rimasto un tema etico: quello del fine vita e del suicidio assistito. Certe pressioni pro morte, la delicatezza dell’argomento e l’atteggiamento del governo - in teoria neutrale, in pratica non esattamente - hanno spinto il Centro studi Livatino, team di giuristi da anni attivo sul diritto alla vita, la famiglia e la libertà religiosa, a dare alle stampe un libro per chiarire meglio la propria posizione. Il risultato sono le oltre 300 pagine del volume Eutanasia, le ragioni del no (Cantagalli, 2021). Per approfondire, La Verità ha avvicinato Alfredo Mantovano, giudice attualmente vicepresidente del Centro studi Livatino.Dottor Mantovano, perché questo libro? «Perché é in corso una gara a chi procura prima la morte, nel senso che ci sono due iniziative istituzionali in tal senso: quella referendaria e quella legislativa, in Parlamento. Iniziando con la prima, c’è da dire come, più che all’eutanasia, essa fa riferimento alla assoluta disponibilità della vita umana, perché il quesito referendario riguarda l’articolo 579 del Codice penale, che punisce l’omicidio del consenziente. Quindi se il quesito fosse ammesso dalla Corte costituzionale e fosse approvato dagli elettori il risultato sarebbe che, sulla base del semplice consenso della persona interessata, sarebbe possibile togliere la vita ad un essere umano, a prescindere dalle sue condizioni di salute e della gravità delle stesse. Quello che normalmente viene chiamato in causa per giustificare l’eutanasia non c’entra dunque nulla».L’iniziativa legislativa invece? «È il testo in discussione alla Camera che ha come relatore l’onorevole Alfredo Bazoli del Pd. Rispetto a tale iniziativa c’è da dire come - presentata come attuativa della sentenza della Corte Costituzionale sul suicidio assistito, la cosiddetta “sentenza Cappato” - in realtà va molto oltre, perché considera non soltanto la situazione di prognosi infausta e di dolore irreversibile, ma anche la condizione irreversibile, e quindi interessa non solo e non tanto il malato terminale, o colui che ha solo dolore e nessuna prospettiva, ma il disabile, soprattutto il disabile grave, o l’anziano. Quindi siamo molto oltre i limiti fissati dalla Consulta».Perché? «Perché per esempio quella sentenza, che noi pure come Centro studi Livatino abbiamo criticato, aveva posto come pregiudiziale di qualsiasi intervento sul fine vita le cure palliative. Questo perché se io prendo in considerazione l’idea di porre fine alla mia esistenza, quello che potrebbe farmi desistere da tale intento deve essere attuato. Per questo la Corte costituzionale aveva comunque posto come pregiudiziale il passaggio dalle cure palliative. Ma questa pregiudizialità nel testo Bazoli cade, questo testo va molto oltre»E la posizione del governo qual è? «Ma, io ieri, davanti alla conferenza stampa di fine anno, sono rimasto non poco sorpreso dalle dichiarazioni del presidente del Consiglio, Mario Draghi, nei cui confronti ho sempre avuto molta stima anche per il lavoro che ha svolto finora. La mia sorpresa trae origine da due ragioni. Il primo è l’annuncio del governo di non costituirsi contro l’ammissibilità dei referendum, con esplicito riferimento a quello dell’eutanasia che, in realtà, riguarda l’omicidio del consenziente. Ma il governo si è infatti quasi sempre costituito - salvo quando la neutralità governativa era doverosa, come in materia elettorale - nel relativo giudizio davanti alla Consulta. Ma sono rimasto sorpreso ancora di più da un’altra cosa».Sarebbe? «La rivendicazione dei due decreti legge con cui il governo ha permesso di far slittare i termini - sia per l’inizio sia per la conclusione - della raccolta delle firme per i referendum. Ora, tale slittamento, senza precedenti, è stato decisivo per far superare la soglia delle 500.000 firme per il referendum sulla droga».Cosa vuol dire? «Che domani un qualsiasi comitato promotore di qualsiasi referendum potrà chiedere la proroga sulla base di questo precedente. Ma la fissazione del termine ha una sua ragione nel sistema, e cioè quella di verificare l’esistenza di un sostegno popolare diffuso rispetto a un quesito. Non si può neppure tirare in ballo la pandemia dicendo che è stato reso tutto più difficile. Intanto, perché è stato reso tutto più facile con le firme elettroniche, e poi le firme sono state raggiunte nei tempi ordinari sull’omicidio del consenziente e per i referendum sulla giustizia - anche se per questi, poi, sono intervenuti i consigli regionali -, quindi la pandemia non c’entra nulla. Si tratta quindi solo di un grosso favore per un referendum che rende possibile - se il quesito fosse ammesso - la coltivazione di qualsiasi tipo di droga. Questa è una scelta di campo e mi chiedo se sia condivisa da tutti i partner di questa larga coalizione, dopo che comunque già la Lega al Consiglio dei ministri di fine settembre non partecipò, quando fu decisa la proroga del termine di raccolta delle firme».
Giorgia Meloni e Donald Trump (Ansa)