True
2018-09-19
Al via la settimana della moda a Milano. Vola il settore: da solo, vale oltre 24 miliardi di euro
True
Basta fare due passi questa settimana a Milano, dove si sta tenendo la Milano Fashion Week, per capire quanto la moda rappresenti un'industria fertile per l'Italia.
Come spiega uno studio messo a punto da Intesa Sanpaolo il sistema moda, che comprende tessile, abbigliamento e calzature, è un settore chiave per l'economia italiana: con 24,2 miliardi di euro di valore aggiunto generato nel 2017, rappresenta il 10% del manifatturiero e occupa circa 500 mila addetti, ovvero il 15,5% degli addetti occupati complessivamente nella manifattura italiana.
Non si tratta solo di un'eccellenza nazionale. La moda «Made in Italy» mantiene saldo il suo primato in Europa, sia in termini di produzione che di fatturato. Più di un terzo del valore aggiunto generato dal sistema moda dell'Unione Europea è associabile all'Italia (33,9%), una quota pari a tre volte quella tedesca, quattro volte quella spagnola e quasi cinque volte quella francese.
Il primato italiano è evidente anche in termini di saldo commerciale, in attivo per quasi 20 miliardi di euro a fine 2017. È un dato rilevante, soprattutto se confrontato con il disavanzo francese (-13,9 miliardi), tedesco (-19 miliardi) o del Regno Unito (-21 miliardi).
Si tratta, inoltre, di un importante indicatore di competitività, che sintetizza diversi punti di forza della filiera produttiva italiana.
A premiare l'industria italiana della moda è la sua struttura a distretti, spiega nella sua analisi Gregorio De Felice, capo economista di Intesa Sanpaolo. «L'ampia base produttiva, forte dell'organizzazione reticolare tipica dei distretti industriali, preserva nel tempo competenze e conoscenze, supportando una forte diversificazione di prodotto e l'elevata qualità della produzione Made in Italy«, spiega.
Come si nota nell'indagine di Ca' De Sass, il 70% circa delle esportazioni italiane della moda (circa 51 miliardi di euro nel 2017) si posiziona sull'alta gamma, la fascia di mercato più redditizia.
Nonostante la forte pressione concorrenziale, derivante dall'avanzata dei player asiatici, l'Italia mantiene infatti, ancora, elevate quote di mercato che, nell'alto di gamma, raggiungono il 16% nelle calzature e il 21% nel comparto pelli e pelletteria.
Tra le particolarità, l'industria italiana della moda si fa notare perché ancora oggi produce il 78,7% dei suoi prodotti nei confini italiani.
La filiera della moda francese, dominata dai grandi player del lusso che hanno spinto maggiormente sulla leva della delocalizzazione, presenta invece un contributo domestico alla produzione pari solamente al 60,5%.
Il motivo di questi dati è che la produzione italiana, soprattutto quella di alto livello, ha un forte legame con il territorio e certe peculiarità si perderebbero delocalizzando la produzione in Paesi dove la manodopera costa meno.
«Una quota consistente di imprese capofila del sistema moda intervistate da Intesa Sanpaolo valuta ancora fondamentale il rapporto con subfornitori e/o terzisti locali, grazie alla qualità dei servizi e dei prodotti offerti, alla possibilità di personalizzare i prodotti, all'affidabilità e alla specializzazione della forza lavoro», spiega De Felice.
Questi tratti distintivi del modello di produzione «Made in Italy» sono anche alla base della partecipazione attiva delle imprese italiane alle catene di produzione dei partner europei: il 6,2% dell'output di moda francese, ad esempio, è originato in Italia.
Ma se la produzione e il sistema moda Italia funzionano bene, va sottolineato che le aziende italiane del settore non sono ancora riuscite a pieno a prendere il «treno» della trasformazione digitale.
Nonostante l'aumento delle vendite da siti italiani (che hanno raggiunto i 3 miliardi di euro nel 2016), lo strumento dell'ecommerce risulta ancora poco diffuso, soprattutto tra le imprese più piccole.
Da una indagine ad hoc realizzata da Intesa Sanpaolo (su 161 aziende capofila che operano in 36 distretti del sistema moda e generano 14,5 miliardi di euro di fatturato) emerge che il 70% delle imprese intervistate effettua vendite on-line. Questa percentuale si riduce al 18% per le piccole imprese.
Inoltre, poche imprese utilizzano strategie complesse: solo il 12% del totale le aziende effettua vendite on-line sia sul proprio sito sia tramite marketplace e dispone di una app dedicata.
Il comparto della moda in Italia ha dunque bisogno di crescere. Oggi può ancora fare affidamento sull'«italianità», una ricetta fatta di materiali pregiati, tecniche costruttive e stile che giustificano prezzi da capogiro per l'alto di gamma. Ma non potrà essere così in eterno. Bisogna prima di tutto recuperare il tempo perduto nell'ecommerce. I produttori asiatici ci sono col «fiato sul collo» e prima o poi l'italianità non basterà a non farci superare.
Gianluca Baldini
INFOGRAFICA
Le grandi sfide per la moda italiana? I mercati mondiali: dalla Cina al Giappone fino agli Emirati Arabi
Giusto il 17 settembre, il vicepremier e ministro del Lavoro, Luigi Di Maio, a margine del Micam, salone internazionale del settore calzaturiero spiegava che «il tavolo che abbiamo oggi sulla moda ci consentirà di coordinare le politiche di sviluppo e di investimento in questo settore, nei prossimi 5 anni per quanto riguarda questo governo», continua. «Ma io oso dire, servono piani di medio e lungo termine a 20 anni. È chiaro che qui ci sono due grandi fronti: giocare prima di tutto all'attacco sui mercati internazionali perché siamo leader in questo settore; il tavolo che si apre oggi con tutti gli attori coinvolti che dovrà servire a continuare la lotta alla contraffazione», ha concluso.
Certo, la lotta alla contraffazione è d’obbligo, soprattutto in un mercato come quello italiano costellato da grandi marchi noti in tutto il mondo. Il problema è riuscire a crescere a livello internazionale.
Del resto, i fondamentali di crescita del sistema moda italiano restano solidi, anche se in uno scenario non esente da rischi legati alla possibile flessione del commercio internazionale.
Come spiega uno studio di Intesa Sanpaolo sul settore, il fatturato del sistema moda è atteso crescere ad un tasso medio annuo dell’1,5% nel periodo 2019-22, a prezzi costanti, trainato soprattutto dai mercati esteri, oltre che da una ripresa del mercato interno.
La propensione all’export del settore, già strutturalmente elevata (61,4% nel 2017), è infatti destinata ad aumentare ancora (fino a sfiorare il 66% nel 2022), spingendo verso un ulteriore miglioramento del saldo commerciale, che potrà avvicinarsi ai 25 miliardi di euro nell’orizzonte del 2023.
Insomma, c’è spazio per crescere ancora. A dirlo sono gli ultimi dati congiunturali sulle esportazioni, di fonte Istat. Le vendite all’estero del sistema moda sono cresciute del 3,5% tendenziale nella prima metà del 2018, a valori correnti, per un totale esportato pari a 26 miliardi di euro.
Risultati positivi hanno riguardato i principali mercati di sbocco, sia maturi (come Francia, Germania e Svizzera) che emergenti (ad iniziare da Cina e Hong Kong). In un contesto di domanda globale in espansione, «prevediamo un incremento di circa 42 miliardi di dollari del commercio globale di alta moda entro il 2021», spiega Gregorio De Felice, capo economista di Intesa Sanpaolo.
Intercettare questa domanda aggiuntiva rappresenta, insomma, per le imprese della moda italiana, un’importante sfida da cogliere. Le opportunità di crescita si concentrano, soprattutto, nei mercati più distanti dall’Italia, quali Cina-Hong Kong, Giappone, Canada, Stati Uniti ed Emirati Arabi Uniti, dove l’alta gamma Made in Italy ha già conquistato traguardi importanti e continua a ricevere grande attenzione.
Gianluca Baldini
«Il consumatore oggi va più alla ricerca del prezzo che della qualità. Puntiamo su un futuro green, perché siamo sicuri ci sia un mercato ampio da esplorare»
Il Gruppo Graziella festeggia i suoi primi 60 anni di attività con l'acquisizione della storica azienda fiorentina di pelletteria Braccialini. Il suo amministratore delegato Gianni Gori, figlio della fondatrice Graziella, ci parla di questa importante acquisizione e dei progetti per il futuro.
Il Gruppo Graziella ha chiuso l'ultimo anno con un aumento del fatturato del 30%. Come siete riusciti a gestire e superare la crisi dei mercati degli ultimi anni?
«Il maggiore punto di forza nel nostro gruppo è che siamo una realtà familiare. Anche noi abbiamo dovuto fare i conti con periodi di crisi - specialmente nel settore orafo - ma siamo riusciti a trovare le giuste strategie per superare questa flessione nel mercato. Abbiamo raggiunto paesi nuovi e fatto investimenti sul lungo periodo. Gli investimenti industriali sono per noi la base della nostra crescita».
Quali sono le vostre previsioni per il 2018?
«Lo scorso anno il nostro fatturato era vicino agli 80 milioni, ma l'acquisizione di Braccialini dovrebbe portarci a superare i 100 milioni entro la fine dell'anno».
Quali sono i vostri mercati di riferimento?
«Graziella - con la sua collezione di gioielli - viene venduta prevalentemente all'estero. Possiamo dire che l'export rappresenti il 75% del fatturato della holding. Per quanto riguarda Braccialini, il mercato italiano rappresenta il 30%».
Quanto vale il Made in Italy nel mondo?
«Il Made in Italy è sicuramente un fattore determinante per le vendite nel settore moda, soprattutto quando parliamo di "affordable luxury". Il consumatore oggi va più alla ricerca del prezzo che della qualità. Sono poche le caratteristiche che possono spingere a spendere qualcosa di più del normale. Bisogna essere sempre freschi e dinamici se si vuole avere successo».
Quali sono le motivazioni dietro la scelta di acquisire il brand Braccialini?
«La fantasia e la creatività di Braccialini, nonché la sua ricca storia, ha un qualcosa di tipicamente italiano. È un marchio che riesce a differenziarsi in un mercato ampio come quello degli accessori di moda».
Come cambierà il brand Braccialini sotto il controllo di Graziella?
«Stiamo lavorando per la creazione di prodotti total green. Negli ultimi anni abbiamo investito nelle energie rinnovabili e stiamo portanti avanti studi per trovare soluzioni ecologiche da applicare sulla nostra prima linea e anche nel brand Braccialini. Puntiamo su un futuro green, perché siamo sicuri ci sia un mercato ampio da esplorare».
Sarete presenti a VincenzaOro con i gioielli Graziella e le borse Braccialini. Avete in programma di festeggiare questa nuova unione?
«Sicuramente la fine dell'anno sarà l'occasione perfetta per festeggiare i nostri sessant'anni e l'acquisizione di Braccialini. Non ci interessa però organizzare qualcosa di fastoso per apparire sui social, preferiamo festeggiare con quelle persone che lavorano al nostro fianco ogni giorno. Sono loro le persone più importanti».
Mariella Baroli
Milano diventa capitale della moda. E Armani fa la sfilata all'aeroporto
Da domani al 24 settembre Milano diventa la capitale mondiale della moda. Tutta la città sarà in fermento con la Milano fashion week, grazie a un settore che si conferma trainante per il Paese. «Il settore moda rimane uno dei più dinamici», spiega Carlo Capasa, presidente della Camera nazionale della moda italiana, «con un fatturato complessivo di circa 90 miliardi e una crescita del 3% circa, trainata dalle esportazioni». Sono 61 gli show in calendario, 9 sfilate co-ed (uomo e donna in passerella), 80 presentazioni, 44 eventi tra mostre, inaugurazioni, feste.
Tra i nuovi ingressi e i debutti in passerella, si segnala Tiziano Guardini, vincitore del premio Franca Sozzani Gcc award for best emerging designer in occasione della prima edizione dei Green carpet fashion awards Italia, previsto per il 20 settembre. Sfilano inoltre, per la prima volta in calendario, A.F. Vandervorst e Fila. Grazie al supporto della Camera nazionale della moda italiana, debuttano anche Ultrachic, Chika Kisada e +ACT N.1, vincitore di Who's on next? 2017. Tra i graditi ritorni, le sfilate Byblos il 19 settembre e Iceberg venerdì 21 settembre, oltre all'ingresso ufficiale in calendario di Agnona il 22 settembre. Sempre presenti sul catwalk di Milano i big Alberta Ferretti, Moncler (19 settembre), Fendi, Prada, Moschino (20 settembre), Versace (21 settembre), Salvatore Ferragamo, Roberto Cavalli (22 settembre), Giorgio Armani (23 settembre).
Saranno 9 le sfilate co-ed presenti nel calendario della Mfw: Antonio Marras, Byblos, Emporio Armani, Fila, Gcds, Jil Sander, Moncler, Salvatore Ferragamo e Tiziano Guardini. Dopo il grande successo dello scorso anno, in occasione della fashion week avrà luogo la seconda edizione dei Green carpet fashion awards Italia, organizzati da Camera Nazionale della Moda Italiana in collaborazione con Eco-Age e con il supporto del ministero dello Sviluppo economico, Ice agenzia e Comune di Milano. L'evento avrà luogo il 23 settembre al teatro alla Scala. Anche Gucci, che questa volta sfilerà a Parigi, sarà comunque presente nel calendario della Mfw con due iniziative legate al mondo della cultura previste all'inizio e alla fine della settimana della moda.
Saranno 2.300 gli ospiti della mega festa organizzata da Giorgio Armani per Emporio Armani Boarding, che si svolgerà il 20 settembre all'hangar dell'aeroporto di Milano Linate. L'aeroporto, che per la prima volta ospiterà una sfilata, farà da cornice alla presentazione delle collezioni e si concluderà con la performance di una pop star internazionale.
Dal 21 al 24 settembre andrà in scena una nuova edizione del salone White Milano, in zona Tortona, con espositori in crescita del 5%: 562 marchi, 375 italiani e 187 esteri, di cui 243 nuovi ingressi. Tra le novità, la presenza di Fiorucci come special guest e del designer belga An Vandervost come special project.
Mipel è l'evento internazionale più seguito dai bag addicted, giunto alla 114^ edizione, dedicato alla pelletteria più importante del settore (350 brand italiani ed esteri). Super è il salone prêt-à-porter e accessori donna di Pitti immagine, arrivato alla 12° edizione. Protagoniste le collezioni di oltre 100 brand internazionali di pret-à-porter e accessori donna per la primavera-estate 2019, di cui il 50% nuovi e il 40% proveniente dall'estero. The one Milano, salone del ready-to-wear femminile e degli accessori (140 collezioni: 95 italiane e 45 straniere provenienti da 12 Paesi), sarà a Fieramilanocity ma anche in città.
Micam è l'appuntamento con il salone internazionale del settore calzaturiero, leader nel mondo, promosso da Assocalzaturifici e giunto all'86° edizione. Un'occasione unica di business per i 1396 espositori, di cui 778 italiani e 618 stranieri, su una superficie di 62.267 metri quadrati, che presenteranno in anteprima le collezioni primavera-estate. Micam è una vetrina prestigiosa del made in Italy: ai marchi storici dell'alta moda italiana quest'anno si aggiungono Alv by Alviero Martini, Cerruti 1881, Fratelli Rossetti, Ferré Collezioni, Moreschi e Rodo Firenze.
Paola Bulbarelli
Continua a leggere
Riduci
Con un valore di 24,2 miliardi di euro, il sistema moda in Italia è uno dei settori chiave per l'economia del nostro Paese. Le vendite online, tuttavia, faticano a decollare e lo strumento dell'ecommerce risulta ancora poco diffuso. Il Made in Italy fa da traino al segmento soprattutto in Cina, Giappone, Canada, Stati Uniti ed Emirati Arabi Uniti dove la bellezza e l'italianità continuano a ricevere grande attenzione. Parla Gianni Gori, amministratore delegato di Graziella, il gruppo che ha recentemente acquisito Braccialini. «Il consumatore oggi va più alla ricerca del prezzo che della qualità. Puntiamo su un futuro green, perché siamo sicuri ci sia un mercato ampio da esplorare».Milano diventa capitale del fashion. E Armani fa la sfilata all'aeroporto. Fino al 24 settembre passerelle in tutta la città: 61 show, 80 presentazioni e 44 eventi. Lo speciale contiene quattro articoli.Basta fare due passi questa settimana a Milano, dove si sta tenendo la Milano Fashion Week, per capire quanto la moda rappresenti un'industria fertile per l'Italia. Come spiega uno studio messo a punto da Intesa Sanpaolo il sistema moda, che comprende tessile, abbigliamento e calzature, è un settore chiave per l'economia italiana: con 24,2 miliardi di euro di valore aggiunto generato nel 2017, rappresenta il 10% del manifatturiero e occupa circa 500 mila addetti, ovvero il 15,5% degli addetti occupati complessivamente nella manifattura italiana.Non si tratta solo di un'eccellenza nazionale. La moda «Made in Italy» mantiene saldo il suo primato in Europa, sia in termini di produzione che di fatturato. Più di un terzo del valore aggiunto generato dal sistema moda dell'Unione Europea è associabile all'Italia (33,9%), una quota pari a tre volte quella tedesca, quattro volte quella spagnola e quasi cinque volte quella francese.Il primato italiano è evidente anche in termini di saldo commerciale, in attivo per quasi 20 miliardi di euro a fine 2017. È un dato rilevante, soprattutto se confrontato con il disavanzo francese (-13,9 miliardi), tedesco (-19 miliardi) o del Regno Unito (-21 miliardi). Si tratta, inoltre, di un importante indicatore di competitività, che sintetizza diversi punti di forza della filiera produttiva italiana. A premiare l'industria italiana della moda è la sua struttura a distretti, spiega nella sua analisi Gregorio De Felice, capo economista di Intesa Sanpaolo. «L'ampia base produttiva, forte dell'organizzazione reticolare tipica dei distretti industriali, preserva nel tempo competenze e conoscenze, supportando una forte diversificazione di prodotto e l'elevata qualità della produzione Made in Italy«, spiega. Come si nota nell'indagine di Ca' De Sass, il 70% circa delle esportazioni italiane della moda (circa 51 miliardi di euro nel 2017) si posiziona sull'alta gamma, la fascia di mercato più redditizia. Nonostante la forte pressione concorrenziale, derivante dall'avanzata dei player asiatici, l'Italia mantiene infatti, ancora, elevate quote di mercato che, nell'alto di gamma, raggiungono il 16% nelle calzature e il 21% nel comparto pelli e pelletteria. Tra le particolarità, l'industria italiana della moda si fa notare perché ancora oggi produce il 78,7% dei suoi prodotti nei confini italiani. La filiera della moda francese, dominata dai grandi player del lusso che hanno spinto maggiormente sulla leva della delocalizzazione, presenta invece un contributo domestico alla produzione pari solamente al 60,5%. Il motivo di questi dati è che la produzione italiana, soprattutto quella di alto livello, ha un forte legame con il territorio e certe peculiarità si perderebbero delocalizzando la produzione in Paesi dove la manodopera costa meno.«Una quota consistente di imprese capofila del sistema moda intervistate da Intesa Sanpaolo valuta ancora fondamentale il rapporto con subfornitori e/o terzisti locali, grazie alla qualità dei servizi e dei prodotti offerti, alla possibilità di personalizzare i prodotti, all'affidabilità e alla specializzazione della forza lavoro», spiega De Felice.Questi tratti distintivi del modello di produzione «Made in Italy» sono anche alla base della partecipazione attiva delle imprese italiane alle catene di produzione dei partner europei: il 6,2% dell'output di moda francese, ad esempio, è originato in Italia. Ma se la produzione e il sistema moda Italia funzionano bene, va sottolineato che le aziende italiane del settore non sono ancora riuscite a pieno a prendere il «treno» della trasformazione digitale. Nonostante l'aumento delle vendite da siti italiani (che hanno raggiunto i 3 miliardi di euro nel 2016), lo strumento dell'ecommerce risulta ancora poco diffuso, soprattutto tra le imprese più piccole. Da una indagine ad hoc realizzata da Intesa Sanpaolo (su 161 aziende capofila che operano in 36 distretti del sistema moda e generano 14,5 miliardi di euro di fatturato) emerge che il 70% delle imprese intervistate effettua vendite on-line. Questa percentuale si riduce al 18% per le piccole imprese.Inoltre, poche imprese utilizzano strategie complesse: solo il 12% del totale le aziende effettua vendite on-line sia sul proprio sito sia tramite marketplace e dispone di una app dedicata.Il comparto della moda in Italia ha dunque bisogno di crescere. Oggi può ancora fare affidamento sull'«italianità», una ricetta fatta di materiali pregiati, tecniche costruttive e stile che giustificano prezzi da capogiro per l'alto di gamma. Ma non potrà essere così in eterno. Bisogna prima di tutto recuperare il tempo perduto nell'ecommerce. I produttori asiatici ci sono col «fiato sul collo» e prima o poi l'italianità non basterà a non farci superare. Gianluca Baldini INFOGRAFICA !function(e,t,n,s){var i="InfogramEmbeds",o=e.getElementsByTagName(t)[0],d=/^http:/.test(e.location)?"http:":"https:";if(/^\/{2}/.test(s)&&(s=d+s),window[i]&&window[i].initialized)window[i].process&&window[i].process();else if(!e.getElementById(n)){var a=e.createElement(t);a.async=1,a.id=n,a.src=s,o.parentNode.insertBefore(a,o)}}(document,"script","infogram-async","https://e.infogram.com/js/dist/embed-loader-min.js"); <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/al-via-la-settimana-della-moda-a-milano-vola-il-settore-da-solo-vale-oltre-24-miliardi-di-euro-2605963633.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="le-grandi-sfide-per-la-moda-italiana-i-mercati-mondiali-dalla-cina-al-giappone-fino-agli-emirati-arabi" data-post-id="2605963633" data-published-at="1765412626" data-use-pagination="False"> Le grandi sfide per la moda italiana? I mercati mondiali: dalla Cina al Giappone fino agli Emirati Arabi Giusto il 17 settembre, il vicepremier e ministro del Lavoro, Luigi Di Maio, a margine del Micam, salone internazionale del settore calzaturiero spiegava che «il tavolo che abbiamo oggi sulla moda ci consentirà di coordinare le politiche di sviluppo e di investimento in questo settore, nei prossimi 5 anni per quanto riguarda questo governo», continua. «Ma io oso dire, servono piani di medio e lungo termine a 20 anni. È chiaro che qui ci sono due grandi fronti: giocare prima di tutto all'attacco sui mercati internazionali perché siamo leader in questo settore; il tavolo che si apre oggi con tutti gli attori coinvolti che dovrà servire a continuare la lotta alla contraffazione», ha concluso.Certo, la lotta alla contraffazione è d’obbligo, soprattutto in un mercato come quello italiano costellato da grandi marchi noti in tutto il mondo. Il problema è riuscire a crescere a livello internazionale. Del resto, i fondamentali di crescita del sistema moda italiano restano solidi, anche se in uno scenario non esente da rischi legati alla possibile flessione del commercio internazionale. Come spiega uno studio di Intesa Sanpaolo sul settore, il fatturato del sistema moda è atteso crescere ad un tasso medio annuo dell’1,5% nel periodo 2019-22, a prezzi costanti, trainato soprattutto dai mercati esteri, oltre che da una ripresa del mercato interno. La propensione all’export del settore, già strutturalmente elevata (61,4% nel 2017), è infatti destinata ad aumentare ancora (fino a sfiorare il 66% nel 2022), spingendo verso un ulteriore miglioramento del saldo commerciale, che potrà avvicinarsi ai 25 miliardi di euro nell’orizzonte del 2023. Insomma, c’è spazio per crescere ancora. A dirlo sono gli ultimi dati congiunturali sulle esportazioni, di fonte Istat. Le vendite all’estero del sistema moda sono cresciute del 3,5% tendenziale nella prima metà del 2018, a valori correnti, per un totale esportato pari a 26 miliardi di euro. Risultati positivi hanno riguardato i principali mercati di sbocco, sia maturi (come Francia, Germania e Svizzera) che emergenti (ad iniziare da Cina e Hong Kong). In un contesto di domanda globale in espansione, «prevediamo un incremento di circa 42 miliardi di dollari del commercio globale di alta moda entro il 2021», spiega Gregorio De Felice, capo economista di Intesa Sanpaolo. Intercettare questa domanda aggiuntiva rappresenta, insomma, per le imprese della moda italiana, un’importante sfida da cogliere. Le opportunità di crescita si concentrano, soprattutto, nei mercati più distanti dall’Italia, quali Cina-Hong Kong, Giappone, Canada, Stati Uniti ed Emirati Arabi Uniti, dove l’alta gamma Made in Italy ha già conquistato traguardi importanti e continua a ricevere grande attenzione.Gianluca Baldini <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/al-via-la-settimana-della-moda-a-milano-vola-il-settore-da-solo-vale-oltre-24-miliardi-di-euro-2605963633.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="il-consumatore-oggi-va-piu-alla-ricerca-del-prezzo-che-della-qualita-puntiamo-su-un-futuro-green-perche-siamo-sicuri-ci-sia-un-mercato-ampio-da-esplorare" data-post-id="2605963633" data-published-at="1765412626" data-use-pagination="False"> «Il consumatore oggi va più alla ricerca del prezzo che della qualità. Puntiamo su un futuro green, perché siamo sicuri ci sia un mercato ampio da esplorare» Il Gruppo Graziella festeggia i suoi primi 60 anni di attività con l'acquisizione della storica azienda fiorentina di pelletteria Braccialini. Il suo amministratore delegato Gianni Gori, figlio della fondatrice Graziella, ci parla di questa importante acquisizione e dei progetti per il futuro.Il Gruppo Graziella ha chiuso l'ultimo anno con un aumento del fatturato del 30%. Come siete riusciti a gestire e superare la crisi dei mercati degli ultimi anni?«Il maggiore punto di forza nel nostro gruppo è che siamo una realtà familiare. Anche noi abbiamo dovuto fare i conti con periodi di crisi - specialmente nel settore orafo - ma siamo riusciti a trovare le giuste strategie per superare questa flessione nel mercato. Abbiamo raggiunto paesi nuovi e fatto investimenti sul lungo periodo. Gli investimenti industriali sono per noi la base della nostra crescita».Quali sono le vostre previsioni per il 2018?«Lo scorso anno il nostro fatturato era vicino agli 80 milioni, ma l'acquisizione di Braccialini dovrebbe portarci a superare i 100 milioni entro la fine dell'anno».Quali sono i vostri mercati di riferimento?«Graziella - con la sua collezione di gioielli - viene venduta prevalentemente all'estero. Possiamo dire che l'export rappresenti il 75% del fatturato della holding. Per quanto riguarda Braccialini, il mercato italiano rappresenta il 30%».Quanto vale il Made in Italy nel mondo?«Il Made in Italy è sicuramente un fattore determinante per le vendite nel settore moda, soprattutto quando parliamo di "affordable luxury". Il consumatore oggi va più alla ricerca del prezzo che della qualità. Sono poche le caratteristiche che possono spingere a spendere qualcosa di più del normale. Bisogna essere sempre freschi e dinamici se si vuole avere successo».Quali sono le motivazioni dietro la scelta di acquisire il brand Braccialini?«La fantasia e la creatività di Braccialini, nonché la sua ricca storia, ha un qualcosa di tipicamente italiano. È un marchio che riesce a differenziarsi in un mercato ampio come quello degli accessori di moda».Come cambierà il brand Braccialini sotto il controllo di Graziella?«Stiamo lavorando per la creazione di prodotti total green. Negli ultimi anni abbiamo investito nelle energie rinnovabili e stiamo portanti avanti studi per trovare soluzioni ecologiche da applicare sulla nostra prima linea e anche nel brand Braccialini. Puntiamo su un futuro green, perché siamo sicuri ci sia un mercato ampio da esplorare».Sarete presenti a VincenzaOro con i gioielli Graziella e le borse Braccialini. Avete in programma di festeggiare questa nuova unione?«Sicuramente la fine dell'anno sarà l'occasione perfetta per festeggiare i nostri sessant'anni e l'acquisizione di Braccialini. Non ci interessa però organizzare qualcosa di fastoso per apparire sui social, preferiamo festeggiare con quelle persone che lavorano al nostro fianco ogni giorno. Sono loro le persone più importanti».Mariella Baroli <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem3" data-id="3" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/al-via-la-settimana-della-moda-a-milano-vola-il-settore-da-solo-vale-oltre-24-miliardi-di-euro-2605963633.html?rebelltitem=3#rebelltitem3" data-basename="milano-diventa-capitale-della-moda-e-armani-fa-la-sfilata-all-aeroporto" data-post-id="2605963633" data-published-at="1765412626" data-use-pagination="False"> Milano diventa capitale della moda. E Armani fa la sfilata all'aeroporto Da domani al 24 settembre Milano diventa la capitale mondiale della moda. Tutta la città sarà in fermento con la Milano fashion week, grazie a un settore che si conferma trainante per il Paese. «Il settore moda rimane uno dei più dinamici», spiega Carlo Capasa, presidente della Camera nazionale della moda italiana, «con un fatturato complessivo di circa 90 miliardi e una crescita del 3% circa, trainata dalle esportazioni». Sono 61 gli show in calendario, 9 sfilate co-ed (uomo e donna in passerella), 80 presentazioni, 44 eventi tra mostre, inaugurazioni, feste. Tra i nuovi ingressi e i debutti in passerella, si segnala Tiziano Guardini, vincitore del premio Franca Sozzani Gcc award for best emerging designer in occasione della prima edizione dei Green carpet fashion awards Italia, previsto per il 20 settembre. Sfilano inoltre, per la prima volta in calendario, A.F. Vandervorst e Fila. Grazie al supporto della Camera nazionale della moda italiana, debuttano anche Ultrachic, Chika Kisada e +ACT N.1, vincitore di Who's on next? 2017. Tra i graditi ritorni, le sfilate Byblos il 19 settembre e Iceberg venerdì 21 settembre, oltre all'ingresso ufficiale in calendario di Agnona il 22 settembre. Sempre presenti sul catwalk di Milano i big Alberta Ferretti, Moncler (19 settembre), Fendi, Prada, Moschino (20 settembre), Versace (21 settembre), Salvatore Ferragamo, Roberto Cavalli (22 settembre), Giorgio Armani (23 settembre). Saranno 9 le sfilate co-ed presenti nel calendario della Mfw: Antonio Marras, Byblos, Emporio Armani, Fila, Gcds, Jil Sander, Moncler, Salvatore Ferragamo e Tiziano Guardini. Dopo il grande successo dello scorso anno, in occasione della fashion week avrà luogo la seconda edizione dei Green carpet fashion awards Italia, organizzati da Camera Nazionale della Moda Italiana in collaborazione con Eco-Age e con il supporto del ministero dello Sviluppo economico, Ice agenzia e Comune di Milano. L'evento avrà luogo il 23 settembre al teatro alla Scala. Anche Gucci, che questa volta sfilerà a Parigi, sarà comunque presente nel calendario della Mfw con due iniziative legate al mondo della cultura previste all'inizio e alla fine della settimana della moda. Saranno 2.300 gli ospiti della mega festa organizzata da Giorgio Armani per Emporio Armani Boarding, che si svolgerà il 20 settembre all'hangar dell'aeroporto di Milano Linate. L'aeroporto, che per la prima volta ospiterà una sfilata, farà da cornice alla presentazione delle collezioni e si concluderà con la performance di una pop star internazionale. Dal 21 al 24 settembre andrà in scena una nuova edizione del salone White Milano, in zona Tortona, con espositori in crescita del 5%: 562 marchi, 375 italiani e 187 esteri, di cui 243 nuovi ingressi. Tra le novità, la presenza di Fiorucci come special guest e del designer belga An Vandervost come special project. Mipel è l'evento internazionale più seguito dai bag addicted, giunto alla 114^ edizione, dedicato alla pelletteria più importante del settore (350 brand italiani ed esteri). Super è il salone prêt-à-porter e accessori donna di Pitti immagine, arrivato alla 12° edizione. Protagoniste le collezioni di oltre 100 brand internazionali di pret-à-porter e accessori donna per la primavera-estate 2019, di cui il 50% nuovi e il 40% proveniente dall'estero. The one Milano, salone del ready-to-wear femminile e degli accessori (140 collezioni: 95 italiane e 45 straniere provenienti da 12 Paesi), sarà a Fieramilanocity ma anche in città. Micam è l'appuntamento con il salone internazionale del settore calzaturiero, leader nel mondo, promosso da Assocalzaturifici e giunto all'86° edizione. Un'occasione unica di business per i 1396 espositori, di cui 778 italiani e 618 stranieri, su una superficie di 62.267 metri quadrati, che presenteranno in anteprima le collezioni primavera-estate. Micam è una vetrina prestigiosa del made in Italy: ai marchi storici dell'alta moda italiana quest'anno si aggiungono Alv by Alviero Martini, Cerruti 1881, Fratelli Rossetti, Ferré Collezioni, Moreschi e Rodo Firenze. Paola Bulbarelli
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Continua a leggere
Riduci
Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
Continua a leggere
Riduci
Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
Continua a leggere
Riduci