
Francesco dimesso dal Gemelli. Subito Avvenire interrompe gli strali contro il tycoon e ammette: «Positivo il dialogo Usa-Russia, per trattare niente preclusioni».Il padrone dell’azienda è ritornato, e all’improvviso i dipendenti debbono ritornare ai propri posti, riabbassare la cresta e rimettersi a fare ciò che il principale aveva disposto. Per quanto papa Bergoglio abbia molto insistito nei suoi libri e nei suoi discorsi sul tema della speranza, sembra che fra gli alti prelati non fossero in molti a contare su un suo ritorno in salute. Anzi è probabile che i più lo dessero per spacciato. E invece Francesco, dopo 38 giorni di degenza al Gemelli, ha fatto ritorno a Santa Marta, ha parlato alla folla e non sembra avere intenzione di ritornare al Padre, almeno a strettissimo giro. La faccenda non è senza conseguenze: guarda caso, sulla stampa cattolica sono ricomparsi gli appelli alla pace che nelle ultime settimane si erano decisamente affievoliti. Ieri, sulla prima pagina di Avvenire, è apparso un editoriale di Adriano Roccucci che esibiva una chiarezza e un realismo rari e molto apprezzabili. Al dialogo fra Trump e Putin, ha scritto Roccucci, l’Europa spiazzata ha reagito «accentuando la solidarietà all’Ucraina e al suo presidente: dalle prese di posizione dei vertici della Ue alla convocazione ad opera di Macron e Starmer del gruppo dei volenterosi. Se da una parte si è invocata la “pace attraverso la forza” (Ursula von der Leyen), dall’altra la sensazione che i Paesi europei siano fuori gioco sembra essere una certezza. II ReArm Europe, dai contorni ancora nebulosi, non pare essere una soluzione alla questione di una Difesa comune europea, ma solo una possibilità di riarmo offerta ai singoli Stati nazionali aderenti all’Ue». Sorprendente: dopo giorni in cui il giornale dei vescovi si è allineato alla sinistra prevalente inveendo contro Trump e i suoi tentativi di comporre la crisi, ecco che ieri Avvenire ha rifilato una bella staffilata ai mitraglieri da tinello europeisti. E non è finita. Roccucci ha spiegato che «la ripresa di un dialogo tra gli Stati Uniti e la Russia è, pur con tutte le ambiguità del caso, una novità positiva, che innanzitutto ha allontanato la minaccia di una escalation fuori controllo, con pericolo di scontro nucleare e di guerra mondiale. Inoltre ha avviato un processo che permette di pensare a un percorso negoziale». Fantastico: il dialogo che fino all’altro giorno veniva deprecato, ora torna importante e desiderabile. «La pace è questione complessa ed è frutto di un processo, non lineare, per molti versi arduo, ma necessario», dice giustamente l’editorialista di Avvenire. «La ricerca della pace avviene nel cuore della guerra, su un terreno ambiguo per sua natura. Le trattative nascono deboli. [...] Per fare la pace bisogna trattare con chi fa la guerra. Se dovessero prevalere preclusioni di carattere ideologico verso una delle parti, per quanto possano essere fondate, l’unica alternativa sarebbe arrivare alla resa dell’avversario, in altre parole alla vittoria». Parole santissime, condivisibili della prima all’ultima. Parole che da un bel po’ di tempo non si leggevano sul quotidiano vescovile. Non appena Francesco è tornato a casa, però, miracolosamente la linea editoriale si è raddrizzata: meno bellicismo, più ragione. Certo, può darsi che sia una coincidenza, ma chi crede nella provvidenza divina dovrebbe sapere che raramente è il caso a governare i destini. Giova ricordare, a tale proposito, che Francesco - pure del letto d’ospedale, non appena uscito dalla fase più acuta di crisi - si è preoccupato di scrivere una lettera in cui auspicava proprio la pace in Ucraina e altrove. Lettera che - guarda il caso, di nuovo - non è stata pubblicata da Avvenire bensì dal Corriere della Sera. Sono segnali. Del resto il Papa fin dal principio ha invitato al dialogo alla trattativa. Già nel 2022, a pochi mesi dall’ingresso delle truppe russe nei confini ucraini, ribadiva che «la vera sfida, per essere figli del Padre e costruire un mondo di fratelli, è imparare ad amare tutti, anche il nemico». Circa un anno fa, ritornando per l’ennesima volta sull’argomento, utilizzò parole ancora più affilate: «È più forte chi vede la situazione, chi pensa al popolo, chi ha il coraggio della bandiera bianca, di negoziare. Oggi si può negoziare con l’aiuto delle potenze internazionali. La parola negoziare è coraggiosa. Quando vedi che sei sconfitto, che le cose non vanno, occorre avere il coraggio di negoziare. Hai vergogna, ma con quante morti finirà? Negoziare in tempo, cercare qualche Paese che faccia da mediatore. Non abbiate vergogna di negoziare prima che la cosa sia peggiore». Più esplicito di così non avrebbe potuto essere, e infatti la sala stampa vaticana fu costretta a correre ai ripari, moderando e stemperando. Dopo tutto non è un segreto che anche fra i vertici della Chiesa vi siano forze più propense a seguire Ursula von der Leyen che a lavorare per la tregua. Ora però Francesco è rientrato, parla, scrive e legge. E, piaccia o meno, comanda. Il padrone è tornato, l’azienda è la sua: tocca adeguarsi e riporre il moschetto e il Manifesto di Ventotene. Ma non disperino i bellicosi europeisti: magari al prossimo giro diventerà Papa Michele Serra, e allora sì che potranno rifarsi.
Il Tempio di Esculapio, all’interno del parco di Villa Borghese (IStock)
La capitale in versione insolita: in giro dal ghetto ebraico a Villa Borghese, tra tramonti, osterie e nuovi indirizzi.
John Lennon e la cover del libro di Daniel Rachel (Getty Images)
Un saggio riscrive la storia della musica: Lennon si ritraeva come il Führer e Clapton amava il superconservatore Powell.
L’ultimo è stato Fedez: dichiarando di preferire Mario Adinolfi ad Alessandro Zan e scaricando il mondo progressista che ne aveva fatto un opinion leader laburista, il rapper milanese ha dimostrato per l’ennesima volta quanto sia avventata la fiducia politica riposta in un artista. Una considerazione che vale anche retrospettivamente. Certo, la narrazione sul rock come palestra delle lotte per i diritti è consolidata. Non di meno, nasconde zone d’ombra interessanti.
Gianrico Carofiglio (Ansa)
Magistrato, politico in quota Pd per un breve periodo e romanziere. Si fa predicatore del «potere della gentilezza» a colpi di karate. Dai banchi del liceo insieme con Michele Emiliano, l’ex pm barese si è intrufolato nella cricca degli intellò scopiazzando Sciascia.
(IStock)
Pure la Francia fustiga l’ostinazione green di Bruxelles: il ministro Barbut, al Consiglio europeo sull’ambiente, ha detto che il taglio delle emissioni in Ue «non porta nulla». In Uk sono alle prese con le ambulanze «alla spina»: costate un salasso, sono inefficienti.
Con la Cop 30 in partenza domani in Brasile, pare che alcuni Paesi europei si stiano svegliando dall’illusione green, realizzando che l’ambizioso taglio delle emissioni in Europa non avrà alcun impatto rilevante sullo stato di salute del pianeta visto che il resto del mondo continua a inquinare. Ciò emerge dalle oltre 24 ore di trattative a Bruxelles per accordarsi sui target dell’Ue per il clima, con alcune dichiarazioni che parlano chiaro.






