2019-06-17
Aiuto qui ci tolgono il crocifisso
Dal Cristo coperto con lo scotch a quelli spariti dalle aule scolastiche: ecco chi fa la guerra al simbolo dell'Occidente.L'antesignana di tutti gli occultatori fu Soile Tuulikki Lautsi, una donna di origini finlandesi, residente con i due figli e il marito ad Abano Terme, in provincia di Padova. Il 22 aprile del 2002, durante un incontro presso la scuola frequentata dai bambini, dove, in ogni classe, era affisso un crocifisso, sollevò, per prima pubblicamente, la questione della presenza dei simboli religiosi nelle classi e ne chiese la rimozione, sostenendo che avrebbero potuto influenzare la crescita e l'orientamento dei ragazzi. Da allora sono passati 17 anni, e la resistenza contro chi vuole coprire, censurare, eliminare il crocifisso dai luoghi pubblici non è ancora finita.L'apice si è sfiorato il 9 giugno scorso, durante la seconda tornata delle amministrative, in uno dei seggi elettorali di Signa, in provincia di Firenze. La moglie dell'attuale sindaco Pd, Giampiero Fossi, eletto poi al ballottaggio, in quell'occasione presidente di seggio, non ha esitato a coprire con una croce fatta con due pezzi di scotch il crocifisso appeso al muro della scuola. E una volta indossata la fascia tricolore, il marito ne ha difeso l'operato.Ma negli ultimi anni, gli episodi sono stati numerosi. Nel 2013, durante i lavori di ristrutturazione, dall'aula magna dell'Università di Firenze, per decisione del rettore, il crocifisso venne rimosso. L'atto diede la stura a un biennio di rimostranze da parte degli studenti di sinistra, con tanto di cortei nati sotto lo slogan «Scrocifiggiamo l'università». L'anno successivo toccava a Trieste: Davide Zotti, docente di filosofia al liceo cittadino rimosse, senza alcun mandato, il crocifisso da una delle sue classi. Si sentiva offeso, in quanto gay, dalle dichiarazioni del cardinale Camillo Ruini, che poche ore prima, a proposito delle unioni omosessuali, aveva parlato di «diritti immaginari». Per il docente scattò il procedimento disciplinare e la croce fu rimessa al suo posto. Lo stesso anno, in Basilicata, la vicepresidente della giunta regionale, Flavia Franconi (Pd), eliminò il Cristo dal suo ufficio sostenendo di «voler dare un segno di accoglienza a tutti». E due anni dopo, a Rozzano, nel Milanese, scoppiò il caso della festa di Natale, con il preside deciso a cancellarla e i genitori su tutte le furie, compresi gli stranieri. Come Hassan, padre di due figli, egiziano di fede musulmana, che interpellato sulla svolta laicista dalla stampa locale, spiegò: «Noi festeggiamo il Natale. Negarlo è sbagliato. Io voglio che i miei figli crescano rispettando gli altri». E, ancora: Fiumicino, novembre 2018. Da una scuola elementare all'improvviso spariscono i crocifissi dalle pareti per «non urtare la sensibilità di chi non è cristiano», e qualche mese dopo, a Siracusa, il crocifisso sparisce dall'aula del Consiglio comunale, per tornarvi solo dopo diversi mesi di lotta indefessa delle minoranze. E arriviamo ai nostri giorni, nei quali, alle buone intenzioni del ministro alla Cultura, Marco Bussetti, che ha definito quelli cristiani «simboli della nostra storia, della nostra cultura, delle nostre tradizioni», fanno da contraltare le cronache quotidiane. Lo scorso gennaio, a Piacenza un crocifisso è staccato dal muro di una sala pubblica dov'era in corso un convegno interreligioso che vedeva a confronto il biblista don Paolo Mascilongo e il rabbino Elia Enrico Richetti. Uno degli ospiti ebrei ha protestato, chiedendo la rimozione del crocifisso e, detto fatto, l'immagine sacra è stata nascosta miseramente dietro un televisore tra cavi polverosi e vecchie carte.Eppure le sentenze sono chiare: «Non ci sono elementi che attestino l'eventuale influenza» del simbolo cristiano e sulla sua presenza nei luoghi pubblici, ha scritto la Corte europea nel 2011. E in merito alla croce appesa ai muri, «non esiste una questione di legittimità costituzionale», aveva già chiarito la Corte costituzionale nel 2004. Però a qualcuno dà ancora troppo fastidio per lasciarlo dov'è. A portare la questione del crocifisso nelle aule di tribunale fu proprio il caso Lautsi. Contrariata dal no della scuola alla sua richiesta la donna si rivolse al Tribunale amministrativo del Veneto (23 luglio 2002), lamentando la violazione del principio di laicità dello Stato. Il tribunale le diede torto ma la vicenda non era destinata a chiudersi, se non nel 2011, con la sentenza, in Appello, della Corte europea, non prima di essere passata per Tar, Corte costituzionale e Consiglio di Stato, con sorti alterne, che negli anni hanno lasciato spazio a diversi tentativi di oscurare la croce. Nel 2003, per esempio, fu il turno di Adel Smith, fondatore dell'Unione musulmani d'Italia, che nella scuola di Ofena (L'Aquila), frequentata dai figli, chiese e inizialmente ottenne di togliere il crocefisso. Con una sentenza rimasta nella storia il giudice Mario Montanaro accolse il suo ricorso (del tutto simile a quello della Lautsi) ed emanò un'ordinanza urgente nei confronti dell'istituto, sostenendo che il simbolo potrebbe «indurre nell'alunno a una comprensione profondamente scorretta della dimensione culturale della espressione di fede». L'effetto dell'atto durò poco: qualche settimana dopo il Tribunale annullò la disposizione e si dichiarò non competente a decidere. In quello stesso anno Smith scagliò un altro crocifisso dalla finestra dell'ospedale aquilano dove era ricoverata l'anziana madre e, per questo, fu condannato a una pena di 8 mesi per vilipendio alla religione. Il 2009 fu, invece, l'anno della prima sentenza di Strasburgo, quella che impose all'Italia un risarcimento di 5.000 euro per danni morali, definendo il Cristo in croce «una violazione del diritto dei genitori a educare i figli secondo le loro convinzioni». La resistenza al diktat europeo arrivò dai Comuni: una quarantina (tra cui Ascoli Piceno, Asiago e Sassuolo) decisero di emanare ordinanze locali che concedevano l'esposizione della croce nei luoghi pubblici. E il tempo diede loro ragione. Due anni dopo, nel 2011, la Corte europea ribaltò in appello la prima sentenza dando il via libera all'esposizione dell'immagine sacra. Ma la guerriglia non si è mai placata. E gli oscuratori del crocifisso, i talebani della laicità, non depongono le armi.
Giorgia Meloni ad Ancona per la campagna di Acquaroli (Ansa)
«Nessuno in Italia è oggetto di un discorso di odio come la sottoscritta e difficilmente mi posso odiare da sola. L'ultimo è un consigliere comunale di Genova, credo del Pd, che ha detto alla capogruppo di Fdi «Vi abbiamo appeso a testa in giù già una volta». «Calmiamoci, riportiamo il dibattito dove deve stare». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni nel comizio di chiusura della campagna elettorale di Francesco Acquaroli ad Ancona. «C'é un business dell'odio» ha affermato Giorgia Meloni. «Riportiamo il dibattito dove deve stare. Per alcuni è difficile, perché non sanno che dire». «Alcuni lo fanno per strategia politica perché sono senza argomenti, altri per tornaconto personale perché c'e' un business dell'odio. Le lezioni di morale da questi qua non me le faccio fare».
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