Ecco l’elenco delle opere nel mirino dei magistrati perché sarebbero state sottratte alle imposte di successione: ci sono anche dipinti di Warhol e Balthus, un De Chirico, un Balla e tre ritratti dell’Avvocato fatti da Bacon.
Ecco l’elenco delle opere nel mirino dei magistrati perché sarebbero state sottratte alle imposte di successione: ci sono anche dipinti di Warhol e Balthus, un De Chirico, un Balla e tre ritratti dell’Avvocato fatti da Bacon.L’eredità di Marella Caracciolo, la vedova di Gianni Agnelli deceduta nel 2019, si è trasformata in un giallo giudiziario. Soprattutto per il patrimonio e per il denaro, ma anche per la prestigiosa e ricca collezione d’arte. Marella era nota non solo per essere un’icona di stile, almeno così la definivano i settimanali patinati, ma anche per il suo raffinato gusto artistico che si integrava con quello di suo marito. Gli ambienti delle sue proprietà, infatti, erano arricchiti da capolavori di maestri come Claude Monet, Andy Warhol, Giorgio de Chirico e Pablo Picasso. L’inchiesta della Procura di Torino, che ha portato al sequestro preventivo finalizzato alla confisca da 74,8 milioni di euro per evasione fiscale e truffa, con ipotesi che coinvolgono a vario titolo i fratelli John, Ginevra e Lapo Elkann insieme ai consulenti della defunta nonna, il commercialista Gianluca Ferrero, presidente della Juventus, e il notaio Urs Robert von Gruenigen, oltre a ficcare il naso nella ricchissima successione ereditaria, che per l’ipotesi dell’accusa è stata sottratta al fisco italiano, ha esplorato anche gli angoli delle ville di lusso, degli archivi digitali e, soprattutto, dei rapporti familiari. Al centro c’è un’eredità pazzesca, non solo in termini economici ma anche simbolici. Gioielli e opere d’arte di Marella, inclusi degli orecchini di diamanti del valore di 78 milioni di euro destinati a Ginevra e un anello con diamanti di Bulgari da 2.600.000 euro, sarebbero stati trasformati in «regali» fatti ai nipoti quando la nonna era ancora in vita. Un promemoria datato 10 settembre 2019, sei mesi dopo la morte della Caracciolo, avrebbe elencato questi presunti doni, legandoli a ricorrenze come anniversari, compleanni o nascite di figli. Per gli inquirenti fu una spartizione studiata a tavolino, postuma, con l’obiettivo di evitare il peso delle imposte di successione. Le opere d’arte, infatti, dovrebbero essere dichiarate per il valore in commercio al momento del decesso e solo se trasferite per donazione non sarebbero assoggettabili all’imposta. La scoperta del garbuglio è legata a una figura che sembrava particolarmente defilata ma che, grazie al materiale investigativo raccolto dalla Procura di Milano a seguito di un precedente esposto di Margherita Agnelli, figlia di Marella e dell’Avvocato, e acquisito dagli inquirenti torinesi, si è rivelata centrale: Paola Montaldo, fidata collaboratrice di nonna Marella. È proprio lei che, secondo gli inquirenti, avrebbe gestito dei file contenenti preziose informazioni sul patrimonio della donna. File che, ironia della sorte, erano stati imboscati in una cartella di rete dal nome apparentemente innocuo: «Legal\inventari vg». Lì dentro gli inquirenti hanno scoperto un elenco dettagliato di opere d’arte, gioielli e crediti. La Montaldo aveva inviato una mail il 30 settembre 2022 a Gianluca Ferrero, con oggetto «tabella riassuntiva». In allegato c’era un prospetto redatto dalla prestigiosa casa d’aste Sotheby’s, che ha stimato i beni mobili della Caracciolo nel 2020, ovvero quando nonna Marella era già passata a miglior vita. Un patrimonio disseminato tra ville e chalet sparsi in tutto il mondo: Chesa Alcyon a Saint Moritz, Chesa Mezdi, Marrakech, la famosa Villa Frescot a Torino e lo chalet Icy a Gstaad (dove era stata fissata la sua residenza fittizia per assoggettare, sostiene l’accusa, la successione alla legge elvetica). E qui, nero su bianco, i pm hanno trovato i nomi dei destinatari: John, Lapo e Ginevra. Il prospetto era chiaro: a John sarebbero andati i beni di Chesa Alcyon, a Lapo quelli di Chesa Mezdi, a Ginevra quelli dello chalet di Gstaad e del riad di Marrakech. I gioielli, invece, sarebbero stati divisi tra i tre fratelli. Insomma, tutto ben suddiviso, ma con una grande assente: Margherita Agnelli, che, stando a quanto emerge dall’inchiesta, è stata completamente tagliata fuori dalla spartizione. La prova decisiva? I file rinvenuti nella cartella «Dm\Valutazioni», nella quale sono conservate le stime della Sotheby’s. Documenti che, per gli inquirenti, testimoniano come il patrimonio finito agli Elkann fosse stato già definito prima ancora che si aprisse ufficialmente la successione.Un gioco di prestigio nel quale al momento giusto i beni più preziosi sarebbero scomparsi dall’inventario ufficiale per finire direttamente nelle mani degli Elkann. Il pm parla di «un ingiusto profitto» da integrare nella già complessa accusa di reato. Le «asserite donazioni eseguite da parte della Caracciolo ai tre nipoti», valuta l’accusa, «ammontano ai seguenti importi»: 29 milioni per John, 28 per Lapo e 111 per Ginevra. Il totale: 170 milioni di euro (che insieme a quote societarie e altri beni avrebbe comportato un danno all’erario stimato dai pm in 32 milioni di euro). Si parla del Glaçons, effet blanc di Monet, valore stimato oltre 17 milioni di euro, del Baskia di Andy Warhol e Jeanmichel Basquiat da 2 milioni e mezzo, di un Marilyn Monroe e di un Batman del solo Warhol, del Three studies for a self portrait di Francis Bacon, di un ritratto di Gianni Agnelli in divisa da ufficiale del famoso ritrattista Umberto Pallastrelli. E di molti altri dipinti griffati da Robert Indiana, Kees Van Dongen, Balthus, Jean Dubuffet. «Tra i beni «scelti», sottolineano gli inquirenti, «vi erano alcuni di valore che successivamente sarebbero stati inseriti negli inventari dei «regali» disposti in favore degli Elkann e non confluiti nell’attivo ereditario». Come un set di piatti russi da 500.000 euro. I sopralluoghi per l’inventario occulto sembrano essere cominciati proprio all’indomani della morte di nonna Marella, che risale al febbraio 2019. Il 31 luglio la Montaldo relaziona a John Elkann con una mail dal linguaggio criptico: «Domani con il personale che arriva a St. Tropez le mandiamo una copia completa dell’inventario accompagnata da una nota che le spiega tutto. Ho parlato con gli avvocati e visto nel dettaglio e abbiamo qualche paletto da rispettare... CL mi ha chiesto una copia dell’inventario completo di AK e ci siamo messi d’accordo [...]». A settembre, invece, un’altra nota indirizzata a John «conteneva delle indicazioni riferite ai beni trasferiti nel 2018 (e quindi prima della morte della Caracciolo) dall’immobile di Roma a quello di Torino», ricostruisce l’accusa. E la Montaldo «proponeva, tra l’altro, di «fare un elenco generale dei regali diviso tra i più vecchi di dieci anni e i recenti»». Fin qui nulla di strano. Nella parte finale dell’appunto, però, è scritto: «Salta meno all’occhio quanto ognuno ha ricevuto». Le valutazioni dell’accusa appaiono a questo punto come particolarmente imbarazzanti: «Si era di fronte a una documentata spoliazione post mortem dell’asse ereditario». Gli Elkann devono aver dimenticato che il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. Per fortuna avevano a disposizione la Montaldo, che a un certo punto segnala «discrepanze» nella scelta dei «regali». Alcuni sarebbero stati scelti contemporaneamente da tutti e tre i fratelli. Ma c’è un giallo nel giallo. Alcune opere d’arte, aveva denunciato Margherita, non erano state più rinvenute. Sparite. Si parla di un Giacomo Balla, di un de Chirico, di un Monet e di due Bacon, oltre a due Picasso e a un Modigliani. Tutti di proprietà dell’avvocato Agnelli. All’appello, alla fine, mancavano 39 tele. E, coincidenza, alcune «sono risultate comprese tra i falsi regali a favore dei fratelli Elkann e, per questo», valutano gli inquirenti, «non caduti in successione».
Antonio Scurati (Ansa)
Eccoli lì, tutti i «veri sapienti» progressisti che si riuniscono per chiedere all’Aie di bandire l’editore «Passaggio al bosco» dalla manifestazione «Più libri più liberi».
Sono tutti lì belli schierati in fila per la battaglia finale. L’ultima grande lotta in difesa del pensiero unico e dell’omologazione culturale: dovessero perderla, per la sinistra culturale sarebbe uno smacco difficilmente recuperabile. E dunque eccoli, uniti per chiedere alla Associazione italiana editori di cacciare il piccolo editore destrorso Passaggio al bosco dalla manifestazione letteraria Più libri più liberi. Motivo? Tale editore sarebbe neofascista, apologeta delle più turpi nefandezze novecentesche e via dicendo. In un appello rivolto all’Aie, 80 autori manifestano sdegno e irritazione. Si chiedono come sia possibile che Passaggio al bosco abbia trovato spazio nella fiera della piccola editoria, impugnano addirittura il regolamento che le case editrici devono accettare per la partecipazione: «Non c’è forse una norma - l’Articolo 24, osservanza di leggi e regolamenti - che impegna chiaramente gli espositori a aderire a tutti i valori espressi nella Costituzione italiana, nella Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione europea e nella Dichiarazione universale dei diritti umani e in particolare a quelli relativi alla tutela della libertà di pensiero, di stampa, di rispetto della dignità umana? Poniamo quindi queste domande e preoccupazioni all’attenzione dell’Associazione italiana editori per aprire una riflessione sull’opportunità della presenza di tali contenuti in una fiera che dovrebbe promuovere cultura e valori democratici». Memorabile: invocano la libertà di pensiero per chiedere la censura.
Olivier Marleix (Ansa)
Pubblicato post mortem il saggio dell’esponente di spicco dei Républicains, trovato impiccato il 7 luglio scorso «Il presidente è un servitore del capitalismo illiberale. Ha fatto perdere credibilità alla Francia nel mondo».
Gli ingredienti per la spy story ci sono tutti. Anzi, visto che siamo in Francia, l’ambientazione è più quella di un noir vecchio stile. I fatti sono questi: un politico di lungo corso, che conosce bene i segreti del potere, scrive un libro contro il capo dello Stato. Quando è ormai nella fase dell’ultima revisione di bozze viene tuttavia trovato misteriosamente impiccato. Il volume esce comunque, postumo, e la data di pubblicazione finisce per coincidere con il decimo anniversario del più sanguinario attentato della storia francese, quasi fosse un messaggio in codice per qualcuno.
Roberto Gualtieri (Ansa)
Gualtieri avvia l’«accoglienza diffusa», ma i soldi andranno solo alla Ong.
Aiutiamoli a casa loro. Il problema è che loro, in questo caso, sono i cittadini romani. Ai quali toccherà di pagare vitto e alloggio ai migranti in duplice forma: volontariamente, cioè letteralmente ospitandoli e mantenendoli nella propria abitazione oppure involontariamente per decisione del Comune che ha stanziato 400.000 euro di soldi pubblici per l’accoglienza. Tempo fa La Verità aveva dato notizia del bando comunale con cui è stato istituito un servizio di accoglienza che sarà attivo dal 1° gennaio 2026 fino al 31 dicembre 2028. E ora sono arrivati i risultati. «A conclusione della procedura negoziata di affidamento del servizio di accoglienza in famiglia in favore di persone migranti singole e/o nuclei familiari o monogenitoriali, in possesso di regolare permesso di soggiorno, nonché neomaggiorenni in carico ai servizi sociali», si legge sul sito del Comune, «il dipartimento Politiche sociali e Salute comunica l’aggiudicazione del servizio. L’affidamento, relativo alla procedura è stato aggiudicato all’operatore economico Refugees Welcome Italia Ets».
2025-12-03
Pronto soccorso in affanno: la Simeu avverte il rischio di una crisi strutturale nel 2026
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iStock
Secondo l’indagine della Società italiana di medicina d’emergenza-urgenza, dal 2026 quasi sette pronto soccorso su dieci avranno organici medici sotto il fabbisogno. Tra contratti in scadenza, scarso turnover e condizioni di lavoro critiche, il sistema di emergenza-urgenza rischia una crisi profonda.
Il sistema di emergenza-urgenza italiano sta per affrontare una delle sue prove più dure: per molti pronto soccorso l’inizio del 2026 potrebbe segnare una crisi strutturale del personale medico. A metterne in evidenza la gravità è Alessandro Riccardi, presidente della Simeu - Società italiana di medicina d’emergenza-urgenza - al termine di un’indagine che fotografa uno scenario inquietante.






