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2025-05-02
L’Africa salva il mercato delle armi russe
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Vladimir Putin stringe la mano al presidente del Mozambico Filipe Nyusi durante una foto con i capi delegazione e i partecipanti al Secondo Vertice del Forum Economico e Umanitario Russia-Africa a San Pietroburgo del 28 luglio 2023 (Ansa)
Con la spesa militare globale mai così alta dai tempi della Guerra fredda, a salvare l’export di Mosca è il continente nero, che riconquista il secondo posto a livello globale scalzando la Francia.
Nel corso del 2024 la spesa militare globale ha raggiunto la cifra senza precedenti di 2,72 trilioni di dollari, segnando +9,4% rispetto all'anno precedente e il più forte aumento annuale dalla fine della Guerra fredda. Lo ha calcolato lo Stockholm International Peace Research Institute (Sipri) che ha anche segnalato come si tratti del decimo anno consecutivo di crescita della spesa militare mondiale, trainata dalle crescenti tensioni geopolitiche in tutte le regioni, ma in Europa e Medio Oriente a fronte dei conflitti in corso in Ucraina e Gaza.
In questo scenario gli Stati Uniti hanno mantenuto la prima posizione con 997 miliardi di dollari, pari al 37% della spesa globale, annunciando che nel 2026 tale spesa supererà il miliardo di dollari. Segue la Cina con una stima di 314 miliardi di dollari, e a scapito della Francia al terzo posto torna la Russia (149 miliardi di dollari), quindi Germania (88,5 miliardi) e l’India (86,1). Insieme, queste nazioni rappresentano il 60% della spesa militare mondiale. I membri della Nato hanno speso complessivamente 1.510 miliardi di dollari per le loro forze armate, rappresentando oltre la metà (55%) della spesa globale. Diciotto dei 32 membri dell'Alleanza hanno raggiunto o superato l'obiettivo di spesa del 2% del Pil. Ovviamente l'Ucraina si posiziona nei primi dieci posti, precisamente all'ottavo posto a livello mondiale con 64,7 miliardi di dollari, ovvero il 34% del suo prodotto interno lordo. Sale anche la spesa militare del Giappone, cresciuta di un sorprendente 21% nel 2024, raggiungendo 55,3 miliardi di dollari, segnando il maggiore incremento dal 1952.
Grandi affari grazie alle guerre più lunghe
Questo preambolo serve per comprendere la posizione della Russia, che dopo aver dato segni di difficoltà – ricordiamo quando l'esportazione di controller per videogiochi dal Regno Unito a Mosca fu vietata in quanto possono essere riutilizzati per pilotare droni contro l'Ucraina – ha trovato il modo di rifornirsi di elettronica, materie prime e prodotti chimici da altre fonti, aggirando in parte le sanzioni su elettronica, macchinari e metalli per non limitare la propria capacità militare e industriale bellica. Tra questi rientrano circuiti elettronici e altri componenti che possono essere utilizzati nei sistemi d'arma. Per il Cremlino è ora importante ricostruire la propria reputazione di esportatore di armi, poiché la mancata vittoria sull’Ucraina l’ha fortemente intaccata e senza accordi con l’Iran e la Corea del Nord le forze russe si sarebbero trovare in grande difficoltà. Nel 2023 la Russia aveva ceduto la sua posizione di secondo fornitore di armi al mondo alla Francia, con un crollo del 53% delle sue vendite, nonostante le esportazioni verso l'Africa subsahariana, dove dal 2018 al 2022 Mosca deteneva una quota di mercato del 26%, seguita dalla Cina con il 21%. Ma il Cremlino ha fatto diversi errori, tanto che le esportazioni di armi russe sono diminuite del 92% dal 2021 al 2024 a causa del reindirizzamento delle risorse verso il fronte ucraino; delle sanzioni, dell'inflazione e dei problemi di finanziamento della produzione. Inoltre, il numero di paesi che acquistano armi russe è diminuito drasticamente e importanti acquirenti, come l'India, si sono rivolti ai concorrenti, ovvero Cina e Francia. Infine, seppure Mosca abbia promosso il suo nuovo caccia stealth Su-57, esaltandone le prestazioni dimostrate in combattimento in Ucraina, ha incontrato scarso successo. Inoltre, dal 2019 al 2023 la quota cinese è scesa al 19%, superando però quella russa del 17%. Ciò perché nello stesso periodo le importazioni di armi da parte dei paesi africani sono crollate del 52% e questo ha provocato un forte calo delle entrate anche per l'industria bellica russa. Alcuni dei principali clienti russi in Africa hanno resistito alle pressioni delle sanzioni, così la Russia ha ceduto terreno nel mercato degli armamenti ad altri fornitori e fa maggiore affidamento su accordi di fornitura di armi con stati fragili e afflitti da conflitti.
Acquisti più rapidi e con meno vincoli politici
Nonostante questo Mosca rimane un partner privilegiato per molti regimi autoritari africani che non potrebbero acquistare armi altrove e neppure ingaggiare istruttori militari. Sia per ragioni economiche, sia per quelle politiche, incontrando barriere e cavilli insormontabili. Al vertice Russia-Africa del luglio 2023, tenutosi a San Pietroburgo, il presidente Vladimir Putin dichiarò che la Russia aveva 40 accordi tecnico-militari in essere con i paesi africani. Questi patti, che comprendono l'antiterrorismo, la sicurezza e l'addestramento delle forze di polizia, aprono le porte a maggiori vendite di armi russe piuttosto che occidentali. Le esperienze di Nigeria, Angola e Uganda sono state emblematiche: da un lato, la Nigeria ha firmato un accordo di cooperazione militare con la Russia nell'agosto 2021, considerando gli elicotteri da combattimento Mi-35M e Mi-171E armi cruciali nella lotta contro Boko Haram. Dall'altro, Russian Helicopter ha subito una grave crisi nella catena di approvvigionamento dei componenti, che avrebbe avuto ripercussioni negative sugli acquisti di armi della Nigeria, che infine ha scelto di rafforzare la propria industria bellica nazionale portandola a un’autosufficienza del 40% entro il 2027, ma anche a firmare un accordo di difesa da un miliardo di dollari con l'India per colmare le lacune russe. L'Angola, che era il più grande cliente russo in Africa, si è trovata ad affrontare un dilemma simile riguardo alla fattibilità dell'acquisto di armi e nel 2019 il presidente angolano João Lourenço aveva dato il via alla costruzione di fabbriche per la produzione di armi russe. Entro la fine del 2022, l'Angola avrebbe voluto disinvestire dalla sua dipendenza dagli equipaggiamenti militari esteri, e in un'intervista del dicembre 2022 a Voice of America, Lourenço aveva ammesso che l'esercito angolano dipendeva dalla tecnologia dell'era sovietica e invitava gli Usa a partecipare ai suoi programmi militari. Alla Conferenza sulla sicurezza di Mosca dell'agosto 2023, il ministro della Difesa ugandese Vincent Sempija si era dichiarato aperto a una cooperazione militare a lungo termine con la Russia. Questa retorica, tuttavia, non si è tradotta in contratti redditizi e la Russia si è sentita in dovere di donare cento milioni di dollari in equipaggiamenti militari per mantenere l'Uganda tra i clienti. Dopo la fornitura di sistemi per la guerra elettronica Krasukha-4 all'Etiopia, Mosca ha perso un grande cliente come l’India, che recentemente ha acquistato caccia Rafale per la propria Marina abbandonando i MiG-29. Secondo Rosoboronexport, la società per l’esportazione di armi del Cremlino, le aziende russe manterrebbero comunque un portafoglio ordini record di 55 miliardi di dollari per forniture destinate a 44 paesi del mondo, annunciando anche di aver firmato i primi contratti con clienti “anonimi” proprio per i caccia russi Su-57e di quinta generazione. Poi si è saputo che si tratterebbe di un Paese africano, l’Algeria.
L’importanza del ruolo dei mercenari
La presenza di compagnie militari private russe in Sudan e Mali ha consentito un trasferimento di armi particolarmente agevole. Queste organizzazioni forniscono ordigni alle forze locali che addestrano e le barattano con i loro clienti in cambio di denaro e concessioni minerarie. Dopo lo scoppio della guerra civile in Sudan nell'aprile 2023, il Gruppo Wagner ha inviato missili alle Forze di Supporto Rapido (Rsf) di Mohamed Hamdan Dagalo e il capo dell'Esercito nazionale libico Khalifa Haftar fu implicato in questo traffico di armi. L'organizzazione successiva a Wagner, l'Afrika Korps, ha trasportato armi da Bangui a Birao (Sudan) e ha utilizzato aerei emiratini per trasferire armi alle Forze armate rivoluzionarie (Rsf). Nonostante questi accordi la Russia ha contemporaneamente perseguito un accordo di scambio di armi per la base di Port Sudan con il rivale di Hemedti, le Forze Armate Sudanesi. Anche l’'abrogazione della cooperazione in materia di sicurezza tra Usa e Niger ha facilitato i trasferimenti di armi russi: nell'aprile 2024 il Niger aveva acquistato sistemi di difesa antiaerea e ha assunto tecnici russi per installarli. Bisogna quindi ricordare sempre che non è tanto il costo di un fucile o di un missile a fare il valore di una commessa, quanto l’indotto in termini di assistenza, addestramento e continuità di aggiornamento per restare al passo con le contromisure adottate dai nemici. Ciò porta a un aumento dei prezzi fino al 500% nei casi più longevi e complessi, come per esempio quello delle batterie di missili per difesa aerea. Ne è un esempio la Turchia, che durante il primo mandato di Trump fu espulsa dal programma industriale dello F-35 per aver acquistato da Putin i missili S-400.
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Con la spesa militare globale mai così alta dai tempi della Guerra fredda, a salvare l’export di Mosca è il continente nero, che riconquista il secondo posto a livello globale scalzando la Francia.Nel corso del 2024 la spesa militare globale ha raggiunto la cifra senza precedenti di 2,72 trilioni di dollari, segnando +9,4% rispetto all'anno precedente e il più forte aumento annuale dalla fine della Guerra fredda. Lo ha calcolato lo Stockholm International Peace Research Institute (Sipri) che ha anche segnalato come si tratti del decimo anno consecutivo di crescita della spesa militare mondiale, trainata dalle crescenti tensioni geopolitiche in tutte le regioni, ma in Europa e Medio Oriente a fronte dei conflitti in corso in Ucraina e Gaza.In questo scenario gli Stati Uniti hanno mantenuto la prima posizione con 997 miliardi di dollari, pari al 37% della spesa globale, annunciando che nel 2026 tale spesa supererà il miliardo di dollari. Segue la Cina con una stima di 314 miliardi di dollari, e a scapito della Francia al terzo posto torna la Russia (149 miliardi di dollari), quindi Germania (88,5 miliardi) e l’India (86,1). Insieme, queste nazioni rappresentano il 60% della spesa militare mondiale. I membri della Nato hanno speso complessivamente 1.510 miliardi di dollari per le loro forze armate, rappresentando oltre la metà (55%) della spesa globale. Diciotto dei 32 membri dell'Alleanza hanno raggiunto o superato l'obiettivo di spesa del 2% del Pil. Ovviamente l'Ucraina si posiziona nei primi dieci posti, precisamente all'ottavo posto a livello mondiale con 64,7 miliardi di dollari, ovvero il 34% del suo prodotto interno lordo. Sale anche la spesa militare del Giappone, cresciuta di un sorprendente 21% nel 2024, raggiungendo 55,3 miliardi di dollari, segnando il maggiore incremento dal 1952.Grandi affari grazie alle guerre più lungheQuesto preambolo serve per comprendere la posizione della Russia, che dopo aver dato segni di difficoltà – ricordiamo quando l'esportazione di controller per videogiochi dal Regno Unito a Mosca fu vietata in quanto possono essere riutilizzati per pilotare droni contro l'Ucraina – ha trovato il modo di rifornirsi di elettronica, materie prime e prodotti chimici da altre fonti, aggirando in parte le sanzioni su elettronica, macchinari e metalli per non limitare la propria capacità militare e industriale bellica. Tra questi rientrano circuiti elettronici e altri componenti che possono essere utilizzati nei sistemi d'arma. Per il Cremlino è ora importante ricostruire la propria reputazione di esportatore di armi, poiché la mancata vittoria sull’Ucraina l’ha fortemente intaccata e senza accordi con l’Iran e la Corea del Nord le forze russe si sarebbero trovare in grande difficoltà. Nel 2023 la Russia aveva ceduto la sua posizione di secondo fornitore di armi al mondo alla Francia, con un crollo del 53% delle sue vendite, nonostante le esportazioni verso l'Africa subsahariana, dove dal 2018 al 2022 Mosca deteneva una quota di mercato del 26%, seguita dalla Cina con il 21%. Ma il Cremlino ha fatto diversi errori, tanto che le esportazioni di armi russe sono diminuite del 92% dal 2021 al 2024 a causa del reindirizzamento delle risorse verso il fronte ucraino; delle sanzioni, dell'inflazione e dei problemi di finanziamento della produzione. Inoltre, il numero di paesi che acquistano armi russe è diminuito drasticamente e importanti acquirenti, come l'India, si sono rivolti ai concorrenti, ovvero Cina e Francia. Infine, seppure Mosca abbia promosso il suo nuovo caccia stealth Su-57, esaltandone le prestazioni dimostrate in combattimento in Ucraina, ha incontrato scarso successo. Inoltre, dal 2019 al 2023 la quota cinese è scesa al 19%, superando però quella russa del 17%. Ciò perché nello stesso periodo le importazioni di armi da parte dei paesi africani sono crollate del 52% e questo ha provocato un forte calo delle entrate anche per l'industria bellica russa. Alcuni dei principali clienti russi in Africa hanno resistito alle pressioni delle sanzioni, così la Russia ha ceduto terreno nel mercato degli armamenti ad altri fornitori e fa maggiore affidamento su accordi di fornitura di armi con stati fragili e afflitti da conflitti.Acquisti più rapidi e con meno vincoli politiciNonostante questo Mosca rimane un partner privilegiato per molti regimi autoritari africani che non potrebbero acquistare armi altrove e neppure ingaggiare istruttori militari. Sia per ragioni economiche, sia per quelle politiche, incontrando barriere e cavilli insormontabili. Al vertice Russia-Africa del luglio 2023, tenutosi a San Pietroburgo, il presidente Vladimir Putin dichiarò che la Russia aveva 40 accordi tecnico-militari in essere con i paesi africani. Questi patti, che comprendono l'antiterrorismo, la sicurezza e l'addestramento delle forze di polizia, aprono le porte a maggiori vendite di armi russe piuttosto che occidentali. Le esperienze di Nigeria, Angola e Uganda sono state emblematiche: da un lato, la Nigeria ha firmato un accordo di cooperazione militare con la Russia nell'agosto 2021, considerando gli elicotteri da combattimento Mi-35M e Mi-171E armi cruciali nella lotta contro Boko Haram. Dall'altro, Russian Helicopter ha subito una grave crisi nella catena di approvvigionamento dei componenti, che avrebbe avuto ripercussioni negative sugli acquisti di armi della Nigeria, che infine ha scelto di rafforzare la propria industria bellica nazionale portandola a un’autosufficienza del 40% entro il 2027, ma anche a firmare un accordo di difesa da un miliardo di dollari con l'India per colmare le lacune russe. L'Angola, che era il più grande cliente russo in Africa, si è trovata ad affrontare un dilemma simile riguardo alla fattibilità dell'acquisto di armi e nel 2019 il presidente angolano João Lourenço aveva dato il via alla costruzione di fabbriche per la produzione di armi russe. Entro la fine del 2022, l'Angola avrebbe voluto disinvestire dalla sua dipendenza dagli equipaggiamenti militari esteri, e in un'intervista del dicembre 2022 a Voice of America, Lourenço aveva ammesso che l'esercito angolano dipendeva dalla tecnologia dell'era sovietica e invitava gli Usa a partecipare ai suoi programmi militari. Alla Conferenza sulla sicurezza di Mosca dell'agosto 2023, il ministro della Difesa ugandese Vincent Sempija si era dichiarato aperto a una cooperazione militare a lungo termine con la Russia. Questa retorica, tuttavia, non si è tradotta in contratti redditizi e la Russia si è sentita in dovere di donare cento milioni di dollari in equipaggiamenti militari per mantenere l'Uganda tra i clienti. Dopo la fornitura di sistemi per la guerra elettronica Krasukha-4 all'Etiopia, Mosca ha perso un grande cliente come l’India, che recentemente ha acquistato caccia Rafale per la propria Marina abbandonando i MiG-29. Secondo Rosoboronexport, la società per l’esportazione di armi del Cremlino, le aziende russe manterrebbero comunque un portafoglio ordini record di 55 miliardi di dollari per forniture destinate a 44 paesi del mondo, annunciando anche di aver firmato i primi contratti con clienti “anonimi” proprio per i caccia russi Su-57e di quinta generazione. Poi si è saputo che si tratterebbe di un Paese africano, l’Algeria.L’importanza del ruolo dei mercenariLa presenza di compagnie militari private russe in Sudan e Mali ha consentito un trasferimento di armi particolarmente agevole. Queste organizzazioni forniscono ordigni alle forze locali che addestrano e le barattano con i loro clienti in cambio di denaro e concessioni minerarie. Dopo lo scoppio della guerra civile in Sudan nell'aprile 2023, il Gruppo Wagner ha inviato missili alle Forze di Supporto Rapido (Rsf) di Mohamed Hamdan Dagalo e il capo dell'Esercito nazionale libico Khalifa Haftar fu implicato in questo traffico di armi. L'organizzazione successiva a Wagner, l'Afrika Korps, ha trasportato armi da Bangui a Birao (Sudan) e ha utilizzato aerei emiratini per trasferire armi alle Forze armate rivoluzionarie (Rsf). Nonostante questi accordi la Russia ha contemporaneamente perseguito un accordo di scambio di armi per la base di Port Sudan con il rivale di Hemedti, le Forze Armate Sudanesi. Anche l’'abrogazione della cooperazione in materia di sicurezza tra Usa e Niger ha facilitato i trasferimenti di armi russi: nell'aprile 2024 il Niger aveva acquistato sistemi di difesa antiaerea e ha assunto tecnici russi per installarli. Bisogna quindi ricordare sempre che non è tanto il costo di un fucile o di un missile a fare il valore di una commessa, quanto l’indotto in termini di assistenza, addestramento e continuità di aggiornamento per restare al passo con le contromisure adottate dai nemici. Ciò porta a un aumento dei prezzi fino al 500% nei casi più longevi e complessi, come per esempio quello delle batterie di missili per difesa aerea. Ne è un esempio la Turchia, che durante il primo mandato di Trump fu espulsa dal programma industriale dello F-35 per aver acquistato da Putin i missili S-400.
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Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
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Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
Per scaricare il numero di «Osservatorio sul Merito» basta cliccare sul link qui sotto.
Merito-Dicembre-2025.pdf
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