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2025-05-02
L’Africa salva il mercato delle armi russe
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Vladimir Putin stringe la mano al presidente del Mozambico Filipe Nyusi durante una foto con i capi delegazione e i partecipanti al Secondo Vertice del Forum Economico e Umanitario Russia-Africa a San Pietroburgo del 28 luglio 2023 (Ansa)
Con la spesa militare globale mai così alta dai tempi della Guerra fredda, a salvare l’export di Mosca è il continente nero, che riconquista il secondo posto a livello globale scalzando la Francia.
Nel corso del 2024 la spesa militare globale ha raggiunto la cifra senza precedenti di 2,72 trilioni di dollari, segnando +9,4% rispetto all'anno precedente e il più forte aumento annuale dalla fine della Guerra fredda. Lo ha calcolato lo Stockholm International Peace Research Institute (Sipri) che ha anche segnalato come si tratti del decimo anno consecutivo di crescita della spesa militare mondiale, trainata dalle crescenti tensioni geopolitiche in tutte le regioni, ma in Europa e Medio Oriente a fronte dei conflitti in corso in Ucraina e Gaza.
In questo scenario gli Stati Uniti hanno mantenuto la prima posizione con 997 miliardi di dollari, pari al 37% della spesa globale, annunciando che nel 2026 tale spesa supererà il miliardo di dollari. Segue la Cina con una stima di 314 miliardi di dollari, e a scapito della Francia al terzo posto torna la Russia (149 miliardi di dollari), quindi Germania (88,5 miliardi) e l’India (86,1). Insieme, queste nazioni rappresentano il 60% della spesa militare mondiale. I membri della Nato hanno speso complessivamente 1.510 miliardi di dollari per le loro forze armate, rappresentando oltre la metà (55%) della spesa globale. Diciotto dei 32 membri dell'Alleanza hanno raggiunto o superato l'obiettivo di spesa del 2% del Pil. Ovviamente l'Ucraina si posiziona nei primi dieci posti, precisamente all'ottavo posto a livello mondiale con 64,7 miliardi di dollari, ovvero il 34% del suo prodotto interno lordo. Sale anche la spesa militare del Giappone, cresciuta di un sorprendente 21% nel 2024, raggiungendo 55,3 miliardi di dollari, segnando il maggiore incremento dal 1952.
Grandi affari grazie alle guerre più lunghe
Questo preambolo serve per comprendere la posizione della Russia, che dopo aver dato segni di difficoltà – ricordiamo quando l'esportazione di controller per videogiochi dal Regno Unito a Mosca fu vietata in quanto possono essere riutilizzati per pilotare droni contro l'Ucraina – ha trovato il modo di rifornirsi di elettronica, materie prime e prodotti chimici da altre fonti, aggirando in parte le sanzioni su elettronica, macchinari e metalli per non limitare la propria capacità militare e industriale bellica. Tra questi rientrano circuiti elettronici e altri componenti che possono essere utilizzati nei sistemi d'arma. Per il Cremlino è ora importante ricostruire la propria reputazione di esportatore di armi, poiché la mancata vittoria sull’Ucraina l’ha fortemente intaccata e senza accordi con l’Iran e la Corea del Nord le forze russe si sarebbero trovare in grande difficoltà. Nel 2023 la Russia aveva ceduto la sua posizione di secondo fornitore di armi al mondo alla Francia, con un crollo del 53% delle sue vendite, nonostante le esportazioni verso l'Africa subsahariana, dove dal 2018 al 2022 Mosca deteneva una quota di mercato del 26%, seguita dalla Cina con il 21%. Ma il Cremlino ha fatto diversi errori, tanto che le esportazioni di armi russe sono diminuite del 92% dal 2021 al 2024 a causa del reindirizzamento delle risorse verso il fronte ucraino; delle sanzioni, dell'inflazione e dei problemi di finanziamento della produzione. Inoltre, il numero di paesi che acquistano armi russe è diminuito drasticamente e importanti acquirenti, come l'India, si sono rivolti ai concorrenti, ovvero Cina e Francia. Infine, seppure Mosca abbia promosso il suo nuovo caccia stealth Su-57, esaltandone le prestazioni dimostrate in combattimento in Ucraina, ha incontrato scarso successo. Inoltre, dal 2019 al 2023 la quota cinese è scesa al 19%, superando però quella russa del 17%. Ciò perché nello stesso periodo le importazioni di armi da parte dei paesi africani sono crollate del 52% e questo ha provocato un forte calo delle entrate anche per l'industria bellica russa. Alcuni dei principali clienti russi in Africa hanno resistito alle pressioni delle sanzioni, così la Russia ha ceduto terreno nel mercato degli armamenti ad altri fornitori e fa maggiore affidamento su accordi di fornitura di armi con stati fragili e afflitti da conflitti.
Acquisti più rapidi e con meno vincoli politici
Nonostante questo Mosca rimane un partner privilegiato per molti regimi autoritari africani che non potrebbero acquistare armi altrove e neppure ingaggiare istruttori militari. Sia per ragioni economiche, sia per quelle politiche, incontrando barriere e cavilli insormontabili. Al vertice Russia-Africa del luglio 2023, tenutosi a San Pietroburgo, il presidente Vladimir Putin dichiarò che la Russia aveva 40 accordi tecnico-militari in essere con i paesi africani. Questi patti, che comprendono l'antiterrorismo, la sicurezza e l'addestramento delle forze di polizia, aprono le porte a maggiori vendite di armi russe piuttosto che occidentali. Le esperienze di Nigeria, Angola e Uganda sono state emblematiche: da un lato, la Nigeria ha firmato un accordo di cooperazione militare con la Russia nell'agosto 2021, considerando gli elicotteri da combattimento Mi-35M e Mi-171E armi cruciali nella lotta contro Boko Haram. Dall'altro, Russian Helicopter ha subito una grave crisi nella catena di approvvigionamento dei componenti, che avrebbe avuto ripercussioni negative sugli acquisti di armi della Nigeria, che infine ha scelto di rafforzare la propria industria bellica nazionale portandola a un’autosufficienza del 40% entro il 2027, ma anche a firmare un accordo di difesa da un miliardo di dollari con l'India per colmare le lacune russe. L'Angola, che era il più grande cliente russo in Africa, si è trovata ad affrontare un dilemma simile riguardo alla fattibilità dell'acquisto di armi e nel 2019 il presidente angolano João Lourenço aveva dato il via alla costruzione di fabbriche per la produzione di armi russe. Entro la fine del 2022, l'Angola avrebbe voluto disinvestire dalla sua dipendenza dagli equipaggiamenti militari esteri, e in un'intervista del dicembre 2022 a Voice of America, Lourenço aveva ammesso che l'esercito angolano dipendeva dalla tecnologia dell'era sovietica e invitava gli Usa a partecipare ai suoi programmi militari. Alla Conferenza sulla sicurezza di Mosca dell'agosto 2023, il ministro della Difesa ugandese Vincent Sempija si era dichiarato aperto a una cooperazione militare a lungo termine con la Russia. Questa retorica, tuttavia, non si è tradotta in contratti redditizi e la Russia si è sentita in dovere di donare cento milioni di dollari in equipaggiamenti militari per mantenere l'Uganda tra i clienti. Dopo la fornitura di sistemi per la guerra elettronica Krasukha-4 all'Etiopia, Mosca ha perso un grande cliente come l’India, che recentemente ha acquistato caccia Rafale per la propria Marina abbandonando i MiG-29. Secondo Rosoboronexport, la società per l’esportazione di armi del Cremlino, le aziende russe manterrebbero comunque un portafoglio ordini record di 55 miliardi di dollari per forniture destinate a 44 paesi del mondo, annunciando anche di aver firmato i primi contratti con clienti “anonimi” proprio per i caccia russi Su-57e di quinta generazione. Poi si è saputo che si tratterebbe di un Paese africano, l’Algeria.
L’importanza del ruolo dei mercenari
La presenza di compagnie militari private russe in Sudan e Mali ha consentito un trasferimento di armi particolarmente agevole. Queste organizzazioni forniscono ordigni alle forze locali che addestrano e le barattano con i loro clienti in cambio di denaro e concessioni minerarie. Dopo lo scoppio della guerra civile in Sudan nell'aprile 2023, il Gruppo Wagner ha inviato missili alle Forze di Supporto Rapido (Rsf) di Mohamed Hamdan Dagalo e il capo dell'Esercito nazionale libico Khalifa Haftar fu implicato in questo traffico di armi. L'organizzazione successiva a Wagner, l'Afrika Korps, ha trasportato armi da Bangui a Birao (Sudan) e ha utilizzato aerei emiratini per trasferire armi alle Forze armate rivoluzionarie (Rsf). Nonostante questi accordi la Russia ha contemporaneamente perseguito un accordo di scambio di armi per la base di Port Sudan con il rivale di Hemedti, le Forze Armate Sudanesi. Anche l’'abrogazione della cooperazione in materia di sicurezza tra Usa e Niger ha facilitato i trasferimenti di armi russi: nell'aprile 2024 il Niger aveva acquistato sistemi di difesa antiaerea e ha assunto tecnici russi per installarli. Bisogna quindi ricordare sempre che non è tanto il costo di un fucile o di un missile a fare il valore di una commessa, quanto l’indotto in termini di assistenza, addestramento e continuità di aggiornamento per restare al passo con le contromisure adottate dai nemici. Ciò porta a un aumento dei prezzi fino al 500% nei casi più longevi e complessi, come per esempio quello delle batterie di missili per difesa aerea. Ne è un esempio la Turchia, che durante il primo mandato di Trump fu espulsa dal programma industriale dello F-35 per aver acquistato da Putin i missili S-400.
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Con la spesa militare globale mai così alta dai tempi della Guerra fredda, a salvare l’export di Mosca è il continente nero, che riconquista il secondo posto a livello globale scalzando la Francia.Nel corso del 2024 la spesa militare globale ha raggiunto la cifra senza precedenti di 2,72 trilioni di dollari, segnando +9,4% rispetto all'anno precedente e il più forte aumento annuale dalla fine della Guerra fredda. Lo ha calcolato lo Stockholm International Peace Research Institute (Sipri) che ha anche segnalato come si tratti del decimo anno consecutivo di crescita della spesa militare mondiale, trainata dalle crescenti tensioni geopolitiche in tutte le regioni, ma in Europa e Medio Oriente a fronte dei conflitti in corso in Ucraina e Gaza.In questo scenario gli Stati Uniti hanno mantenuto la prima posizione con 997 miliardi di dollari, pari al 37% della spesa globale, annunciando che nel 2026 tale spesa supererà il miliardo di dollari. Segue la Cina con una stima di 314 miliardi di dollari, e a scapito della Francia al terzo posto torna la Russia (149 miliardi di dollari), quindi Germania (88,5 miliardi) e l’India (86,1). Insieme, queste nazioni rappresentano il 60% della spesa militare mondiale. I membri della Nato hanno speso complessivamente 1.510 miliardi di dollari per le loro forze armate, rappresentando oltre la metà (55%) della spesa globale. Diciotto dei 32 membri dell'Alleanza hanno raggiunto o superato l'obiettivo di spesa del 2% del Pil. Ovviamente l'Ucraina si posiziona nei primi dieci posti, precisamente all'ottavo posto a livello mondiale con 64,7 miliardi di dollari, ovvero il 34% del suo prodotto interno lordo. Sale anche la spesa militare del Giappone, cresciuta di un sorprendente 21% nel 2024, raggiungendo 55,3 miliardi di dollari, segnando il maggiore incremento dal 1952.Grandi affari grazie alle guerre più lungheQuesto preambolo serve per comprendere la posizione della Russia, che dopo aver dato segni di difficoltà – ricordiamo quando l'esportazione di controller per videogiochi dal Regno Unito a Mosca fu vietata in quanto possono essere riutilizzati per pilotare droni contro l'Ucraina – ha trovato il modo di rifornirsi di elettronica, materie prime e prodotti chimici da altre fonti, aggirando in parte le sanzioni su elettronica, macchinari e metalli per non limitare la propria capacità militare e industriale bellica. Tra questi rientrano circuiti elettronici e altri componenti che possono essere utilizzati nei sistemi d'arma. Per il Cremlino è ora importante ricostruire la propria reputazione di esportatore di armi, poiché la mancata vittoria sull’Ucraina l’ha fortemente intaccata e senza accordi con l’Iran e la Corea del Nord le forze russe si sarebbero trovare in grande difficoltà. Nel 2023 la Russia aveva ceduto la sua posizione di secondo fornitore di armi al mondo alla Francia, con un crollo del 53% delle sue vendite, nonostante le esportazioni verso l'Africa subsahariana, dove dal 2018 al 2022 Mosca deteneva una quota di mercato del 26%, seguita dalla Cina con il 21%. Ma il Cremlino ha fatto diversi errori, tanto che le esportazioni di armi russe sono diminuite del 92% dal 2021 al 2024 a causa del reindirizzamento delle risorse verso il fronte ucraino; delle sanzioni, dell'inflazione e dei problemi di finanziamento della produzione. Inoltre, il numero di paesi che acquistano armi russe è diminuito drasticamente e importanti acquirenti, come l'India, si sono rivolti ai concorrenti, ovvero Cina e Francia. Infine, seppure Mosca abbia promosso il suo nuovo caccia stealth Su-57, esaltandone le prestazioni dimostrate in combattimento in Ucraina, ha incontrato scarso successo. Inoltre, dal 2019 al 2023 la quota cinese è scesa al 19%, superando però quella russa del 17%. Ciò perché nello stesso periodo le importazioni di armi da parte dei paesi africani sono crollate del 52% e questo ha provocato un forte calo delle entrate anche per l'industria bellica russa. Alcuni dei principali clienti russi in Africa hanno resistito alle pressioni delle sanzioni, così la Russia ha ceduto terreno nel mercato degli armamenti ad altri fornitori e fa maggiore affidamento su accordi di fornitura di armi con stati fragili e afflitti da conflitti.Acquisti più rapidi e con meno vincoli politiciNonostante questo Mosca rimane un partner privilegiato per molti regimi autoritari africani che non potrebbero acquistare armi altrove e neppure ingaggiare istruttori militari. Sia per ragioni economiche, sia per quelle politiche, incontrando barriere e cavilli insormontabili. Al vertice Russia-Africa del luglio 2023, tenutosi a San Pietroburgo, il presidente Vladimir Putin dichiarò che la Russia aveva 40 accordi tecnico-militari in essere con i paesi africani. Questi patti, che comprendono l'antiterrorismo, la sicurezza e l'addestramento delle forze di polizia, aprono le porte a maggiori vendite di armi russe piuttosto che occidentali. Le esperienze di Nigeria, Angola e Uganda sono state emblematiche: da un lato, la Nigeria ha firmato un accordo di cooperazione militare con la Russia nell'agosto 2021, considerando gli elicotteri da combattimento Mi-35M e Mi-171E armi cruciali nella lotta contro Boko Haram. Dall'altro, Russian Helicopter ha subito una grave crisi nella catena di approvvigionamento dei componenti, che avrebbe avuto ripercussioni negative sugli acquisti di armi della Nigeria, che infine ha scelto di rafforzare la propria industria bellica nazionale portandola a un’autosufficienza del 40% entro il 2027, ma anche a firmare un accordo di difesa da un miliardo di dollari con l'India per colmare le lacune russe. L'Angola, che era il più grande cliente russo in Africa, si è trovata ad affrontare un dilemma simile riguardo alla fattibilità dell'acquisto di armi e nel 2019 il presidente angolano João Lourenço aveva dato il via alla costruzione di fabbriche per la produzione di armi russe. Entro la fine del 2022, l'Angola avrebbe voluto disinvestire dalla sua dipendenza dagli equipaggiamenti militari esteri, e in un'intervista del dicembre 2022 a Voice of America, Lourenço aveva ammesso che l'esercito angolano dipendeva dalla tecnologia dell'era sovietica e invitava gli Usa a partecipare ai suoi programmi militari. Alla Conferenza sulla sicurezza di Mosca dell'agosto 2023, il ministro della Difesa ugandese Vincent Sempija si era dichiarato aperto a una cooperazione militare a lungo termine con la Russia. Questa retorica, tuttavia, non si è tradotta in contratti redditizi e la Russia si è sentita in dovere di donare cento milioni di dollari in equipaggiamenti militari per mantenere l'Uganda tra i clienti. Dopo la fornitura di sistemi per la guerra elettronica Krasukha-4 all'Etiopia, Mosca ha perso un grande cliente come l’India, che recentemente ha acquistato caccia Rafale per la propria Marina abbandonando i MiG-29. Secondo Rosoboronexport, la società per l’esportazione di armi del Cremlino, le aziende russe manterrebbero comunque un portafoglio ordini record di 55 miliardi di dollari per forniture destinate a 44 paesi del mondo, annunciando anche di aver firmato i primi contratti con clienti “anonimi” proprio per i caccia russi Su-57e di quinta generazione. Poi si è saputo che si tratterebbe di un Paese africano, l’Algeria.L’importanza del ruolo dei mercenariLa presenza di compagnie militari private russe in Sudan e Mali ha consentito un trasferimento di armi particolarmente agevole. Queste organizzazioni forniscono ordigni alle forze locali che addestrano e le barattano con i loro clienti in cambio di denaro e concessioni minerarie. Dopo lo scoppio della guerra civile in Sudan nell'aprile 2023, il Gruppo Wagner ha inviato missili alle Forze di Supporto Rapido (Rsf) di Mohamed Hamdan Dagalo e il capo dell'Esercito nazionale libico Khalifa Haftar fu implicato in questo traffico di armi. L'organizzazione successiva a Wagner, l'Afrika Korps, ha trasportato armi da Bangui a Birao (Sudan) e ha utilizzato aerei emiratini per trasferire armi alle Forze armate rivoluzionarie (Rsf). Nonostante questi accordi la Russia ha contemporaneamente perseguito un accordo di scambio di armi per la base di Port Sudan con il rivale di Hemedti, le Forze Armate Sudanesi. Anche l’'abrogazione della cooperazione in materia di sicurezza tra Usa e Niger ha facilitato i trasferimenti di armi russi: nell'aprile 2024 il Niger aveva acquistato sistemi di difesa antiaerea e ha assunto tecnici russi per installarli. Bisogna quindi ricordare sempre che non è tanto il costo di un fucile o di un missile a fare il valore di una commessa, quanto l’indotto in termini di assistenza, addestramento e continuità di aggiornamento per restare al passo con le contromisure adottate dai nemici. Ciò porta a un aumento dei prezzi fino al 500% nei casi più longevi e complessi, come per esempio quello delle batterie di missili per difesa aerea. Ne è un esempio la Turchia, che durante il primo mandato di Trump fu espulsa dal programma industriale dello F-35 per aver acquistato da Putin i missili S-400.
Ansa
L’esplosione che ieri mattina ha ucciso il tenente generale Fanil Sarvarov ha scosso Mosca e l’intero apparato militare russo. L’attentato è avvenuto all’alba, quando l’auto di servizio del capo della Direzione per l’addestramento operativo dello Stato maggiore è stata distrutta da un ordigno collocato con un magnete sotto il veicolo (una Kia Sorento di colore chiaro), vicino al sedile del conducente. Secondo le ricostruzioni basate su fonti investigative russe citate dalle agenzie Tass e Rbk, la bomba sarebbe esplosa nel momento in cui Sarvarov ha azionato il freno. Le autorità hanno confermato la morte del generale e l’apertura di un’indagine per omicidio, mentre la Commissione investigativa ha fatto sapere che i rilievi sono iniziati immediatamente dopo la deflagrazione. Gli inquirenti puntano con decisione su una pista: il coinvolgimento dei servizi speciali dell’Ucraina. In serata, la commissione ha precisato che «una delle principali versioni allo studio riguarda il ruolo dei servizi d’intelligence ucraini».
Da Kiev non è arrivata alcuna rivendicazione né commenti ufficiali, ma i media russi ricordano che Sarvarov figurava da tempo nel database del sito nazionalista ucraino Myrotvorets, che ieri lo ha classificato come «liquidato». Un segnale interpretato a Mosca come una sorta di firma indiretta. Il Cremlino ha reagito con durezza. Il portavoce Dmitri Peskov ha dichiarato che «il presidente Vladimir Putin è stato informato immediatamente» dell’attentato e ha definito l’esplosione «un terribile omicidio» e «un atto terroristico diretto contro la Federazione russa». Ha aggiunto che «i responsabili saranno individuati e puniti», lasciando intendere che Mosca considera l’attacco parte di una strategia ostile che richiede una risposta. Le autorità non hanno fornito ulteriori dettagli, limitandosi a confermare l’apertura di un’indagine per omicidio e a ribadire che tutte le piste restano aperte.
Sarvarov, nato nel 1969 nella regione di Perm, aveva trascorso quasi tutta la carriera nelle forze corazzate, combattendo nelle campagne cecene e partecipando alle operazioni russe in Siria prima di entrare nei vertici dello Stato maggiore. Da due anni guidava la Direzione per l’addestramento operativo, un incarico cruciale nell’attuale fase del conflitto: a lui facevano capo la preparazione delle truppe di terra, l’aggiornamento delle tattiche d’impiego e la valutazione delle esperienze maturate sul fronte ucraino. Pur non essendo una figura mediatica, il suo ruolo era considerato strategico per mantenere lo sforzo bellico russo su livelli costanti nonostante le perdite e l’usura del conflitto.
L’uccisione di Sarvarov si inserisce in una serie di eliminazioni mirate che negli ultimi anni ha colpito tanto i vertici militari quanto alcuni volti simbolici del nazionalismo russo. Nell’agosto 2022 Daria Dugina, figlia dell’ideologo Aleksandr Dugin, era stata assassinata con un’autobomba nella regione di Mosca: l’ordigno, piazzato sotto la sua Toyota Land Cruiser, era esploso mentre rientrava da un festival culturale. Le autorità russe avevano attribuito l’attacco ai servizi speciali ucraini, mentre Kiev aveva negato ogni coinvolgimento. Nell’aprile 2023, a San Pietroburgo, era stato il turno del blogger militare Maksim Fomin. Noto come Vladlen Tatarsky e allineato sulle posizioni più radicali della propaganda patriottica, il blogger è rimasto ucciso nell’esplosione di un ordigno nascosto in una statuetta consegnatagli durante un evento pubblico: un attacco che provocò decine di feriti e suscitò forte clamore mediatico.
Nel dicembre 2024, invece, era stato ucciso il generale Igor Kirillov, capo delle truppe di difesa nucleare, biologica e chimica, colpito da una bomba nascosta in un monopattino elettrico: le autorità di Mosca avevano indicato Kiev come responsabile, mentre fonti dei servizi ucraini (Sbu) avevano confermato ai media il coinvolgimento, pur senza una rivendicazione ufficiale. Infine, lo scorso aprile, un ordigno collocato sotto la sua vettura ha ucciso a Mosca il generale Iaroslav Moskalik, figura di rilievo dello Stato maggiore. Si tratta di attacchi diversi per modalità ma accomunati, secondo le ricostruzioni russe, dall’intento di colpire personalità legate allo sforzo bellico o alla narrativa patriottica del Cremlino, a conferma di un conflitto che si è esteso ben oltre le linee del fronte. In questo contesto, infatti, la morte di Sarvarov rappresenta per Mosca un duro colpo soprattutto a livello simbolico: non un semplice comandante operativo, ma uno dei funzionari incaricati di garantire l’efficienza e la continuità dell’apparato militare impegnato in Ucraina. E la rapidità con cui il Cremlino ha parlato di «atto terroristico» indica che la risposta politica - qualunque forma assumerà - non tarderà ad arrivare.
Zelensky: «Risultati concreti vicini»
Dopo i due giorni di colloqui sulla pace in Ucraina con l’inviato americano, Steve Witkoff, e il genero di Donald Trump, Jared Kushner, al club Shell Bay di Miami, il rappresentante del Cremlino, Kirill Dmitriev, si prepara ad aggiornare il presidente russo, Vladimir Putin, sugli ultimi sviluppi.
Ciò che emerge, al momento, è che le trattative tra la Russia e la Casa Bianca si sono concluse in un clima cordiale. Dmitriev ha scritto su X: «La prossima volta a Mosca», non escludendo quindi che il prossimo bilaterale con gli americani si possa tenere sul suolo russo. Nel frattempo, Witkoff ha descritto gli incontri con la delegazione ucraina e con quella russa con gli stessi termini: «Produttivi e costruttivi». Riguardo al faccia a faccia con Dmitriev, l’inviato americano ha aggiunto su X che «la Russia resta pienamente impegnata a raggiungere la pace in Ucraina» e che «apprezza molto gli sforzi e il sostegno degli Stati Uniti». A rispondere direttamente alle parole di Witkoff è stato lo stesso Dmitriev: «Grazie costruttori di pace per il vostro lavoro attento e instancabile».
In ogni caso vige la massima cautela. Il vicepresidente degli Stati Uniti, J.D. Vance, in un’intervista a UnHerd, ha affermato che nonostante «tutte le questioni siano ora alla luce del sole», non è certo che venga raggiunto un accordo. Ha precisato che l’Ucraina «probabilmente perderà» la regione di Donetsk «tra 12 mesi o anche più avanti». E pare che «privatamente» i leader di Kiev ne siano consapevoli. Anche il viceministro degli Esteri russo, Sergei Ryabkov, ha riconosciuto «i lenti progressi» nei negoziati con Washington, ma ha puntato il dito contro «i dannosi e nefasti tentativi di un gruppo di Paesi influenti che cercano di far deragliare il processo diplomatico». Ha osservato che Mosca «è favorevole a un accordo di pace che garantisca il suo assetto costituzionale tenendo conto dei nuovi territori», ma esclude la tregua. Ryabkov ha anche ribadito la disponibilità russa a «formalizzare legalmente» l’impegno a non attaccare la Nato e l’Ue. Anche perché «permangono rischi significativi di uno scontro» tra Mosca e l’Alleanza atlantica «a causa delle azioni ostili e inappropriate dei Paesi europei». Sullo stesso tema è intervenuto Dmitriev: «L’Europa dovrebbe smettere di fomentare la Terza guerra mondiale con false narrazioni e imparare di nuovo la diplomazia». E affermando che è arrivato «il tempo di liberarsi dalla visione del mondo di Biden», ha aggiunto che «l’Ungheria, la Slovacchia e la Repubblica Ceca indicano la strada». Ma Bruxelles, per ora, approva «la strada» del presidente francese, Emmanuel Macron: un portavoce della Commissione Ue ha espresso il benestare sulla volontà del leader francese di dialogare con l’omologo russo negli «sforzi per la pace».
Dall’altra parte, a esprimere ottimismo è il leader di Kiev, Volodymyr Zelensky. Riguardo alle trattative a Miami tra la delegazione ucraina e quella statunitense, pur aspettando «i dettagli» questa mattina, ha dichiarato: «Siamo molto vicini a un risultato concreto». Ha spiegato che «il piano prevede 20 punti» e che ci sono «garanzie di sicurezza» tra l’Ucraina, gli Stati Uniti e l’Europa. A ciò si aggiunge «un documento separato» tra Kiev e Washington che riguarda «garanzie di sicurezza bilaterali» che «devono essere esaminate dal Congresso degli Stati Uniti». E ha annunciato che è in itinere «la prima bozza dell’accordo sulla ricostruzione dell’Ucraina». Questo non frena le sanzioni contro la Russia, anzi Zelensky ha dichiarato che, oltre ai russi e ai cinesi, nel mirino rientrano pure gli atleti: «Stiamo preparando misure sanzionatorie contro coloro che giustificano l’aggressione russa e promuovono l’influenza russa attraverso la cultura di massa, nonché contro gli atleti che utilizzano la loro carriera sportiva e l’attenzione del pubblico verso lo sport per glorificare l’aggressione russa».
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Giorgia Meloni (Ansa)
La posizione ufficiale del governo italiano rispetto a questa novità è espressa dal ministro degli Esteri, Antonio Tajani, e dalle sue parole traspare una certa freddezza: «Va certamente bene», dice Tajani al Qn, «riaprire un canale di comunicazione, ma il canale deve essere europeo: non può essere di un solo Paese. La cosa rilevante è che Putin torni a parlare con l’intera Europa. Dobbiamo lavorare tutti per la pace, che è l’obiettivo primario», aggiunge Tajani, «in questo senso, per capirci, la premessa è che noi non siamo mai stati in questi anni in guerra con la Russia. L’Italia è sempre stato il Paese che ha distinto in maniera netta tra gli aiuti all’Ucraina, per impedire che l’Ucraina venisse sconfitta, e la guerra con la Russia. Noi abbiamo solo aiutato l’Ucraina a difendersi, che è un’altra cosa rispetto a fare la guerra alla Russia. Noi abbiamo sempre sostenuto anche gli sforzi americani. E, dunque, ogni iniziativa che porti alla pace deve essere vista in maniera molto positiva: sempre con le garanzie di sicurezza per l’Ucraina, con una sorta di articolo 5-bis sul modello Nato, a partecipazione anche Usa. A questo punto», osserva Tajani, «tocca alla Russia decidere se vuole sedersi al tavolo e affrontare anche con gli europei la trattativa, perché l’Europa non può non essere protagonista di una trattativa di pace tanto più che dal cessate il fuoco e dalla pace dipendono le sanzioni e la nostra sicurezza».
Parole pesate col bilancino, con un passaggio, quello sull’Italia «mai stata in guerra con la Russia» dal quale fa capolino una sorta di rivendicazione di un atteggiamento sempre prudente, proprio ora che Macron accelera sul percorso negoziale dopo essere stato per anni tra i «falchi» europei anti Russia, mentre l’Italia si è spesso trovata, in realtà più che altro per alcune dichiarazioni della Lega e per la vicinanza della Meloni a Donald Trump, accusata di eccessiva morbidezza nei confronti di Putin. Ora invece Macron sorpassa tutti sull’autostrada per Mosca, provocando un disallineamento in Europa, se non un vero e proprio imbarazzo, tanto che ieri i portavoce della Commissione hanno evitato di rispondere a tutte le domande sull’iniziativa dell’Eliseo.
Guerra e pace sono anche al centro del messaggio che ieri il premier Meloni ha rivolto alle missioni militari italiane all’estero per gli auguri di fine anno in collegamento dal Comando operativo vertice interforze: «La pace, chiaramente, è un bene prezioso», sottolinea Giorgia Meloni, «quando la si possiede. ed è un bene da ricercare con ogni sforzo quando la si perde. Però questo lo comprende più di chiunque altro chi conosce la guerra ed è preparato a fronteggiarla. Per questo io non ho mai accettato la narrazione, diciamo così, di chi contrappone l’idea del pacifismo alle forze armate. Alla fine del quarto secolo dopo Cristo», ricorda la Meloni, «Publio Flavio Vegezio Renato scrive: “qui desiderat pacem, praeparet bellum”. Diventa poi il più famoso “si vis pacem para bellum”, cioè chi vuole la pace prepari la guerra. Il punto è che il suo non è, come molti pensano, un messaggio bellicista, tutt’altro. È un messaggio pragmatico. Il senso è che solo una forza militare credibile allontana la guerra perché la pace non arriva spontaneamente, la pace è soprattutto un equilibrio di potenze: la debolezza invita l’aggressore, la forza allontana l’aggressore. L’etimologia della parola deterrenza arriva dal latino e significa de, cioè via da, e terrere, cioè incutere timore. Il senso della parola deterrenza è incutere timore al punto da distogliere. È la forza degli eserciti, è la loro credibilità lo strumento più efficace per combattere le guerra. Il dialogo, la diplomazia, le buone intenzioni, certo, servono, ma devono poggiare su basi solide. Quelle basi solide le costruite voi con il vostro sacrificio, con la vostra competenza, con la vostra professionalità, con il vostro coraggio».
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Emmanuel Macron (Ansa)
Donald Trump è stato criticato per aver ricevuto lo zar in Alaska ad agosto: da più parti, il presidente americano è stato accusato di aver fatto il gioco di Putin o di avergli regalato un immeritato prestigio diplomatico. Per non parlare poi di Viktor Orbán! Quando a novembre il premier ungherese incontrò lo zar a Mosca, finì bersagliato dagli strali di Friedrich Merz, che lo tacciò di agire senza alcun mandato europeo. Eppure con Macron, sia da Bruxelles che da Berlino, sono arrivati commenti soft. «Restiamo in coordinamento in termini di contatti bilaterali per raggiungere una pace sostenibile in Ucraina e accogliamo con favore gli sforzi di pace», ha dichiarato un portavoce dell’Ue, parlando dell’eventualità di una telefonata tra il presidente francese e Putin. «Non abbiamo alcuna preoccupazione che l’unità europea sulla guerra possa incrinarsi. Non c’è alcun dubbio sulla nostra posizione comune», ha inoltre affermato il governo tedesco, riferendosi alle aperture di Macron allo zar, per poi sottolineare (non senza un po’ di freddezza) che Berlino «ha preso atto dei segnali di disponibilità al dialogo».
Ora, è forse possibile formulare alcune considerazioni. La prima è che la diplomazia è un concetto differente dall’appeasement. Il problema è che alcuni settori politici e mediatici hanno finito indebitamente col sovrapporli. Trump, per esempio, ha, sì, ripreso il dialogo con Mosca. Ma lo ha anche alternato a forme di pressione (si pensi soltanto alle sanzioni americane contro Lukoil e Rosneft). Questo dimostra che si può dialogare senza essere necessariamente arrendevoli. D’altronde, se si chiudono aprioristicamente tutti i canali di comunicazione con l’avversario o con il potenziale avversario, si pongono le basi affinché una crisi sia essenzialmente irrisolvibile. Andrebbe inoltre ricordato che, secondo lo storico John Patrick Diggins, anche Ronald Reagan fu criticato dai neoconservatori per il suo dialogo con Mikhail Gorbachev.
Tutto questo per dire che, se Bruxelles non ha quasi toccato palla sulla crisi ucraina per quattro anni, è per due ragioni. Una strutturale: l’Ue non è un soggetto geopolitico. Un’altra più contingente: rinunciando pressoché totalmente all’opzione diplomatica, Bruxelles ha perso margine di manovra, raffreddando anche i rapporti con ampie parti del Sud globale. Paesi come l’India o l’Arabia Saudita hanno infatti sempre rifiutato di mollare Mosca, al netto della sua invasione dell’Ucraina. La strategia dell’isolamento perseguita dall’Ue ha quindi soltanto spinto sempre più il Cremlino tra le braccia della Cina e di vari Paesi del Sud globale.
La seconda considerazione da fare riguarda invece Macron. Dobbiamo veramente pensare che il presidente francese sia improvvisamente diventato uno stratega della diplomazia? Probabilmente no. Da quando la crisi ucraina è cominciata, il capo dell’Eliseo ha fatto tutto e il contrario di tutto. All’inizio, voleva tenere i contatti col Cremlino e diceva che Putin non doveva essere umiliato. Poi, dall’anno scorso, si è improvvisamente riscoperto falco antirusso. Addirittura, a maggio 2024, l’amministrazione Biden prese le distanze dalla proposta francese di inviare addestratori militari in Ucraina. Ciò non impedì comunque a Macron di essere, sempre a maggio 2024, uno dei pochi leader europei a mandare un ambasciatore alla cerimonia d’insediamento di Putin. Non solo. A marzo, il presidente francese quasi derise gli sforzi diplomatici di Trump in Ucraina, mentre, poche settimane fa, ha cercato di avviare un processo diplomatico parallelo a quello della Casa Bianca, tentando di convincere Xi Jinping a raffrenare lo zar. Tutto questo fino a venerdì, quando il capo dell’Eliseo ha aperto alla possibilità di parlare con Putin.
Macron sa di essere finito all’angolo. E sa perfettamente che gli interessi geopolitici alla base del riavvicinamento tra Washington e Mosca sono troppo forti per essere ostacolati. Sta quindi cercando di rientrare in partita. Non solo. Il leader francese sembra sempre più insofferente verso Berlino. Prima ha rotto con Merz sulla questione degli asset russi. Poi, con la sua svolta dialogante, ha de facto sconfessato la linea dura del cancelliere, che ha dovuto fare buon viso a cattivo gioco. Nel frattempo, non si registrano commenti significativi da parte del Regno Unito, che potrebbe temere un disallineamento di Parigi dall’asse dei volenterosi. Il punto è che il presidente francese gioca una partita molto «personale». Pertanto, anziché affidarsi a lui, Bruxelles, per contare finalmente qualcosa, dovrebbe forse coordinarsi maggiormente con Trump, sostenendo il suo processo diplomatico e rafforzando le relazioni transatlantiche. Esattamente quanto propone da mesi il governo italiano.
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