2024-12-24
Affitti brevi, il Pd tutela solo gli alberghi
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Nel testo unico della Regione Toscana che limita le locazioni dei privati è previsto che gli hotel possano aumentare la capacità ricettiva con le abitazioni civili. Per i sindaci è più facile danneggiare una parte che cercare soluzioni su sfratti e studentati fuori città.Il diavolo fa le pentole ma spesso non i coperchi. Così la battaglia della sinistra (e non solo) e dei sindaci toscani con la collaborazione della Regione guidata da Eugenio Giani agli affitti brevi svela un dettaglio non da poco. Mesi a dare addosso ai proprietari di case perché colpevoli con la loro pratica di affitto ai turisti di impoverire le città e sottrarre alloggi alla popolazione e poi la legge regionale consente agli alberghi di fare loro stessi da Airbnb. Proprio con quelle case che i cittadini e contribuenti toscani non potranno più mettere a reddito. Nel testo unico del turismo si legge, infatti, che esisterà la «possibilità di aumentare, entro limiti definiti dal Comune, la propria capacità ricettiva, con possibilità di associare nella gestione civili abitazioni che sono nella disponibilità e nelle vicinanze della struttura alberghiera, a patto che si proceda al mutamento della destinazione d’uso e che sia garantito non solo l’utilizzo dei servizi della struttura alberghiera». Ovviamente per rammentare la toppa si chiederà di mettere mano allo «standard qualitativo» che deve essere «corrispondente al livello di classificazione dell’albergo». In tempi non sospetti La Verità ha raccontato dei conflitti di interessi latenti dietro il grande storytelling contro gli affitti brevi. Già ai tempi del Movimento delle tendine. Un Movimento Ogm sostenuto dal Pd e dai sindaci allineati nella battaglia contro la proprietà privata. Ora vederlo nero su bianco fa comunque un certo effetto. Come spiegare la deroga agli alberghi se l’obiettivo era rimettere (forzatamente) quelle abitazioni in un circuito che avrebbe dovuto garantire prezzi calmierati? Come spiegare adesso la strategia se non con una volontà ferrea di mettere i bastoni tra le ruote ai privati e imporre regole per buttarli fuori dal mercato? A questo punto la sola cosa che corre d’obbligo è rivedere l’intero approccio. Non neghiamo che in molte città come Firenze, Roma, Milano ci siano problemi abitativi e, dall’altro lato, di accoglienza turistica. La scivolata inserita nel testo regionale ci auguriamo che aiuti il governo in fase di impugnazione. Primo, per far valere la gerarchia delle leggi. Il codice civile deve valere di più di un testo regionale. Secondo per riportare il tema fuori dall’ideologia e dagli interessi di una parte. Quando partì la manfrina della tendine, ad esempio, il governo si è fatto un po’ trascinare, salvo poi creare un tavolo per la mappatura degli alloggi. Non se ne è più saputo granché. Meglio così per certi aspetti. Il grave è che i sindaci per quanto poteva essere di loro competenza non hanno fatto alcun passo in avanti. Non è scritto nella Bibbia che gli studenti debbano per forza stare in centro città. Se negli ultimi due anni fossero nate partnership pubblico-private per la realizzazione di studentati nelle città di cintura, qualche risultato l’avremmo ottenuto. Si tratta di uno schema che almeno all’estero permette prezzi relativamente calmierati perché si può garantire ai fondi che investono ritorni fissi, garantiti e spalmati negli anni. Certo, a qual punto i sindaci avrebbero dovuto garantire trasporto pubblico adeguato o ammettere di essere carenti su tutto il fronte del Tpl. Amministratori locali e governo avrebbero potuto incentivare fiscalmente le locazioni di medio e lungo termine. In modo da creare maggiori margini rispetto a un business eroso dalle tasse. Ammettendo, certo, che è un diritto sacrosanto da parte dei cittadini di mettere a frutto un proprio bene. Nemmeno questo è avvenuto. Forse si sarebbe anche dovuto dare risposta al grande problema degli sfratti tutelando anche i proprietari. Invece, nel frattempo, si è proceduto a normare ancor di più la pratica degli affitti brevi (da gennaio entrano in vigore le nuove disposizioni) forse nella speranza che in molti desistano e tengano sfitti gli immobili. Non dimentichiamo che in una città come Torino il Pd è arrivato persino a ragionare sulla possibilità di espropriare il mattone sfitto per due anni consecutivi. Non se ne farà nulla, ovvio. Ma è un tentativo di alzare l’asticella. E spingere la discussione sempre verso i lati estremi. Invece ci vorrebbe più equilibrio tra le parti. La politica non può pensare che i problemi sociali si possano risolvere solo scaricando le colpe su una parte. Tanto più se è composta da privati cittadini. Ieri si è tenuto tavolo tra le associazioni di categorie e governo per trovare una soluzione ai check in degli Airbnb. Se c’è un tema di sicurezza quello va affrontato in modo realistico (come sembra stia accadendo) e non per partito preso in maniera punitiva. I problemi sociali sono complessi ed esigono risposte complesse non eccessive semplificazioni al limite della banalizzazione.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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