2019-02-18
Adesso è clandestino persino l’olio. Una truffa da oltre 20 milioni di euro
La grande distribuzione strozza gli agricoltori e loro si difendono con un raggiro: fingono di vendere olive italiane agli imbottigliatori, che in realtà si riforniscono all'estero. E in Europa nessuno controlla.Il giro d'affari dell'olio clandestino potrebbe valere più di 20 milioni di euro all'anno. E non parliamo delle solite contraffazioni, ma di un sistema più raffinato che porta sulle nostre tavole olio di bassa qualità, ma con una filiera perfetta e (sulla carta) ben certificata, che mette a dura prova anche il più scrupoloso dei consumatori. L'olio clandestino, infatti, arriva sui banchi del supermercato con la dicitura 100% italiano e, invece, è fatto con olive di bassa qualità raccolte all'estero. È quasi impossibile distinguerlo da quello nostrano, almeno fino a quando non lo si assaggia: il marchio, la bottiglia, le certificazioni di qualità, sono tutte, apparentemente, al loro posto. Così come le fatture di acquisto e le operazioni di carico e scarico. Eppure si tratta di una truffa, collaudatissima, che va avanti da anni, ma che ora, con la crisi della produzione olivicola, è diventata quantomai evidente. I protagonisti del bluff sono diversi. La grande distribuzione, per esempio, che pretende di acquistare all'ingrosso olio italiano extravergine di oliva a prezzi stracciati, per rivenderlo con margini ampi di guadagno o scontarlo come prodotto civetta. Sono coinvolti le aziende senza scrupoli in mano alle agromafie, che lucrano sull'importazione clandestina della materia prima e tengono in piedi il sistema; i produttori esteri, disposti a fare cassa su un olio di qualità talmente bassa, da dover essere deodorato per diventare presentabile; e, infine, anche i piccoli produttori, che, presi per il collo dalla crisi, o dalle annate disastrose (come è stata quella del 2018), sono costretti ad accettare di fare parte del gioco. Le evidenze della truffa stanno nei numeri. Partiamo da un presupposto: l'olio extravergine di oliva (soprattutto italiano) va a ruba, sia in Italia sia all'estero. Il nostro è il secondo Paese esportatore al mondo e il primo per importazione. Parliamo di 350.000 tonnellate di olio extravergine prodotto, in media, in Italia ogni anno, con un valore complessivo che supera i 3 miliardi di euro e coinvolge complessivamente più di 800.000 aziende tra piccoli e medi produttori. Il consumo interno medio di extravergine 100% italiano o è di circa 50 milioni di litri, mentre il resto finisce all'estero. Nonostante questo il settore è allo stremo. L'anno scorso per gli olivicoltori è stata un'annata terribile: al flagello della Xylella, che in cinque anni ha distrutto 18 milioni di ulivi solo nel Salento, si è aggiunto il clima, che la scorsa primavera ha colpito gran parte del Sud Italia, con una gelata che ha danneggiato molte piante. La produzione si è fermata al di sotto delle 185.000 tonnellate, cioè a poco più della metà della produzione media annuale. Anche nel 2016 le cose erano andate molto male, anzi, era stato considerato l'annus horribilis del settore, con una produzione olearia di appena 182.000 tonnellate. Con due stagioni tanto grame a poca distanza scorte esaurite e prezzi alle stelle, penserete… E invece no. Nel secondo rapporto Frantoio Italia, pubblicato dalla Repressione frodi, al 30 settembre scorso risultavano in giacenza 100.000 tonnellate di olio, delle quali la metà localizzate in Puglia. Rimanenze, bottiglie invendute, che, come nella più prolifica delle stagioni, hanno contribuito a mantenere ancora bassi i prezzi del prodotto. Evidentemente qualcosa non quadra. Secondo gli esperti del settore la risposta è una sola: una parte dell'olio finito sulle tavole come extravergine di oliva 100% italiano, non è italiano. O, meglio, lo è solo sulla carta. L'olio di carta appunto, come viene denominato in gergo tra i produttori. E non si tratta di contraffare le etichette o di scimmiottare i nomi dei prodotti, per spacciarli coma made in Italy, come succede per l'Aceto Balsamico o il Parmigiano Reggiano. Questa è una truffa ben architettata che certifica, a tutti gli effetti, come italiano un olio che arriva da chissà dove. Il sistema funziona così. L'imbottigliatore, che è l'ultimo passaggio della filiera, quello che poi deve vendere il prodotto all'ingrosso, ha bisogno di tenere bassi i prezzi per soddisfare la grande distribuzione. Il prezzo dell'extravergine prodotto in Italia si attesta all'origine intorno ai 5 euro al chilo e, quindi, per fare margine, bisogna trovare un altro sistema. L'imbottigliatore chiede al frantoiano di procuragli dell'olio clandestino, falso italiano, ma di fare le cose per bene, in modo che sembri tutto in regola e che lui possa imbottigliarlo esattamente come fosse prodotto nelle campagne del Sud. A quel punto il frantoiano contatta gli olivicoltori, magari proprio quelli che hanno avuto le piante seccate dalla Xylella o la produzione messa a zero dal clima impazzito e offre loro una possibilità di far entrare qualcosa in cassa. L'agricoltore dovrà consegnare al frantoiano una fattura d'acquisto, come se gli avesse venduto quintali di olive, fattura che verrà regolarmente pagata. Poco dopo, in nero, il produttore dovrà restituirne una parte del denaro (di solito il 60%), ma potrà tenere per sé un gruzzoletto che gli servirà, magari, per fare andare avanti l'azienda. La fattura pagata, a sua volta, servirà al frantoiano per dimostrare di avere avuto in carico olive italiane e per produrre (fintamente) olio, che a sua volta venderà (solo sulla carta) all'imbottigliatore. Ma poiché questo olio, in realtà, non esiste, cosa finirà in bottiglia? È a questo punto che entrano in gioco i fornitori esteri. Ben disponibili a vendere olio di scarsa qualità a poco prezzo, invieranno il prodotto in Italia con i camion cisterna, accompagnati da regolare bolla. In Europa, lo sappiamo, non esistono frontiere e i controlli sulla merce che viaggia su ruota sono poco più che un accidente. La maggior parte delle volte, infatti, il camion con l'olio clandestino arriva indisturbato in Italia, direttamente presso l'imbottigliatore, che, semplicemente, dopo aver saldato i contenitori fa sparire la bolla di carico. E il gioco è fatto: l'olio clandestino finisce in bottiglia. I margini di profitto garantiti da questo giro illecito? Dai due ai tre euro al litro, che moltiplicati per i 7 milioni di litri di olio extravergine clandestino che, secondo le stime, finiscono ogni anno sulle nostre tavole, fanno dai 14 ai 21 milioni di illeciti guadagni. La prima maxi inchiesta sull'olio clandestino risale al 2015, quando il corpo forestale dello Stato, su delega della Dda di Bari, scoprì, tra Brindisi e Bari, una maxifrode. Migliaia di tonnellate di olio spacciato come 100% italiano e proveniente in realtà da Paesi extra Ue, come Siria, Turchia, Marocco e Tunisia. Per verificare l'origine del prodotto l'inchiesta utilizzò il metodo dell'analisi del Dna sui frammenti di oliva recuperati all'interno del lavorato. E la risposta fu evidente: le olive appartenevano a qualità non presenti in Italia. A proporre sul mercato gli oli in questione, all'epoca come probabilmente oggi, erano grandi e noti marchi o catene di distribuzione con prodotti a marchio insospettabili. Se le grandi etichette siano complici o, a loro volta, vittime della truffa, non è facile stabilirlo. Certo è che la pretesa di acquistare all'ingrosso extravergine di oliva, 100% italiano, al di sotto del prezzo minimo che può coprire le spese di produzione, inevitabilmente qualche rischio lo comporta.
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