Germano guida la protesta di attori e registi contro il ministro Giuli, chiedendo il ritorno dei finanziamenti a pioggia per pellicole che quasi sempre fanno flop al botteghino. Anche le sue, tranne in un caso, hanno ottenuto più soldi pubblici di quelli incassati nelle sale.
Germano guida la protesta di attori e registi contro il ministro Giuli, chiedendo il ritorno dei finanziamenti a pioggia per pellicole che quasi sempre fanno flop al botteghino. Anche le sue, tranne in un caso, hanno ottenuto più soldi pubblici di quelli incassati nelle sale.Il cinema italiano non sta benissimo, ma non per colpa di Alessandro Giuli, ministro della Cultura accusato da attori e registi di aver tagliato i fondi ai film prodotti nel nostro Paese. Il problema è che sempre meno spettatori entrano nelle sale in cui si proiettano pellicole made in Italy.Secondo il mensile Boxoffice, rivista specializzata in produzioni cinematografiche, l’anno scorso sono usciti 465 titoli, 186 dei quali però erano documentari, ma soltanto 29, ovvero il 6,2% del totale, hanno raccolto più di un milione. Nel complesso, i film italiani (coproduzioni incluse) hanno incassato 121 milioni di euro, vale a dire una media di 261.000 euro ciascuno, e gli spettatori sono stati 17,8 milioni. Basta questo per capire lo sprofondo rosso in cui versa il cinema italiano, che invece di concentrarsi su poche pellicole ne produce sempre di più, in gran parte ignorate dal pubblico. Sono lontani gli anni in cui gli spettatori facevano la fila al botteghino. Gli ultimi grandi successi di film nazionali sono quelli di Checco Zalone, con Quo vado? e Sole a catinelle (ma anche Tolo tolo e Che bella giornata superarono i 40 milioni di incassi), seguiti da C’è ancora domani di Paola Cortellesi. Poi abbiamo una lunga lista di film dimenticabili, con qualche eccezione per i classici della risata. In altre parole, il cinema italiano, ma soprattutto quello che si ritiene impegnato, è in crisi da tempo e a tenerlo in piedi sono solo le sovvenzioni pubbliche che attori e registi, firmatari di un appello pubblicato nei giorni scorsi, vorrebbero ripristinate.Nella polemica si è speso soprattutto Elio Germano, interprete di Berlinguer - La grande ambizione, decimo nella classifica degli incassi made in Italy nel 2024, con 3,8 milioni, «sostenuto» però da 2 milioni di euro pubblici. Se si calcola il totale delle somme che hanno finanziato nove pellicole in cui l’interprete di «Accio» in Mio fratello è figlio unico ha ricoperto ruoli da attore, si va oltre i 17 milioni. Solo in un caso, quello dell’opera dedicata alla vita del segretario del Partito comunista, gli incassi hanno superato gli aiuti. Con N-Ego, pellicola diretta da Eleonora Danco, a fronte di 513.000 euro, gli incassi registrati secondo il ministero della Cultura sono di 2.200 euro. Non è andata benissimo nemmeno con Favolacce di Fabio e Damiano D’Innocenzo, storia nera pluripremiata con nastri d’argento e David di Donatello che, nonostante abbia ricevuto aiuti per 1.147.000 euro, al box office ha incassato 183.000 euro. Da qui si capiscono le ragioni dell’atto d’accusa che un centinaio di artisti ha rivolto contro Alessandro Giuli reo, insieme al suo predecessore Gennaro Sangiuliano, di aver messo mano al sistema dei finanziamenti al cinema italiano. Germano, in occasione di un incontro al Quirinale, ha attaccato il ministro invitandolo a confrontarsi con i rappresentanti della categoria, «anziché piazzare gli amici nei vari posti come fanno i clan. Il cinema è davvero in crisi e noi crediamo per grossa responsabilità del ministero della Cultura. Sentirci dire che le cose vanno bene, in questo modo tra l’altro bizzarro, è dal mio punto di vista fastidioso». E quando Giuli ha replicato, accusandolo di appartenere a una minoranza rumorosa che ciancia in solitudine, Germano si è pure lamentato, dicendo che il ministro ha approfittato della carica per attaccare un normale cittadino. Che non si tratti di normale cittadino è evidente, altrimenti non l’avrebbero invitato sul Colle per stringere la mano a Mattarella e neppure i giornali avrebbero fatto da megafono alle critiche contro Giuli.La verità è che invece di preoccuparsi di fare film che non siano ideologici, non parlino di migranti, di partigiani e militanti Lgbt e, soprattutto, che vengano visti dagli spettatori, i firmatari della lettera vorrebbero che il sistema dei fondi pubblici continuasse a finanziarli in eterno, come ai tempi di Dario Franceschini, quando la borsa (dello Stato) era sempre aperta e sempre pronta a sostenere qualsiasi pellicola, purché girata da qualche artista di sinistra. Al sistema hanno attinto tutti, anche i grandi nomi che ora si rivolgono a Giuli con toni ultimativi. Per restare ai più noti, tra i registi che protestano ci sono Paolo Genovese (8,7 milioni per La Saga dei Florio), Paolo Sorrentino (11,2 milioni per Parthenope), Francesca Archibugi (2,388 milioni per Illusione), Luca Guadagnino (17,8 milioni per Memorie da Mexico city), Francesca Comencini (2,3 milioni per Il tempo che ci vuole), Marco Bellocchio (5,3 milioni per Rapito) eccetera. Tuttavia, esiste anche un lungo elenco non soltanto di autori sconosciuti o quasi, ma di film clandestini, che non sono neppure approdati in sala. Aver tagliato i fondi non sta quindi facendo naufragare il cinema italiano, ma la carriera cinematografara di qualcuno sì. Ed è per questo che in tanti hanno sottoscritto il grido di dolore contro il ministro: più che della loro arte ne va del loro reddito. Giusto per darvi conto di come funzioni il sistema, oggi e nei prossimi giorni pubblicheremo l’elenco dei finanziamenti ottenuti dal 2018 in poi. Così si capirà che ad aver messo in crisi il settore non sono stati né Giuli né Sangiuliano, ma l’idea che si potessero fare film a prescindere dal pubblico, sorretti solo dai soldi pubblici.
A Dimmi La Verità Stefania Bardelli, leader del Team Vannacci di Varese, fa chiarezza sul rapporto con la Lega e sulle candidature alle elezioni degli esponenti dei team.





