
La città vive una stagione di proteste violente che hanno fatto scattare l'allarme. È il segnale che una moderna generazione di antagonisti sta alzando la testa e aggiustando la mira. Ed è in grado di influenzare i bellicosi movimenti di altre regioni italiane.«Bisogna amare qualsiasi cosa che sia una violenta reazione contro le norme». Non è un proclama di un gruppo estremista e neanche il fine pensiero di un ideologo del passato, ma una frase di Jim Morrison, il leader dei Doors passato a miglior vita nel 1971, ma soprattutto mai transitato da Torino. Eppure, quel principio di Jim - efficacemente ridotto all'osso - in Piemonte ha messo radici. L'anarchismo all'ombra della Mole, come nelle vallate che si spingono verso le montagne, ha una lunga storia e un'ancor più lunga teoria di nomi e ideali consumati fra bombe, morti, processi e arresti.Sembrano storie d'altri tempi, da relegare agli anni peggiori di questo Paese strano, ma non è così. Torino vive una nuova stagione di proteste e violenze che hanno fatto scattare l'allarme di Procure e forze dell'ordine. Perché al fianco dei soliti volti di antagonisti ben conosciuti dalle questure, stanno emergendo nomi nuovi, una generazione di «anarcomillennials» all'apparenza inserita nella società civile. Gente con mestieri rispettabili e dalla cultura discreta che sembra voler raccogliere il credo di ideologi come Alfredo Maria Bonanno, 82 anni, catanese, ex cassiere in banca e autore di La gioia armata, un manuale considerato il testo base della lotta armata.Nelle carte dell'ordinanza che convalida l'arresto di un gruppo di anarchici accusati di aver inviato 21 pacchi esplosivi e incendiari ad altrettante aziende e imprese in qualche modo legate al funzionamento dei Cie, i centri di identificazione ed espulsione, nel 2017 rinominati Cpr, centri di permanenza per i rimpatri, in tanti a Torino sono rimasti senza parole. Degli otto anarchici finiti in manette l'unica vecchia conoscenza degli archivi della Questura è Niccolò Blasi, 30 anni, pesarese: dopo il diploma a pieni voti allo scientifico Marconi di Pesaro arriva a Torino per studiare filosofia all'università, dove sceglie di sposare la lotta armata. È stato condannato per un raid incendiario al cantiere Tav di Chiomonte nell'aprile 2013 ed è uscito da poco di galera. Poi ci sono gli altri, i nomi nuovi che nessuno conosceva, entrati negli obiettivi delle forze dell'ordine ma per cui al momento non esistono profili e curriculum di imprese criminali. È il segnale che una nuova generazione di antagonisti sta alzando la testa e aggiustando la mira: gente reclutata con un massiccio uso delle piattaforme online per attirare chi era idealmente disposto a saltare il fosso della protesta moderata verso quella dura & pura. Molti, nella vita precedente della lotta, erano più «cittadinisti» e cacciatori di consenso popolare, altra post-ideologia convinta che spetti ai cittadini autogovernarsi, concentrata su battaglie sociali e temi popolari come la lotta agli sfratti e agli sgomberi, che hanno trovato terreno fertile nel quartiere Aurora di Torino, un triangolo di storia e vecchie case fra la Dora e Porta Palazzo. Ma anche nel Cie di corso Brunelleschi, uno dei 13 centri aperti 2002 dalla Bossi-Fini, da anni epicentro di proteste, eletto a simbolo di una campagna ossessiva e martellante.Si chiamano Giuseppe De Salvatore, 35 anni, Manuela Muriello, 33, Antonio Rizzo, 33, Silvia Ruggeri, 32, Lorenzo Salvato, 31, Carla Tubeuf, 32, Giada Volpacchio, 32. Accanto a loro, a testimonianza di un processo di internazionalizzazione della protesta violenta, spuntano altri nomi come quello di Toshi, nome d'arte di Toshiyuki Hosokawa, giapponese, figlio di un maestro di arti marziali, Cam, al secolo Camille Casteran, 28 anni, francese di Bordeaux, habitué della protesta già segnalata su vari fronti, e Fran, soprannome di Francesco Javier Tosina Esteban, 33 anni, spagnolo.Di cosa sono capaci lo sanno dimostrando in questi giorni, quando nelle pieghe dell'inchiesta sui pacchi esplosivi, le forze dell'ordine hanno messo a segno un blitz per lo sgombero del centro sociale L'Asilo di via Alessandria 12, a Torino, una struttura da quasi un quarto di secolo requisita dagli antagonisti. Si scatena la guerriglia urbana e l'ex capitale subalpina sembra ripiombare negli anni peggiori della sua storia: devastazioni, autobus e vetture date alle fiamme, gente incappucciata per le strade, fumogeni, danni, rabbia. Come se il tempo fosse tornato indietro di colpo fino al 1998, l'anno del doppio suicidio di Sole e Baleno, i due anarchici coinvolti nell'indagine di Ros e Procura sui Lupi grigi.Al termine dei disordini undici persone finiscono in manette, e la soddisfazione è palpabile: «Lo sgombero dell'Asilo è un'operazione esemplare sia dal punto di vista investigativo sia per l'ordine pubblico della città. Il gruppo esercitava un atteggiamento di controllo del territorio ed è spesso stato protagonista di proteste violente, di aggressioni alle forze dell'ordine, blocchi stradali e cortei improvvisati», commenta Franco Messina, il questore di Torino. Più lapidario ma ugualmente soddisfatto il vicepremier Matteo Salvini, che in un tweet manda i suoi saluti ai centri sociali a cui ha dichiarato guerra: «È finita la pacchia».Qualche ora dopo arriva la doccia fredda, con la velocissima scarcerazione degli 11 decisa dal gip del tribunale di Torino, seguita subito dopo una rovente polemica a cui Paolo Borgna, il procuratore vicario di Torino, ha scelto di staccare la spina: «Commenti inaccettabili e affermazioni irrispettose nei confronti del lavoro del Tribunale».Ma Torino, per quanto in materia di lotta armata non si sia mai fatta mancare nulla, non si può definire tout court la capitale italiana del braciere anarchico. È più un laboratorio transnazionale in grado di influenzare i movimenti di altre regioni come Umbria, Lazio, Campania, Sardegna e Sicilia. Perfino la lotta alla Tav è un esperimento di infiltrazione, per testare le capacità dello Stato di fronte all'aria di una rivolta partita spontaneamente dal basso, almeno nella prima fase, senza coperture politiche istituzionali.Scendendo nel dettaglio, sono tre le anime anarchiche all'ombra della Mole: la Fai (federazione anarchica italiana) di corso Palermo, il gruppo storico dell'anarchismo italiano, che si identifica nei temi e nella guida di Umanità nova, settimanale fondato nel 1920 da Errico Malatesta, e sempre in prima linea nella lotta, Tav compresa. Una frangia dalla violenza moderata che raccoglie fra i 500 e le 1000 aderenti, con un'età media decisamente alta.Quindi l'area anarcoinsurrezionalista che invece ha il suo ideologo nel trentino Massimo Passamani, 46 anni, (anche lui frequentatore della Val Susa No Tav), fra tutte la frangia più propensa a utilizzare azioni violente come strumento politico, pur cercando il consenso dell'area antagonista sulle battaglie popolari come gli sfratti, gli sgomberi, il caro vita e le complicità di varie aziende che usa l'arma della «repressione». È il gruppo che ha tenuto a battesimo i centri sociali torinesi, o meglio le «case occupate», fra cui L'Asilo e il Barocchio, spesso usati come struttura logistica e centri di accoglienza per attivisti dei movimenti europei e black bloc di passaggio in Piemonte. La succursale torinese ha un forte epicentro in Valsusa, dove ha sposato la lotta all'alta velocità.Per finire con chi ha scelto la violenza su tutta la linea: la Fai/Fri, la federazione anarchica informale che ha in mente soltanto di colpire con armi ed esplosivi ogni espressione dello Stato. Nelle sue file ex terroristi rossi (con il fondato sospetto che alcuni arsenali mai ritrovati delle Br siano finiti a loro) e un nucleo di attivisti passati alla clandestinità, una cinquantina, di cui non si sa più nulla e che secondo una recente informativa dei servizi segreti avrebbero scelto come rifugio comunità anarchiche fra Grecia, Spagna e Irlanda, rappresentando l'Italia in una Internazionale anarchica a cui aderiscono anche gli animalisti di Alf e altre sigle. Su quelle orme, in Italia, ci sono il pescarese Alfredo Cospito e la torinese Anna Beniamino, due dei 23 anarchici attualmente sotto processo per Scripta manent, dal nome dell'operazione che raccoglie un'enorme quantità di documenti cartacei e digitali di diversi esponenti del Fai/Fri fra cui Cospito e Nicola Gai, il Nucleo Olga che nel 2012 ha gambizzato Roberto Adinolfi, manager dell'Ansaldo nucleare.In tutto, contando i tre segmenti in cui si frammenta l'area anarchica piemontese, il numero di militanti-attivisti va compreso in una forbice fra le 3 e le 5.000 persone. Il numero in realtà sale e scende in base alle occasioni, agli obiettivi e alle manifestazioni di lotta. Un mix di umanità varia di età media, fra i 35 e i 45 anni: universitari, studiosi e professionisti, qualche avvocato e soprattutto insegnanti, la faccia più proletaria della società, mescolata con ex tossicodipendenti e immigrati clandestini, perché la marginalità - per una volta - è una ricchezza, non un aspetto negativo.Ma non è solo lotta, sia chiaro: l'area anarchica produce anche cultura, inneggia alla musica techno estrema, al rap o trap, una volta al punk, e ama rispolverare ritmi etnici dell'Occitania o musiche celtiche, che mettevano in musica le rivolte medievali contro signori e preti. Una sorta di celebrazione pagana dell'agognata terra libera, il cui spirito ancora sopravvive nelle comunità anarchiche della Val Pellice e dell'Alta Val Susa, da Exilles a Chiomonte: non a caso dove c'è il cantiere pluriattaccato della Tav. Nulla si crea, semmai si distrugge.
Il drone Geran-2, nome russo per lo Shahed 136 di fabbricazione iraniana (Getty images)
Per intercettare dei mezzi piuttosto lenti la risposta occidentale è stata sproporzionata.
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