Il prezzo del gasolio è destinato ad aumentare, con conseguente rialzo dei costi di trasporto. L’ondata di rincari si concentrerà in particolare sui metalli per uso industriale. E se riparte la Cina, maggior consumatore al mondo, l’impennata è inevitabile.
Il prezzo del gasolio è destinato ad aumentare, con conseguente rialzo dei costi di trasporto. L’ondata di rincari si concentrerà in particolare sui metalli per uso industriale. E se riparte la Cina, maggior consumatore al mondo, l’impennata è inevitabile.La polemica intorno al peso delle accise sui carburanti, prima tolte e poi rimesse, rischia di apparire poca cosa rispetto a quanto ci aspetta a partire dalla prossima primavera. Il prezzo industriale del gasolio è infatti destinato ad aumentare, considerato l’embargo europeo sui medi distillati russi a partire dal 5 febbraio prossimo. Un aumento significativo del costo del gasolio provocherà un aumento dei costi di trasporto delle merci, dando una spinta all’inflazione. Dall’altra parte il prezzo del gas sta calando a causa dell’inverno mite, è vero, e questo dovrebbe dare respiro a famiglie e imprese. Ma allo stesso tempo, per via della scarsità di neve in montagna, potremmo ritrovarci con un altro anno di produzione idroelettrica scarsa, dopo il già disastroso 2022 (-35,4% rispetto al 2021). Nel caso di una nuova anomalia termica in estate, potremmo assistere a nuove tensioni sui prezzi elettrici tra giugno e agosto.Ma è anche sulle materie prime non energetiche che si concentrano le preoccupazioni in tema di prezzi, in particolare sui metalli per uso industriale come rame, alluminio, piombo, stagno e nickel. Un’ondata di rincari di queste merci può riflettersi in una permanenza dell’inflazione, sin qui legata soprattutto ai costi dell’energia, se non in un suo aumento.I metalli industriali hanno vissuto fasi alterne, nel corso dell’ultimo anno, soprattutto a causa dell’andamento a singhiozzo della Cina, alle prese da mesi con le misure di ordine pubblico per limitare i casi di Covid. La strategia dei lockdown sembra sia stata abbandonata, a un certo punto, e dopo mesi di stallo l’economia sta ripartendo nelle ultime settimane. La Cina resta il maggior consumatore di materie prime del mondo, per cui è soprattutto il suo andamento economico a determinare la forza della domanda e di conseguenza i prezzi. In particolare, nella sola ultima settimana i prezzi di stagno, zinco e alluminio sono saliti in media del 10%, soprattutto per via delle aspettative di una ripartenza cinese. Il rame, poi, ha raggiunto giovedì il massimo degli ultimi sette mesi, arrivando a 9.240 dollari/tonnellata (future a tre mesi).I 10.000 dollari a tonnellata sembrano a portata di mano. La stima è di un aumento della domanda cinese di circa il 4% per il 2023, mentre l’offerta è prevista sostanzialmente stabile. Già ai primi di dicembre Gary Nagle, amministratore delegato di uno dei più grandi gruppi minerari mondiali, Glencore, aveva lanciato l’allarme su una possibile carenza di rame nel 2023 e 2024. Proprio una importante miniera di rame di Glencore in Perù è stata attaccata giovedì scorso da manifestanti, nel quadro delle rivolte popolari in corso in tutto il Paese dopo la destituzione del presidente Pedro Castillo lo scorso dicembre. Il Perù è il secondo produttore mondiale di rame. La miniera, situata nella regione di Cuzco, ora è ferma e Glencore non ha saputo indicare una data per il riavvio delle operazioni. I disordini in Perù in un mese hanno provocato oltre quaranta morti.Dopo l’abbandono della politica zero Covid, la festività del Capodanno lunare, che terrà chiuse le attività in Cina per tutta la settimana tra il 22 e il 29 gennaio prossimi, è l’ultimo freno alla ripresa cinese, a meno di avvenimenti clamorosi. La ripresa della domanda cinese innescherà una salita dei prezzi, anche perché nel frattempo gli stock delle materie prime si sono ridotti moltissimo. Sul maggior mercato mondiale, il London metal exchange, gli stock depositati a fine 2022 si sono ridotti di oltre il 50% rispetto al 2021, arrivando a poco più di 650.000 tonnellate. È il valore di fine anno più basso degli ultimi ventidue anni: il massimo si registrò alla fine del 2012, quando depositati vi erano oltre sette milioni di tonnellate. Al Lme tutti gli stock sono calati, tranne quelli di stagno, cresciuti sia pure di poco a 3.000 tonnellate, un valore comunque molto basso considerato che il fabbisogno mondiale è in media di poco più di 1.000 tonnellate al giorno. Dunque, la produzione dei metalli industriali non solo dovrà soddisfare la domanda, ma anche contribuire a ricostituire le scorte. Considerato che non si prevedono significativi aumenti nell’offerta, questo significa che inevitabilmente i prezzi dovranno salire.Le materie prime di cui parliamo sono necessarie alla transizione ecologica, il piano mondiale di abbandono dei combustibili. L’Europa ha un disperato bisogno di questi materiali, dopo aver lanciato il Next generation fund, che ha dato origine ai Pnrr nazionali, poi il piano Fit for 55 per la decarbonizzazione, integrato da Repower Eu e dalle direttive su idrogeno ed efficienza energetica. Di fatto, tutta la ripresa economica europea si basa sulla transizione ecologica.Con i prezzi dei metalli di base in salita, l’inflazione in Europa rischia dunque di persistere più a lungo di quanto la fiammata innescata dai corsi dell’energia lasciasse prevedere. Le ultime dichiarazioni di Isabel Schnabel, membro del Comitato esecutivo della Banca centrale europea, non lasciano presagire nulla di buono, considerato che la Bce continuerà ad alzare i tassi nel tentativo di contenere l’inflazione. Questo ci porterebbe dritti verso una recessione, nella quale, oltre tutto, i prezzi delle materie prime resterebbero alti, alimentando comunque l’inflazione. Solo una frenata decisa dell’economia cinese potrebbe calmare i prezzi, ma se la maggiore economia mondiale frena lo fa anche il resto del mondo, quindi una recessione sembra essere la destinazione comune di queste alternative.
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