2022-06-13
La democrazia si è fermata a Palermo
Nella città di Sergio Mattarella disertano i presidenti di sezione. I sostituti arrivano alle 14. Gli avvocati: «Annullare il voto».La data di ieri, 12 giugno 2022, sarà ricordata a lungo come un giorno nero per il diritto di voto e per la democrazia in Italia: sul piano nazionale, si è registrato non solo un flop ma un autentico tracollo dei referendum sulla giustizia; mentre quanto è successo a Palermo (dove fino a ora di pranzo decine di seggi non sono stati operativi, con gli elettori rimandati a casa) è uno spettacolo da osservatori Osce. Cominciamo dai referendum. I numeri parlano chiaro: alle 12, l’affluenza nazionale era appena al 6,78%; alle 19, era al 14,53%. Si profila uno dei peggiori risultati in assoluto, per qualunque tornata referendaria, dal 1974 a oggi, in 48 anni di uso dello strumento principe della democrazia diretta. Intendiamoci bene. Non si tratta di un incidente, ma del prevedibile risultato finale di una serie di fattori: la Corte costituzionale che ha tolto di mezzo i quesiti più popolari, cioè quelli, al di là delle opinioni favorevoli o contrarie di ciascuno, con più possibilità di mobilitare i Sì e i No (responsabilità civile dei magistrati, eutanasia, droga); un pressoché totale silenzio mediatico, a partire dalla Rai; le parole di Sergio Mattarella, che nei giorni precedenti ha fatto filtrare la formula per cui andare a votare era «un diritto, non un dovere» (formalmente è vero, ma ciascuno ha colto il messaggio che stava in quella indiscrezione); e infine, un certo disimpegno degli stessi promotori dei quesiti, che da molte settimane - diciamo - sono parsi più concentrati su altre priorità. Nel corso della giornata sono anche giunte segnalazioni su presidenti di seggio che, in caso di concomitanza con le amministrative, chiedevano specie ai cittadini anziani se volessero tutte le schede o no: un altro modo per dissuadere perfino in extremis rispetto alla partecipazione referendaria. Risultato finale? Una débâcle, che sarà utilizzata per anni come una scusa per chi non vorrà cambiare nulla nel mondo della giustizia. Anzi, sarà l’alibi perfetto: «I cittadini non sono neanche andati a votare». Come se non bastasse, altre notizie inaccettabili - per tutt’altra ragione - sono giunte proprio dalla città di Mattarella, e cioè Palermo. Nel capoluogo siciliano, dove si teneva anche il voto per il sindaco, ancora alle 14 di ieri mancavano all’appello 50 presidenti di seggio, con le nomine sostitutive che sono arrivate solo alle 14,30. Anche qui, soltanto gli ingenui possono parlare di un fulmine a ciel sereno: il sito del Comune era offline da giorni, e, alla vigilia del voto, si era registrato il forfait di molte decine tra scrutatori e presidenti. Risultato? Seggi sciolti e da ricostituire, e materiale impossibilità di votare, con gli elettori rispediti malinconicamente a casa. E non a caso l’ordine degli avvocati ha chiesto di fermare le elezioni.Il Viminale è parso quasi sede vacante: di fatto, una «soluzione» è stata trovata solo a ora di pranzo, quando si sono insediati gli ultimi neo presidenti. Il gerundio usato dal ministero ha un sapore perfino beffardo: «A Palermo sono stati nominati e si stanno insediando gli ultimi 13 presidenti di sezione che erano mancati a causa di improvvise rinunce». Va peraltro tenuto presente che far partire un seggio non è cosa istantanea, perché esiste una serie di adempimenti preliminari, tra cui il controllo, il conteggio, la vidimazione e la firma delle schede (centinaia o addirittura migliaia). Altrettanto surreale è parsa l’ulteriore precisazione del ministero degli Interni, quella volta a consentire il voto anche oltre le 23 a chi fosse materialmente nel plesso scolastico. Ci mancava solo il contrario: e cioè che dopo le disavventure del mattino qualcuno fosse pure cacciato la sera. Intanto, verso le 19,30, Luciana Lamorgese si è laconicamente limitata a dire che «la procura di Palermo valuterà gli eventuali profili di responsabilità» per le assenze. Per la cronaca, su scala ridotta e con sostituzioni più tempestive, problemi del genere sono stati registrati pure a Taranto. Ma torniamo a Palermo, dove - come si diceva - il caos era assolutamente prevedibile, vista la concomitanza tra la giornata elettorale e la partita di calcio Palermo-Padova decisiva per la promozione in serie B. Dinanzi a questo, era scontato sia che alcuni elettori respinti al mattino ben difficilmente sarebbero stati disponibili a tornare al seggio di sera, sia che alcuni responsabili di seggio potessero essere intenzionati a fare i furbi. Ieri a Palermo era questa la vox populi, e voci di questo tipo si rincorrevano pure in Comune: che diversi dei nominati ai seggi non si fossero presentati di mattina proprio pensando alla partita della sera. A completare la giornata, è venuta pure la notizia delle conseguenze dell’attacco hacker al sito del Comune. Risultano pubblicati migliaia di documenti sensibili: mail e telefoni di addetti comunali; dati su carte d’identità, passaporti e perfino analisi cliniche; più una raffica di atti e documenti del Comune. Questa la sintesi di una domenica orribile. Ma c’è anche chi vorrebbe ancora peggiorare le cose: la capogruppo M5s in commissione Affari costituzionali alla Camera, Vittoria Baldino, ha infatti colto la palla al balzo per chiedere il voto elettronico: «I fatti di queste ore dimostrano che sarebbe utile far partire subito questa sperimentazione». Manca solo che qualcuno proponga di usare la piattaforma blockchain sottostante il green pass (ma non vorremmo dare suggerimenti…). Scherzi amari a parte: si tratterebbe di altri rischi in termini di controllo, senza con ciò risolvere il problema di fondo, e cioè la disorganizzazione di chi deve sovrintendere all’intero procedimento elettorale. Ultima nota: non è mancato chi (Fabrizio Marrazzo, del partito Gay) ha protestato perché gli elenchi elettorali in rosa e in blu non terrebbero conto «della complessità delle persone transgender».