2019-09-17
A Hollywood l’ispirazione è morta. E il cinema trasloca a Gerusalemme
Da «Euphoria» a «The good cop», le serie Usa che affollano i palinsesti di Sky e Fox sono in realtà rifacimenti di sceneggiati israeliani (a volte adattati in salsa Lgbt). L'Italia ha preso in prestito il quiz tv di Gerry Scotti.Hollywood non risiede più all'ombra del Monte Lee, sotto le colline verdi, a un passo dal mare. Quell'agitarsi di cervelli e idee, di attori e copioni, che, negli anni, ha fatto dell'America la terra del cinema, si è spostato altrove. Ha guadato gli oceani ed è finito in Israele, risolvendosi, nel trasloco, a darsi una secca quanto definitiva «svecchiata». Hollywood, nella versione israeliana, ha ben poco a che vedere con il cinema, moltissimo con la televisione. Non sono, dunque, i blockbuster, il richiamo sicuro dei grandi istrioni americani, con i propri faccioni immortalati su qualche poster, ad aver fatto prosperare l'industria mediorientale. Sono le serie televisive, piccole perle con le quali i consumatori hanno, ormai, sostituito pellicole e libri.Israele, terra di conflitto che del conflitto non vuole essere specchio, si è data alla produzione di racconti a puntate. E il successo è stato tale da convincere gli americani a turarsi il naso, mettere mano al portafogli e attingere, pur controvoglia, al patrimonio televisivo altrui. Negli Stati Uniti, dove un tempo imperava incontrastata la narrazione locale, si è preso a costruire remake sulle serie israeliane. L'ultimo, Euphoria, sarà disponibile su Sky a partire dal 26 settembre prossimo, giorno in cui l'Italia tutta potrà inorridire di fronte a quel che già ha scandalizzato l'America.Euphoria, basata sull'omonima miniserie israeliana, ha poco a che spartire con la situazione geopolitica del Paese che, per primo, l'ha creata. Di soldati non porta l'ombra, preferendo, piuttosto, restituire l'angoscia dell'adolescenza, il carico emotivo sotto il cui peso soccombono i giovani d'oggi, specie se costretti a barcamenarsi tra sobborghi e povertà. Euphoria, nella sua versione originale, è andata in onda tra il 2012 e il 2013, analizzando le devianze, psichiche e comportamentali, di un gruppo debosciato. Allora, l'ambientazione era negli anni Novanta, gli adulti portavano teste tagliate, alla moda inaugurata dalla padrona di Tom & Jerry. C'erano scarpe e calze laddove avrebbero dovuto esserci cravatte e visi maturi. E c'era droga, e c'era sesso, sopravvissuti, entrambi, al rifacimento degli americani.Negli Stati Uniti, agli adulti è cresciuta la testa, ma il sesso, raccontato nella variante, spesso violenta, indotta dalla droga, è rimasto. Euphoria, prodotta dal rapper Drake e scritta da Sam Levinson, ha manipolato l'ambientazione dell'originale israeliano, tramutandola in quella psichedelica dell'America moderna, dove i ragazzini continuano a drogarsi e i disturbi alimentari si moltiplicano fino a intrecciarsi con una generale incapacità di accettare sé stessi. Nella serie tv, così come gli Stati Uniti l'hanno rifatta, compaiono studenti pieni d'ansia e problemi, adolescenti ossessionati dalla bilancia e transgender in lotta con il mondo. Questi, nell'Euphoria americana, sono stati riposti nelle mani di Hunter Schafer, attrice e modella nata uomo e diventata donna. Israele, nell'Euphoria originale, non ha dato alcuno spazio ad alcuni dei temi che gli americani, invece, hanno voluto trattare. Ma, benché nella sua narrazione della gioventù bruciata mancassero i social, con le loro minacce, mancassero il gender fluid e la famiglia, uno stesso intento traspare dalle produzioni: quello di raccontare una realtà, a tratti scabrosa, che, nel caso di Israele, potesse allontanare il Paese da quel cumulo di stereotipi cui è spesso ridotto. Nella Hollywood mediorientale, non c'è solo il dolore della guerra perpetua, la disciplina dei soldati, il rigore dei servizi segreti. Per una Homeland, che è remake americano di una serie israeliana, Hatufim, con il suo incubo di militari rapiti e conflitti in essere, c'è un In Treatment, adattamento dell'israeliana BeTulip. Quest'ultima ha ricevuto una propria versione anche in Italia, con Sergio Castellitto nei panni di uno psicologo alle prese con pazienti diversi e diversi drammi.Fauda, invece, non ha ricevuto alcun remake, ma il New York Times, nel 2017, l'ha eletta miglior serie straniera dell'anno. La produzione, il cui titolo in arabo significa «caos», è una di quelle che del conflitto israeliano-palestinese ha voluto farsi specchio. Di puntata in puntata, racconta le vicissitudini di un'unità speciale delle forze di Difesa israeliane, i cui soldati sono addestrati con l'unico scopo di infiltrarsi, presto, tra le fila degli arabi in terra palestinese. Il racconto è crudo ed equilibrato e suggella un'offerta tanto ampia da tenersi stretta la guerra, i complotti, come raccontati in False Flag, poi comprata da Fox, e pure la commedia.Tra le produzioni israeliane di maggior successo all'estero, figura The good cop, sitcom di onesti e corretti cui l'America, di nuovo, ha dato il proprio remake. La serie, Hashotr Hatov in originale, è disponibile su Netflix, mentre Sky, in Italia, ha tenuto The Affair, ideata dal genio israeliano Hagai Levi. Lo sceneggiatore ha creato una trama complessa, dove il fallimento di un matrimonio diventa preludio di un omicidio, di connivenze e nuove nascite.La serie è stata un gran successo, ma, di nuovo, ha restituito una visione solo parziale delle capacità in atto nella Hollywood mediorientale, dove tutto è fatto a dovere. Pure il Caduta libera di Gerry Scotti, adattamento del La'uf al HaMillion israeliano.
(Totaleu)
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