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2023-04-21
A furia di obblighi crolla la fiducia nei vaccini
Ansa
il miracolo delle vaccinazioni Covid: non è bastato che gli fosse imposta, attraverso il ricatto politico, la discriminazione giuridica e lo stigma sociale, l’iniezione salvifica. Adesso, si scopre che, durante la pandemia, i nostri connazionali hanno iniziato a credere sempre meno nelle glorie dei farmaci immunizzanti. Secondo l’ultimo rapporto dell’Unicef, la fiducia nei vaccini ai bimbi è crollata di 6,8 punti percentuali fino a fine 2022, con un calo più consistente tra gli under 35 e le donne. È questo ciò che resta degli sforzi sovrumani delle virostar in tv?
Non prendiamoci in giro: chi rimane di stucco dinanzi a certi risultati, o è molto ingenuo o è molto ipocrita.
Per un anno e mezzo, la gente è stata martellata dalla propaganda per l’iniezione contro il coronavirus. A un certo punto, il governo Draghi, con un regolamento del Miur retto da Patrizio Bianchi, ha minacciato di spedire in Dad, in caso di focolaio in classe, non solo gli studenti non inoculati, ma persino quelli non in regola con la terza dose. Trattati da fuorilegge; considerati, sul piano medico, alla stregua di pazienti fragili. Autorità pubbliche ed esperti, nel frattempo, minimizzavano i potenziali effetti avversi di quei medicinali sui giovani: i cardiologi erano arrivati a sostenere che le miocarditi indotte dai sieri a mRna fossero «lievi e autolimitanti». Alla fine, è giunto il contrordine definitivo: uno studio condotto dal Karolinska institutet, delle università di Berna, Oslo e Linköping, ha confermato che i piccini sono resi immuni al Covid attraverso il contatto con la famiglia degli altri coronavirus che provocano i raffreddori comuni. Altro che vaccino; bastava uno starnuto. Ormai, neppure l’Oms raccomanda più le punture ai fanciulli, che fino a pochi mesi fa erano indicate come un’urgenza improcrastinabile.
In Paesi diversi il bombardamento è stato meno intenso, ma l’imperativo, nella sostanza, era analogo: inseguire tutti con la siringa, senza distinzione d’età, stato di salute, esposizione al rischio. E dinanzi a questo delirio, guarda un po’, la popolazione, qui e all’estero, ha reagito con la diffidenza. Non è più convinta che sia vantaggioso offrire il braccio dei ragazzi per l’anti Covid. Il che è comprensibile. Il punto è che essa ha finito per gettare, letteralmente, il bambino con l’acqua sporca. Snobbando anche i vaccini utili.
I dati dell’Unicef parlano da soli. A livello globale, nel 2022, rispetto al 2021, il numero di piccoli paralizzati dalla poliomielite è cresciuto del 16%. E se come termine di riferimento si prende il periodo 2019-2021, l’incremento è addirittura di otto volte. Intanto, circa sette ragazze su otto non risultano schermate dal papillomavirus, un agente patogeno che può provocare il tumore della cervice uterina.
In definitiva, ci sono solo tre Paesi al mondo nei quali la percezione dell’importanza della vaccinazione pediatrica è rimasta inalterata o è addirittura cresciuta: Cina, India e Messico.
Ora, dal momento che la tendenza alla sfiducia nelle immunizzazioni è un fenomeno pressoché planetario, essa non sarà ovunque dovuta al modo in cui è stata gestita la compagna di inoculazioni per il Covid. Ma è lecito sospettare che il ricorso alla coercizione, i risultati non proprio entusiasmanti dei preparati a Rna messaggero su categorie anagrafiche di per sé poco soggette alle conseguenze gravi della malattia, nonché la sottovalutazione delle reazioni avverse, abbiano contribuito ad alimentare un’ondata di diffidenza che, ahinoi, si è estesa pure ai trattamenti davvero necessari per i più piccoli.
Nel frattempo, si è verificato un paradosso macroscopico: divieti e serrate hanno complicato gli approvvigionamenti di medicinali nelle aree disagiate, privando dell’accesso ai vaccini una marea di bimbi. Nel complesso, in 67 milioni sono rimasti totalmente o parzialmente privi di sieri salvavita, per colpa dell’interruzione delle somministrazioni legata alla pandemia. Ovvero, alle limitazioni dei sistemi sanitari e alle restrizioni. Il risultato? «Più di un decennio di progressi nell’immunizzazione infantile di routine è stato compromesso», afferma l’agenzia delle Nazioni Unite.
Un autentico capolavoro: mentre spingevamo ossessivamente i bimbi a sottoporsi a un vaccino che, nella migliore delle ipotesi, era inutile e, nella peggiore, più rischioso che benefico, ci siamo persi per strada due lustri di lavoro per difendere anzitutto i piccoli del Terzo mondo dalla minaccia di malattie prevenibili.
Infine, per chi desiderasse la ciliegina sulla torta, c’è il rapporto Istat sul Benessere equo e sostenibile. Nel documento, l’istituto fotografa, per l’anno 2022, l’aumento del disagio mentale, specialmente tra le ragazze, sia nella fascia d’età 14-19 anni sia in quella 20-24. Siamo ancora qui a pagare il conto di due anni di serrate, lezioni a distanza, criminalizzazione degli spritz in piazza. E meno male che doveva andare tutto bene...
Burioni sparse il panico su Omicron. Adesso scrive che è un raffreddore
Nel florilegio di «consigli per gli acquisti» graziosamente offerti in pandemia dal professor Roberto Burioni, è difficile reperire un’affermazione che non sia stata da lui contraddetta, poco dopo, da un’altra di segno completamente opposto. Uno degli esempi più eclatanti di questa dissociazione infodemica si è avuto proprio pochi giorni fa, in coincidenza con l’uscita, sulla rivista Journal of translational medicine, dello studio del virologo dell’Ospedale San Raffaele su «Sars-Cov-2 prima e dopo Omicron». La ricerca è stata elaborata da Burioni insieme con Renata Gili, giovane specialista in sanità pubblica presso Gimbe, fondazione del gastroenterologo Nino Cartabellotta che, in linea col nostro, continua a dispensare pressanti inviti alla vaccinazione anti Covid come unica soluzione per «convivere con il virus».
Lo studio parla chiaro: «Il Covid-19, una volta apparsa la variante Omicron, si è trasformato in una malattia diversa da quella causata dalle varianti precedenti. Clinicamente, Omicron causa una malattia meno grave rispetto alle sue varianti precedenti». Diversi scienziati lo avevano detto e ribadito già poche settimane dopo che Omicron aveva fatto capolino nel nostro Paese e in Europa, se non altro per scongiurare il rischio di infliggere il punitivo e inutile green pass a un’ampia fascia di cittadini.
Quali caratteristiche ha Omicron, secondo Burioni edizione 2023? La malattia ha come sintomo più frequente «l’insorgenza del mal di gola e della voce rauca», scrive. «Ci troviamo di fronte a una variante che presenta una minore efficacia di replicazione nel tratto respiratorio inferiore (il polmone, ndr) con un coinvolgimento sistemico inferiore», scrivono i due esperti. Traduzione: Omicron colpisce le vie respiratorie alte, naso e gola, risparmiando il polmone. Insomma: è quello che da sempre chiamiamo «raffreddore», definito dallo stesso Istituto superiore di sanità come «infezione virale delle prime vie respiratorie, in particolare del naso e della gola, causata da oltre 200 differenti virus di cui i più comuni sono i rinovirus, i virus influenzali e parainfluenzali, gli adenovirus, il virus respiratorio sinciziale e i coronavirus». Guai, però, a dirlo a Burioni edizione 2022. In una memorabile puntata di Che tempo che fa dedicata proprio a Omicron, a marzo dell’anno scorso, il virologo del San Raffaele, sollecitato da Fabio Fazio che gli chiede se Omicron è davvero «un raffreddore», sostiene con decisione che «chiamarlo così è veramente una grande forzatura. Il Covid, pur nella sua variante Omicron, rimane un virus contagiosissimo e pericolosissimo». Burioni edizione 2022 ne era profondamente convinto: ancora a fine aprile dello scorso anno, quando ormai era evidente che i sintomi della malattia, già blandi nella fascia 0-19 anni, lo erano ancor di più con Omicron, il virologo scrive sul suo sito Medical facts che «dire che solo i bambini che hanno altre malattie sviluppano forme gravi è falso […]. Nell’87% dei casi, i bambini ricoverati durante l’ondata omicron non erano vaccinati». Davvero? Eppure, Burioni edizione 2023 scrive che «una delle caratteristiche principali della variante Omicron è la sua marcata (marcata) capacità di eludere la risposta immunitaria, sia negli individui precedentemente infettati da Sars-Cov-2 che nei soggetti vaccinati». Come dimenticare, in effetti, il Gran Contagio di Natale 2021, che ha reso empiricamente evidente a tutta la popolazione che il vaccino non bloccava il contagio e mandava in ospedale i vaccinati? E come dimenticare che lo stesso Burioni, l’8 ottobre 2022, si collega da casa con Fazio dichiarando di essersi ammalato di Covid, con tanto di voce incrinata da tosse e raffredddore, subito dopo aver fatto la quarta dose?
L’unica raccomandazione rimasta immutata nel Burioni edizione 2022 rispetto al Burioni edizione 2023 è l’invito, incessante, alla vaccinazione anti Covid, nonostante tutte le evidenze. Prevedibile anche la volontà di riposizionarsi scientificamente per poter dire, tra qualche anno: «Omicron era un raffreddore, io l’ho sempre detto».
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Secondo l’Unicef, dopo la pandemia la gente è diventata più diffidente verso le iniezioni ai bambini. E mentre si rifilavano fiale anti Sars-Cov-2 di dubbia utilità a tutti i minori, per i lockdown è calata la fornitura di dosi utili contro malattie gravi, tipo la polio-In uno studio con una scienziata di Gimbe, ridimensionato l’ex ceppo «pericolosissimo»-Lo speciale contiene due articoliil miracolo delle vaccinazioni Covid: non è bastato che gli fosse imposta, attraverso il ricatto politico, la discriminazione giuridica e lo stigma sociale, l’iniezione salvifica. Adesso, si scopre che, durante la pandemia, i nostri connazionali hanno iniziato a credere sempre meno nelle glorie dei farmaci immunizzanti. Secondo l’ultimo rapporto dell’Unicef, la fiducia nei vaccini ai bimbi è crollata di 6,8 punti percentuali fino a fine 2022, con un calo più consistente tra gli under 35 e le donne. È questo ciò che resta degli sforzi sovrumani delle virostar in tv?Non prendiamoci in giro: chi rimane di stucco dinanzi a certi risultati, o è molto ingenuo o è molto ipocrita. Per un anno e mezzo, la gente è stata martellata dalla propaganda per l’iniezione contro il coronavirus. A un certo punto, il governo Draghi, con un regolamento del Miur retto da Patrizio Bianchi, ha minacciato di spedire in Dad, in caso di focolaio in classe, non solo gli studenti non inoculati, ma persino quelli non in regola con la terza dose. Trattati da fuorilegge; considerati, sul piano medico, alla stregua di pazienti fragili. Autorità pubbliche ed esperti, nel frattempo, minimizzavano i potenziali effetti avversi di quei medicinali sui giovani: i cardiologi erano arrivati a sostenere che le miocarditi indotte dai sieri a mRna fossero «lievi e autolimitanti». Alla fine, è giunto il contrordine definitivo: uno studio condotto dal Karolinska institutet, delle università di Berna, Oslo e Linköping, ha confermato che i piccini sono resi immuni al Covid attraverso il contatto con la famiglia degli altri coronavirus che provocano i raffreddori comuni. Altro che vaccino; bastava uno starnuto. Ormai, neppure l’Oms raccomanda più le punture ai fanciulli, che fino a pochi mesi fa erano indicate come un’urgenza improcrastinabile. In Paesi diversi il bombardamento è stato meno intenso, ma l’imperativo, nella sostanza, era analogo: inseguire tutti con la siringa, senza distinzione d’età, stato di salute, esposizione al rischio. E dinanzi a questo delirio, guarda un po’, la popolazione, qui e all’estero, ha reagito con la diffidenza. Non è più convinta che sia vantaggioso offrire il braccio dei ragazzi per l’anti Covid. Il che è comprensibile. Il punto è che essa ha finito per gettare, letteralmente, il bambino con l’acqua sporca. Snobbando anche i vaccini utili.I dati dell’Unicef parlano da soli. A livello globale, nel 2022, rispetto al 2021, il numero di piccoli paralizzati dalla poliomielite è cresciuto del 16%. E se come termine di riferimento si prende il periodo 2019-2021, l’incremento è addirittura di otto volte. Intanto, circa sette ragazze su otto non risultano schermate dal papillomavirus, un agente patogeno che può provocare il tumore della cervice uterina. In definitiva, ci sono solo tre Paesi al mondo nei quali la percezione dell’importanza della vaccinazione pediatrica è rimasta inalterata o è addirittura cresciuta: Cina, India e Messico. Ora, dal momento che la tendenza alla sfiducia nelle immunizzazioni è un fenomeno pressoché planetario, essa non sarà ovunque dovuta al modo in cui è stata gestita la compagna di inoculazioni per il Covid. Ma è lecito sospettare che il ricorso alla coercizione, i risultati non proprio entusiasmanti dei preparati a Rna messaggero su categorie anagrafiche di per sé poco soggette alle conseguenze gravi della malattia, nonché la sottovalutazione delle reazioni avverse, abbiano contribuito ad alimentare un’ondata di diffidenza che, ahinoi, si è estesa pure ai trattamenti davvero necessari per i più piccoli. Nel frattempo, si è verificato un paradosso macroscopico: divieti e serrate hanno complicato gli approvvigionamenti di medicinali nelle aree disagiate, privando dell’accesso ai vaccini una marea di bimbi. Nel complesso, in 67 milioni sono rimasti totalmente o parzialmente privi di sieri salvavita, per colpa dell’interruzione delle somministrazioni legata alla pandemia. Ovvero, alle limitazioni dei sistemi sanitari e alle restrizioni. Il risultato? «Più di un decennio di progressi nell’immunizzazione infantile di routine è stato compromesso», afferma l’agenzia delle Nazioni Unite. Un autentico capolavoro: mentre spingevamo ossessivamente i bimbi a sottoporsi a un vaccino che, nella migliore delle ipotesi, era inutile e, nella peggiore, più rischioso che benefico, ci siamo persi per strada due lustri di lavoro per difendere anzitutto i piccoli del Terzo mondo dalla minaccia di malattie prevenibili. Infine, per chi desiderasse la ciliegina sulla torta, c’è il rapporto Istat sul Benessere equo e sostenibile. Nel documento, l’istituto fotografa, per l’anno 2022, l’aumento del disagio mentale, specialmente tra le ragazze, sia nella fascia d’età 14-19 anni sia in quella 20-24. Siamo ancora qui a pagare il conto di due anni di serrate, lezioni a distanza, criminalizzazione degli spritz in piazza. E meno male che doveva andare tutto bene... <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/a-furia-di-obblighi-crolla-la-fiducia-nei-vaccini-2659888592.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="burioni-sparse-il-panico-su-omicron-adesso-scrive-che-e-un-raffreddore" data-post-id="2659888592" data-published-at="1682016365" data-use-pagination="False"> Burioni sparse il panico su Omicron. Adesso scrive che è un raffreddore Nel florilegio di «consigli per gli acquisti» graziosamente offerti in pandemia dal professor Roberto Burioni, è difficile reperire un’affermazione che non sia stata da lui contraddetta, poco dopo, da un’altra di segno completamente opposto. Uno degli esempi più eclatanti di questa dissociazione infodemica si è avuto proprio pochi giorni fa, in coincidenza con l’uscita, sulla rivista Journal of translational medicine, dello studio del virologo dell’Ospedale San Raffaele su «Sars-Cov-2 prima e dopo Omicron». La ricerca è stata elaborata da Burioni insieme con Renata Gili, giovane specialista in sanità pubblica presso Gimbe, fondazione del gastroenterologo Nino Cartabellotta che, in linea col nostro, continua a dispensare pressanti inviti alla vaccinazione anti Covid come unica soluzione per «convivere con il virus». Lo studio parla chiaro: «Il Covid-19, una volta apparsa la variante Omicron, si è trasformato in una malattia diversa da quella causata dalle varianti precedenti. Clinicamente, Omicron causa una malattia meno grave rispetto alle sue varianti precedenti». Diversi scienziati lo avevano detto e ribadito già poche settimane dopo che Omicron aveva fatto capolino nel nostro Paese e in Europa, se non altro per scongiurare il rischio di infliggere il punitivo e inutile green pass a un’ampia fascia di cittadini. Quali caratteristiche ha Omicron, secondo Burioni edizione 2023? La malattia ha come sintomo più frequente «l’insorgenza del mal di gola e della voce rauca», scrive. «Ci troviamo di fronte a una variante che presenta una minore efficacia di replicazione nel tratto respiratorio inferiore (il polmone, ndr) con un coinvolgimento sistemico inferiore», scrivono i due esperti. Traduzione: Omicron colpisce le vie respiratorie alte, naso e gola, risparmiando il polmone. Insomma: è quello che da sempre chiamiamo «raffreddore», definito dallo stesso Istituto superiore di sanità come «infezione virale delle prime vie respiratorie, in particolare del naso e della gola, causata da oltre 200 differenti virus di cui i più comuni sono i rinovirus, i virus influenzali e parainfluenzali, gli adenovirus, il virus respiratorio sinciziale e i coronavirus». Guai, però, a dirlo a Burioni edizione 2022. In una memorabile puntata di Che tempo che fa dedicata proprio a Omicron, a marzo dell’anno scorso, il virologo del San Raffaele, sollecitato da Fabio Fazio che gli chiede se Omicron è davvero «un raffreddore», sostiene con decisione che «chiamarlo così è veramente una grande forzatura. Il Covid, pur nella sua variante Omicron, rimane un virus contagiosissimo e pericolosissimo». Burioni edizione 2022 ne era profondamente convinto: ancora a fine aprile dello scorso anno, quando ormai era evidente che i sintomi della malattia, già blandi nella fascia 0-19 anni, lo erano ancor di più con Omicron, il virologo scrive sul suo sito Medical facts che «dire che solo i bambini che hanno altre malattie sviluppano forme gravi è falso […]. Nell’87% dei casi, i bambini ricoverati durante l’ondata omicron non erano vaccinati». Davvero? Eppure, Burioni edizione 2023 scrive che «una delle caratteristiche principali della variante Omicron è la sua marcata (marcata) capacità di eludere la risposta immunitaria, sia negli individui precedentemente infettati da Sars-Cov-2 che nei soggetti vaccinati». Come dimenticare, in effetti, il Gran Contagio di Natale 2021, che ha reso empiricamente evidente a tutta la popolazione che il vaccino non bloccava il contagio e mandava in ospedale i vaccinati? E come dimenticare che lo stesso Burioni, l’8 ottobre 2022, si collega da casa con Fazio dichiarando di essersi ammalato di Covid, con tanto di voce incrinata da tosse e raffredddore, subito dopo aver fatto la quarta dose? L’unica raccomandazione rimasta immutata nel Burioni edizione 2022 rispetto al Burioni edizione 2023 è l’invito, incessante, alla vaccinazione anti Covid, nonostante tutte le evidenze. Prevedibile anche la volontà di riposizionarsi scientificamente per poter dire, tra qualche anno: «Omicron era un raffreddore, io l’ho sempre detto».
«Little Disasters: L'errore di una madre» (Paramount+)
Sarah Vaughan è quella di Anatomia di uno scandalo, diventato poi miniserie Netflix. Ed è la stessa che pare averci preso gusto, con la narrazione televisiva. Giovedì 11 dicembre, tocca ad un altro romanzo della scrittrice debuttare come serie tv, non su Netflix, ma su Paramount+.
Little Disasters: L'errore di una madre non è un thriller e non ha granché delle vicissitudini, amorose e politiche, che hanno decretato il successo di Anatomia di uno scandalo. Il romanzo è riflessivo. Non pretende di spiegare, di inventare una storia che possa tenere chi legga con il fiato sospeso o indurlo a parteggiare per questa o quella parte, a indignarsi e commuoversi insieme ai suoi protagonisti. Little Disasters è la storia di un mestiere mai riconosciuto come tale, quello di madre. Non c'è retorica, però. Sarah Vaughan non sembra ambire a veder riconosciuto uno dei tanti sondaggi che alle madri del mondo assegnano uno stipendio, quantificando le ore spese nell'accudimento dei figli e della casa. Pare, piuttosto, intenzionata a sondare le profondità di un abisso che, spesso, rimane nascosto dietro sorrisi di facciata, dietro un contegno autoimposto, dietro una perfezione solo apparente.
Little Disastersè, dunque, la storia di Liz e di Jess, due amiche che sulla propria e personale concezione di maternità imbastiscono - loro malgrado - un conflitto insanabile. Jess, pediatra all'interno di un ospedale, è di turno al pronto soccorso, quando Liz si presenta con la sua bambina fra le braccia. Sembra non stare bene, per ragioni imperscrutabili ad occhio profano. Ma i primi esami rivelano altro: un'altra verità. La piccola ha una ferita alla testa, qualcosa che una madre non può non aver visto. Qualcosa che, forse, una madre può addirittura aver provocato. Così, sui referti di quella piccinina si apre la guerra, fatta di domande silenziose, di diffidenza, di dubbi. Jess comincia a pensare che, all'interno della famiglia di Liz, così bella a guardarla da fuori, possa nascondersi un mostro. Ipotizza che l'amica possa soffrire di depressione post partum, che la relazione tra lei e il marito possa essere violenta. Liz, da parte sua, non parla. Non dice. Non spiega come sia possibile non abbia visto quel bozzo sul crapino della bambina. E Little Disasters va avanti, con un finale piuttosto prevedibile, ma con la capacità altresì di raccontare la complessità della maternità, le difficoltà, i giudizi, la deprivazione del sonno, il peso di una solitudine che, a tratti, si rivela essere assordante.
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La centrale idroelettrica “Domenico Cimarosa” di Presenzano, in provincia di Caserta
Enel, leader nella produzione di energia pulita, considera l’idroelettrico una delle colonne portanti della transizione energetica, grazie alla sua affidabilità, flessibilità e capacità di integrarsi con altre fonti rinnovabili. Tra le tecnologie che guideranno la decarbonizzazione nei prossimi decenni, l’idroelettrico rimane una delle più solide, mature e strategiche. È una fonte rinnovabile antica, già utilizzata nei secoli per azionare mulini e macchinari, ma oggi completamente trasformata dall’innovazione industriale.
Per Enel, che ha anticipato al 2040 il traguardo del Net Zero, questa tecnologia rappresenta una risorsa strategica: combina innovazione, sostenibilità e benefici concreti per i territori. Il principio è semplice ma potentissimo: sfruttare la forza dell’acqua per mettere in rotazione turbine idrauliche collegate ad alternatori che producono elettricità. Dietro questo meccanismo lineare c’è però un lavoro ingegneristico complesso, fatto di dighe, gallerie, condotte forzate, sistemi di monitoraggio, regolazione dei flussi e integrazione con lo storage la rete elettrica.
Gli impianti idroelettrici gestiti da Enel non solo generano energia, ma svolgono una funzione preziosa nel controllo delle risorse idriche: aiutano a gestire periodi di siccità, a contenere gli effetti di precipitazioni eccezionali e a mantenere stabile il sistema elettrico nei picchi di domanda. Esistono tre principali tipologie di impianto: fluenti, che sfruttano la portata naturale dei corsi d’acqua; a bacino, dove le dighe trattengono l’acqua e permettono di modulare la produzione; e con pompaggio, un vero gioiello tecnologico. Qui i bacini sono due, uno a monte e uno a valle: l’acqua può essere riportata verso l’alto tramite le stesse turbine, trasformando il sistema in un grande “accumulatore naturale” di energia. Una riserva preziosa, che consente di compensare l’intermittenza delle altre fonti rinnovabili e di stabilizzare la rete elettrica quando il fabbisogno cresce improvvisamente.
Questo ruolo di bilanciamento è una delle ragioni per cui l’idroelettrico è considerato una tecnologia decisiva nella nuova architettura energetica. Nell’impianto di Dossi a Valbondione in provincia di Bergamo, , un sistema BESS (Battery Energy Storage System), Enel ha avviato il progetto di innovazione “BESS4HYDRO”, che entrerà in pieno esercizio nella primavera del 2026 e che prevede, per la prima volta in Europa, l’esercizio integrato di una batteria a litio in un impianto idroelettrico. Grazie alla maggiore flessibilità, l’impianto potrà svolgere anche servizi di rete che di norma vengono forniti da impianti a gas: diminuirà così il ricorso alle fonti fossili e aumenterà quindi la sostenibilità ambientale dell’intera operazione.
Accanto all’aspetto tecnico, c’è un altro valore: l’impatto positivo sui territori. Le grandi opere idroelettriche gestite da Enel hanno creato bacini artificiali che, oltre alla funzione energetica, hanno generato nuove opportunità per molte comunità. Turismo naturalistico, attività escursionistiche, pesca sportiva: gli invasi costruiti per la produzione elettrica si sono trasformati nel tempo in luoghi di valorizzazione paesaggistica ed economica, integrando il binomio energia-ambiente.
L’innovazione gioca un ruolo sempre più centrale. L’esperienza dell’impianto di Venaus, dove Enel ha integrato sulla vasca di scarico della centrale idroelettrica un sistema fotovoltaico galleggiante, dimostra come la combinazione tra diverse tecnologie possa aumentare la produzione rinnovabile senza consumare nuovo suolo. Allo stesso tempo, Enel investe in soluzioni che rendano gli impianti più sostenibili, efficienti e resilienti, puntando su manutenzione avanzata e modernizzazione delle strutture.
In un’epoca in cui la sicurezza energetica, la resilienza delle infrastrutture e la decarbonizzazione sono priorità globali, l’idroelettrico gestito da Enel dimostra di essere una tecnologia solida che guarda al futuro. Grazie alla sua capacità di produrre energia pulita, regolare i flussi idrici e stabilizzare la rete, continuerà ad accompagnare il percorso di transizione energetica, contribuendo in modo concreto agli obiettivi climatici dell’Italia e dell’Europa.
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Maurizio Landini (Ansa)
Tema cruciale: la nuova puntata di una saga che ormai è venuta a noia anche ai diretti interessati, lo sciopero generale contro il governo di centrodestra. Appuntamento per il 12 dicembre. La manovra è una scusa che viene buona per dire peste e corna di Meloni & C. Si parla di drenaggio fiscale (sale la pressione fiscale a causa dell’inflazione in presenza di aliquote crescenti), pensioni, precari, sanità e patrimoniale. Insomma, un bel pot-pourri di tutti gli ever green della casa. E poco importa al segretario leader dei talk show che alcuni dei suoi temi caldi siano stati ampiamente confutati. Basta ripeterli e alle orecchie di chi ama sentirli diventano veri.
Il problema è che una buona parte del Paese avrebbe voluto sentire anche parole diverse da Landini. Poche, ma decise. Sarebbe bastato chiedere scusa per i fattacci di venerdì mattina. Per l’inseguimento durato un chilometro di una ventina di sindacalisti con le felpe della Fiom che hanno poi menato almeno due colleghi della Uilm, colpevoli di non aver partecipato a un altro sciopero, quello dei metalmeccanici che aveva come epicentro l’ex Ilva. Insomma, il minimo sindacale. E invece niente.
Le scuse se le sarebbe aspettate anche il segretario generale della Uilm ligure, Luigi Pinasco (dimesso con 10 giorni di prognosi dopo i colpi ricevuti sul capo) che nell’aggressione di venerdì scorso le ha prese insieme al segretario organizzativo Claudio Cabras (dimesso poco dopo con 7 giorni di prognosi, in seguito ai colpi ricevuti alla gamba). «Sono amareggiato e deluso per le mancate scuse e la mancata presa di distanza del segretario della Cgil», evidenzia Pinasco alla Verità, «io sono pronto a fare qualsiasi battaglia per conservare anche un singolo posto di lavoro e non nutro astio verso i miei aggressori, ma credo che la violenza vada sempre condannata. E soprattutto che vada condannata da chi ha un ruolo di rappresentanza così importante. È un esempio che va dato».
Anche perché da qualcun altro le scuse sono arrivate. «Guardi», continua, «a livello locale i colleghi della Fiom che lavorano in altre fabbriche mi hanno mostrato la loro solidarietà e hanno evidenziato tutto il loro disappunto per quello che è successo all’assemblea dell’ex Ilva lo scorso venerdì mattina. Poi però nessuno ha intenzione di esporsi in modo ufficiale perché evidentemente teme ritorsioni». C’è un brutto clima a Genova e in tanti danno la colpa agli esponenti di Lotta Comunista che in alcuni stabilimenti locali fanno il bello e il cattivo tempo. E non da adesso.
«Devo essere sincero», prosegue, «qui la contrapposizione sul diverso modo di affrontare le battaglie in fabbrica è alta, ma mai avrei pensato che saremmo arrivati a questo livello. Lotta Comunista? Io non so che tessere politiche abbiano in tasca i lavoratori, ma di sicuro certi circoli e movimenti in città sono ben radicati. E proprio per questo un invito alla calma in più non farebbe male».
Così come gesti di distensione servirebbero anche dalla politica locale. Non è un mistero, per esempio, che nella manifestazione dei metalmeccanici di giovedì, quella che ha visto come protagoniste Cgil e Cisl, ma non la Uil, l’intervento rassicurante del governatore Marco Bucci abbia avuto un effetto calmante.
«Non lo so», continua Pinasco, «credo però che quella dell’ex Ilva sia una questione molto complessa e che possa trovare delle soluzioni idonee solo a livello nazionale. Nulla contro il sindaco Salis e il governatore Bucci, ci mancherebbe, ma ci andrei piano con le promesse di salvataggio per Genova perché se poi non si avverano si rischia di accendere gli animi ancor di più. E in questo momento non ne sentiamo il bisogno».
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