
Durante i Saturnali, gli antenati della festa, gli schiavi si trasformavano in padroni e i ricchi in servi. A Venezia i primi «mascareri», nel 1271. In Uruguay i festeggiamenti più lunghi: 40 giorni. Quest'anno impazza la maschera di Dalì, usata in una serie tv spagnola.Le maschere stanno per tornare nelle nostre strade. Carnevale inizia ufficialmente il 28 febbraio. Tra gli antenati di questa festa, ancora molto sentita in Italia, ci sono i Saturnali della Roma antica, celebrati tra il 17 e il 24 dicembre. Giorni di baldoria e dissolutezza (da cui il detto latino «semel in anno licet insanire», «una volta all'anno è lecito far pazzie») in cui gli antichi romani si mascheravano invertendo ruoli e classi sociali: le donne diventavano uomini, gli schiavi padroni, i ricchi servi. Ancor prima tra gli antichi egizi esisteva una simile festività in cui si indossavano strambi travestimenti e maschere per celebrare la dea Iside. Nell'antica Grecia presentavano analogie con il Carnevale le Antesteria in onore del dio Dioniso, che duravano tre giorni. In Italia il primo documento in cui si cita ufficialmente il Carnevale come «festa pubblica» è veneziano: si tratta di un editto del Senato della Serenissima del 1296. Già nel 1271 esistevano botteghe artigiane per la produzione di maschere, ma bisognerà aspettare il 1436 perché i mascareri vengano riconosciuti come artigiani veri e propri. Tra le tipiche maschere veneziane: Pantalone, il vecchio mercante lussurioso e avaro con lungo naso adunco e barbetta da capra; la Baùta, una maschera bianca che veniva indossata con il tabarro e un tricorno nero; Colombina, la servetta furba e ruffiana, che in Pagliacci di Ruggero Leoncavallo, finì fra le braccia del bergamasco Arlecchino: «Vesti la giubba e la faccia infarina. / La gente paga, e rider vuole qua. / E se Arlecchin t'invola Colombina, / ridi, Pagliaccio, e ognun applaudirà!».«Al Carnevale di Venezia le maschere alludono alle mie corna» (il conte Umberto Marzotto alla moglie Marta nel 1987).La parola maschera deriva dall'arabo mascarà, scherzo, satira. Carnevale, dal latino carnem levare ovvero «eliminare la carne», poiché anticamente indicava il banchetto che si teneva il martedì grasso prima del periodo di astinenza e digiuno dettato dalla Quaresima. Nell'antichità i festeggiamenti cominciavano a dicembre e finivano il martedì grasso, a volte è durato anche 180 giorni. Oggi il carnevale più lungo al mondo si svolge a Montevideo, in Uruguay. Dura 40 giorni durante i quali le Llamadas (Chiamate), cortei di ballerine in abiti tradizionali o in succinti costumi variopinti, sfilano al ritmo del Candombe scandito dal suono dei tamburi africani. L'usanza di gettare sulla folla in festa granturco, arance, gusci d'uovo, noci biscotti e monetine per rallegrare l'atmosfera è antichissima. A partire dal XVI secolo, però, si iniziarono a produrre confettini profumati realizzati coi frutti del coriandolo rivestiti di zucchero o gesso. Poi l'ingegnere milanese Mangili, nel XIX secolo, pensò di sostituire i costosi confetti con i dischetti di scarto dei fogli bucherellati. Nacquero i coriandoli.Pulcinella, nato ad Acerra nel 1500, ha fatto il giro del mondo. A Parigi si chiama Polichinelle, a Londra «Punch», a Istanbul Karagoz, in Spagna «don Cristobal», in Germania Kaspar e a Mosca Petruska. Di mestiere fa il servo ma per un piatto di maccheroni è pronto a tutto, a mentire, imbrogliare e rubare. A pancia piena non perde occasioni di deridere ricchi e potenti. Leggenda vuole che sia ermafrodito autofecondante: muore alla fine di ogni Carnevale dopo aver partorito dalla gobba un nuovo Pulcinella.La maschera milanese di Meneghino rappresenta un servo ridanciano che si prende gioco dei difetti dei nobili. Meneghino è in realtà il diminutivo di Domenichino, un nome scelto non a caso: nel Settecento e Ottocento i signori più facoltosi potevano permettersi molti domestici, mentre i nobili che non avevano la possibilità di mantenere un servo fisso ne assumevano uno almeno per la giornata di domenica.Arlecchino, nato nel 1550, è una maschera della tradizione bergamasca. Si deve a Carlo Goldoni la sua «adozione» veneziana: fu lui a lanciare la maschera con la commedia Arlecchino servitore di due padroni. Secondo alcuni studiosi, la maschera di Arlecchino è una maschera funebre, il vestito bianco di Pulcinella rappresenta un sudario. Gli eruditi trovano l'origine del corteo carnascialesco in una sorta di pellegrinaggio verso il paese della Cuccagna, paese dell'immaginario popolare medievale con fiumi di vino, alberi pieni di salsicce, strade pavimentate d'oro eccetera.Rugantino, un bullo trasteverino di rosso vestito, era veloce con le parole tanto quanto con il coltello. Scriveva Domenico Volpi in Maschere: «Sono la maschera più brontolona, / anche se arguta, semplice e buona! / Se ti facessero 'na prepotenza, / chiamami subito: corro d'urgenza! / Faccio una strage, faccio macelli, / specie col vino de li Castelli. / Se dopo tutto vengo alle mani, / c'è poco da rugà semo romani!». Il nome della maschera bolognese di Balanzone deriva dalla parola «balanza», ovvero «bilancia», simbolo della giustizia: «Sono una maschera dotta e sapiente/ chiacchiero molto, concludo niente! / Son di Bologna un gran dottore: / mi sottopongono ogni malore, / e io con l'abile mia parlantina / sputo sentenze di medicina. / Curo il malato col latinorum / per omnia saecula saeculorum!» (Volpi, cit.).I Mamuthones e gli Issohadores, maschere tipiche del carnevale di Mamoiada in Sardegna, sfilano in «una processione danzata», come dice dall'antropologo Raffaello Marchi, per richiamare il ciclo della natura. Indossano una maschera nera, pantaloni di fustagno e un lungo gilet in pelle di pecora. Sulle loro spalle 30 chilogrammi di sa carriga, campanacci di diverse dimensioni appese a diverse cinture di cuoio. Si muovono con passi pesanti e salti. I Mamuthones vengono accompagnati dagli Issohadores, portatori della soha, una lunga fune in giunco. L'Issohadore «veste 'e turcu», è vestito da turco: sul capo ha una berritta (berretto) nera legata al mento da un fazzoletto colorato, indosso pantaloni larghi e camicia di tela bianchi, e un corpetto rosso.Ogni anno i romani attendevano con ansia l'editto del Papa che non sempre concedeva i festeggiamenti. Molti pontefici bandirono il Carnevale negli anni del Giubileo. E dato che circolare col volto coperto da maschere creava problemi di ordine pubblico, altri usavano qualunque scusa per vietare la festa in costume. Il Carnevale abolito per il pericolo del colera da Gregorio XVI ispirò il sonetto del Belli Er carnovale der '37: «Oggi arfine per ordine papale / Cor protesto e la scusa der collèra, / Ma ppe un'antra raggione un po' ppiù vera / Er Governo ha inibbito er carnovale».Nel XVIII secolo, a Roma, la tradizionale «festa dei moccoletti»: il martedì grasso, per salutare il Carnevale, una folla umana in maschera armata di lanterne e candele si riversava al tramonto in piazza del Popolo e lungo via del Corso. Bisognava tenere acceso il proprio cero fino a piazza San Marco, tentando di spegnere quello degli altri al grido di «morammazzato chi non regge er moccolo». Scriveva Johann Wolfgang von Goethe: «Il Carnevale a Roma non è una festa data al popolo, ma una festa che il popolo dà a sé stesso. Il governo non fa né preparativi né spese. Non illuminazioni, non fuochi artificiali, non processioni splendide, ma un semplice segnale che autorizza ciascuno ad essere pazzo e stravagante quanto gli pare e piace, ed annunzia che, salvo le bastonate, e le coltellate, tutto è permesso… Soprattutto le ragazze e le donne ne approfittano per spassarsela a loro gusto». Nove mesi dopo il Carnevale le levatrici avevano un gran da fare. Una ressa di partorienti d'ogni classe sociale aveva le doglie. Spiegava il poeta Gioacchino Belli in un sonetto: «Semo ar fin de novemmre; e ccarnovale è vvenuto ar principio de frebbaro. Le donne in zur calà la nona luna doppo quer zanto tempo, o bben'o mmale cqua d'oggni dua ne partorissce una».La maschera di Salvador Dalì usata dalla banda di ladri de La casa di carta, la serie tv spagnola, per rapinare la zecca di stato sta spopolando. Con buona pace della Fondazione del pittore che, pur non facendone una questione di diritti, pretende che chiunque la usi chieda il permesso. Alessandro Del Piero era solito andare al Carnevale di Venezia mascherato per godersi la città senza essere riconosciuto. Una volta indossò la maschera dell'Uomo tigre: «Ho finito per passare il tempo a fare foto abbracciato ai turisti giapponesi in piazza San Marco».Susanna Camusso, ex segretario della Cgil, s'è truccata solo una volta in vita sua: «Era per una festa di Carnevale».
La maxi operazione nella favela di Rio de Janeiro. Nel riquadro, Gaetano Trivelli (Ansa)
Parla Gaetano Trivelli, uno dei leader del team Recap, il gruppo che dà la caccia ai trafficanti che cercano di fuggire dalla legge.
Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
Su un testo riservato appare il nome del partito creato da Grillo. Dietro a questi finanziamenti una vera internazionale di sinistra.
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Nel 1937 l’archeologo francese Fernand Benoit fece una scoperta clamorosa. Durante gli scavi archeologici nei pressi dell’acquedotto romano di Arles, la sua città, riportò alla luce un sito straordinario. Lungo un crinale ripido e roccioso, scoprì quello che probabilmente è stato il primo impianto industriale della storia, un complesso che anticipò di oltre un millennio la prima rivoluzione industriale, quella della forza idraulica.
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Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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