2021-09-30
Dal 2024 ritorneremo all’austerità. Niente maxi investimenti sulla salute
La Nadef non cita espressamente il patto di stabilità, ma fra tre anni adotterà i parametri pre Covid. I fondi per la sanità pubblica sono già in calo. Mario Draghi punta sulla crescita, però c'è l'incognita inflazione.«È presto per definire quante risorse saranno appostate per la riforma del fisco», ha spiegato ieri Mario Draghi durante la conferenza stampa di presentazione della Nadef, la Nota di aggiornamento al documento di economia e finanza. Non si sa perché la legge delega necessita almeno di un'altra settimana per essere partorito. Al di là del tema o meglio dello scandalo che riguarda la riforma del catasto (il Parlamento è stato chiaro bocciandola), sappiamo però che i margini di manovra consentiti alla legge finanziaria sono piccolini. L'extra deficit per il 2022 non supererà i 22 miliardi. Con i criteri pre pandemici possono sembrare tanti, ma con le necessità emerse con il Covid disegnano un coperta abbastanza corta.Di certo dentro il perimetro ci sono i farmaci e i vaccini, il rifinanziamento delle politiche invariate, le agevolazioni per le case, la cassa integrazione, gli incentivi per l'innovazione delle aziende, le extra risorse per la Difesa e il prolungamento delle missioni di pace. Una lista così lunga che ci spinge senza troppa approssimazione a dire che di ciccia per la riforma fiscale ce ne sarà molto poca. Vedremo la settimana prossima. Nel frattempo dalla pubblicazione della Nadef emergono due pilastri chiari. Il primo riguarda l'approccio verso il debito. Nei fatti con il 2024 tornerà il patto di stabilità. Non ufficialmente forse, e magari sotto altro nome. Basta comunque scorrere le pagine del documento per vedere che la fase «espansiva», come l'ha chiamata il ministro dell'Economia Daniele Franco, terminerà nel 2024. Anno in cui il rapporto deficit/Pil si dovrebbe attestare intorno al 3,3%. Sempre che le spese programmate dentro il Recovery plan passino tutti gli esami della Commissione Ue e non concorrano formalmente a incrementare il debito pubblico. Insomma, se tutto va bene i margini per spendere sono molto risicati. Ne avevamo i sentori, adesso è tutto nero su bianco. A stupire è però la voce legata alla sanità. Sempre all'interno della Nadef, si vede che la spesa corrente destinata al comparto è passata dai 123,4 miliardi del 2020 ai 129 dell'anno in corso, ma già dal prossimo scenderà a 125 per attestarsi a 124 nel 2024. Poco. Anzi molto poco, se torniamo con la memoria ai momenti drammatici dell'inizio pandemia quando gli italiani hanno verificato sulla propria pelle i tagli del decennio precedente. I cittadini si sono accorti della reale situazione delle terapie intensive e della medicina territoriale. Purtroppo alle parole di Giuseppe Conte non sono seguiti i fatti. Al massimo rimpalli tra governo e Regioni. Anche la sterile discussione attorno al Mes si è rivelata un mero scontro politico avulso dagli obiettivi di potenziare la sanità pubblica (cosa che non avrebbe potuto fare per statuto). Purtroppo anche oggi notiamo che i grandi investimenti per la sanità sono già storia. Archiviati con il picco della pandemia. Senza dimenticare la gran parte dei fondi gestiti dal primo commissario Domenico Arcuri finti al vaglio di magistratura e inquirenti. Nel complesso Mario Draghi ha voluto indorare la pillola. Dal problema del debito si esce solo con la crescita. E su questo ha pienamente ragione. La sua e la nostra è però una difficile scommessa. Se la crescita non sarà sufficiente l'impalcatura imploderà. Così o il debito diventerà insostenibile o diventerà insostenibile la spesa. Il riferimento è soprattutto alle pensioni. A incombere sullo scenario futuro (il prossimo anno ma anche il 2023) è però l'inflazione. I vertici europei e il numero uno di Bankitalia, Ignazio Visco, descrivono l'impennata dei prezzi come temporanea. Esperti del settore trasporti, materie prime e logistica descrivono invece uno scenario diverso e molto più pericoloso. Una vera fiammata dell'inflazione aiuterà certo i governi a gestire il debito, ma creerà maggiore povertà in Paesi come il nostro che stanno nella parte bassa della scala di produttività. Il governo Draghi gode di una finestra internazionale piena di grandissime opportunità. La fine dell'era Merkel apre la strada a nuovi equilibri europei accelerati anche dalla crisi di Emmanuel Macron (sofferente in Africa e anche in ambito Nato) e alla rinascita di Londra che sfrutta a pieno le nuove relazioni con Washington. La finestra è piccola e si basa su due pilastri di natura politica interna. Il primo è la realizzazione delle riforme ormai concordate con l'Ue e il secondo è la tenuta dell'economia dei consumi nazionali. Le tensioni inflattive, la scarsità di materie prime e l'impossibilità di controllare l'intera filiera sono incognite in grado di azzoppare le strategie di rilancio. Un esempio su tutti. Il Superbonus per l'edilizia verrà rinnovato, ma i prossimi mesi rischiano di essere contraddistinti dalla penuria di materiali. E allora addio al piano di incentivi del governo e a un pezzo di ripresa del Pil.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)