2020-01-12
Zingaretti annuncia l’ennesima svolta ma le pernacchie arrivano dai suoi
Omar Bai/NurPhoto via Getty Images
Il segretario dem: «Vinciamo in Emilia Romagna, poi sciolgo il Pd». E lancia un amo verso le sardine. Beppe Sala è il primo a stroncare: «Niente operazioni di facciata». Critici i renziani, gelidi i compagni della ditta.«L'avvenire è tutto nei ricordi». Nicola Zingaretti deve avere dato un'occhiata alle ultime lettere di Cesare Pavese caratterizzate dalla frase dolce e folgorante, prima di sognare la nuova Cosa di sinistra, il figlio del Pd, il partito 4.0 di Greta, Carola e chef Rubio. A 13 anni dalla nascita l'abito è invecchiato, la stoffa non era buona e il segretario avverte l'insopprimibile bisogno di cambiarlo. Nuovo taglio e nuovi sarti, lo spiega in un'intervista a La Repubblica: «Vinciamo in Emilia Romagna e poi cambio tutto, sciolgo il Pd e lancio un nuovo partito. Convoco il congresso con una proposta politica e organizzativa di radicale innovazione e apertura».Il colpo è a effetto e per questo l'articolista Massimo Giannini azzarda il paragone dadaista con Giulio Cesare che proprio il 10 gennaio del 49 avanti Cristo avrebbe passato il Rubicone (secondo Svetonio). Il colpo è a effetto per dieci righe, poi ti accorgi che la bomba atomica è un petardo inesploso rimasto in tasca dai botti di Capodanno, perché già nel definire il perimetro del nuovo fa capolino il vecchio e hanno la meglio le letali malinconie di Pavese. «Dobbiamo rivolgerci alle persone e non alla politica organizzata, offrire un approdo a chi non ce l'ha», e avverti l'odore di sardine. «L'Italia sta tornando a uno schema bipolare», e cogli una gran voglia di contenitore rosso, il canotto delle coscienze galleggianti. «Dobbiamo impegnarci a creare lavoro, a definire il Green new deal, a costruire politiche industriali credibili nell'era digitale», e avverti la volontà del segretario di stoppare Carlo Calenda, di togliere argomenti a Matteo Renzi, di salvare i glutei dall'avanzata interna di Giorgio Gori. Quando infine Zingaretti spiega che «non penso a un nuovo partito ma a un partito nuovo», sul display si illumina la parola marketing. Percepisci il programma politico da Settimana enigmistica, qualcosa che hai già sentito un numero imprecisato di volte, dalla Bolognina al Pds, dalla gioiosa macchina da guerra di Achille Occhetto alla solitudine elitaria di Massimo D'Alema (quello dell'«amalgama non riuscito» nel risotto di Gianfranco Vissani a Porta a Porta), dal Partito dei fax al Popolo viola, dai No global ai Girotondi di Nanni Moretti e Ottavia Piccolo (che fine ha fatto Pancho Pardi?). Con le istanze arcobaleno in prima fila, il «meticciato» come parola chiave e Il quarto Stato dello sventurato Giuseppe Pellizza da Volpedo - chi glielo ha fatto dipingere - a fungere da società civile new age.Con una differenza sostanziale. Nelle svolte precedenti c'era in sottofondo il dramma di un grande partito di massa del Novecento che si assottigliava, perdeva contatto con il suo popolo ed era costretto a cambiare pelle dalla Storia. In questa c'è lo snobismo vuoto di chi si trova al governo solo per occupare un posto al sole e per l'ennesima volta non sa cosa fare del potere. La necessità di rimodernare il menù della trattoria (e ridefinire polenta e baccalà chiamandola pesce veloce del Baltico con chicchi di granoturco all'ancienne) deriva da un fallimento: la civilizzazione dei 5 stelle prevista da Dario Franceschini. Che solo tre mesi fa annunciava: «Luigi Di Maio sta studiando, fra noi ci sono molte consonanze». Risultato un eterno giorno zero, la palude. In primavera ci sarà il congresso, poi la svolta o pseudo tale. Il cambio di nome l'aveva già auspicato Dario Nardella mesi fa: «Chiamiamoci solo Democratici togliendo quel “partito" che sa di caserma novecentesca». Per Zingaretti ci sarà ma non è una priorità, «piuttosto l'esito di un percorso». Più importante un altro aspetto: «Non voglio lanciare un'opa sulle sardine, rispetto la loro autonomia». È l'azzardo più evidente, al limite della battuta di spirito, visto che è impossibile essere autonomi da sé stessi. I sardinians sono reduci dell'associazionismo di sinistra, la parte più presentabile dei centri sociali, i comitati civici della Leopolda, i leader del volontariato cattolico legati alle cooperative. E nell'anima young sono attivisti verdi vicini alle Ong, cellule studentesche di fricchettoni fuoricorso. Tutta gente già intimamente gauchiste, che ha tolto il simbolo dalla portiera del Volkswagen Bulli per carità di patria come Stefano Bonaccini dai manifesti a Bologna. E che si fa organizzare le manifestazioni dalla Cgil, sai che autonomia.«Cambio tutto, sciolgo il Pd». Chi si aspettava che la notizia avesse l'effetto di uno sparo in un accampamento militare addormentato all'alba, rimane deluso. Quello che accompagna la rivoluzione zingarettiana è uno «sticazzi» soffuso, educato. Non per niente il più eccitato è il meno di sinistra, il sindaco di Milano, Beppe Sala. «È il momento del coraggio, non dobbiamo accontentarci di essere al 20%. L'importante è che non sia un'operazione di facciata». Andrea Orlando fa capire che non ci sarà scelta senza dibbbattito (con tre o quattro b): «È necessario ragionare su come rifondare il partito». Graziano Delrio sostiene il progetto pensando alla leva: «Serve una maggiore apertura alla società e ai movimenti». Andrea Marcucci tira il freno: «Sono contrario a operazioni nostalgia». Matteo Orfini tocca il cuore del problema: «Il cambiamento serve, voglio prenderlo sul serio. Speriamo che non sia fuffa». Aspettando gli eccitanti afrori del meticciato, la sinistra si interroga come fa da giorno dopo il crollo del Muro di Berlino. I pericoli sono proprio la fuffa e quel camminare «con l'avvenire nei ricordi» che provoca il torcicollo. Ce n'è un terzo, di pericolo, ed è immediato: da domani gli elettori di sinistra in Emilia Romagna non sanno definitivamente per cosa votano. Fra Bonaccini che nasconde il simbolo del Pd perché si vergogna e Zingaretti che fa sparire addirittura il partito, è una gara a farsi male. O forse è la strategia dell'Opossum: sembrare morti per restare in vita.
Francesca Albanese (Ansa)
La sede della Corta penale internazionale dell’Aia (Ansa)