2021-02-08
Zinga rosica: «È lui che ci dà ragione»
Il segretario dem, spiazzato dalla mossa leghista: «Non ci siamo spostati noi». Ma ora deve difendersi dalle minacce di congresso degli ex renziani: «Si terrà fra due anni»«Con il Pd avremo frequentazioni assidue». Matteo Salvini si diverte a provocare i dem, alle prese con il dilemma dei dilemmi: come faremo a stare nello stesso governo con la Lega? Un’angoscia che in realtà riguarda più i dirigenti (anzi alcuni dirigenti) che la base del partito la quale, come dimostrano i sondaggi, crede molto nell’esecutivo guidato da Mario Draghi. Il gioco della Lega è ben chiaro ai piani alti del Pd: tentare in ogni modo di spingere verso destra il baricentro del governo Draghi, scolorendone i toni giallorossi. Un appoggio esterno del Pd sarebbe un sogno per Salvini, che ieri ha affidato al capogruppo del Carroccio alla Camera, Riccardo Molinari, il lancio di un’altra bomba politica: «Se il governo Draghi sarà un governo politico», ha detto Molinari al Corriere della Sera, «mi sembrerebbe normale che tra i ministri ci fosse anche Matteo Salvini». Dario Franceschini e Matteo Salvini seduti l’uno accanto all’altro in Consiglio dei ministri: la prospettiva non è certamente l’ideale per i dem, ma il segretario, Nicola Zingaretti, prova a non cadere nella trappola e dissimula: «Salvini», dice Zinga a Mezz’ora in più, su Rai 3, «ha dato ragione al Partito democratico. Non ci siamo spostati noi». La partecipazione della Lega al governo Draghi? «Non c’è dubbio», sottolinea Zingaretti, «che sia una novità. Quando ho visto le dichiarazioni, ho detto che Salvini ha dato ragione al Pd. Finalmente tutti possono riconoscere le nostre battaglie europeiste contro il nazionalismo e il sovranismo. L’idea di superare i problemi distruggendo l’Europa era fallimentare. Si apre una fase nuova», aggiunge il segretario dem, «che richiederà coerenza, l’Europa non è una parola: è valori, istituzioni, dignità. Quello che stiamo vivendo è anche l’effetto di quello che abbiamo vissuto con la pandemia: ha fatto cadere i pilastri del sovranismo in tutto il mondo, ha dimostrato che bisogna collaborare e non dividersi. La cultura dell’odio non risolveva i problemi ma li aggravava, ho visto scricchiolare un respiro di un progetto che pochi mesi fa si era proposto con le elezioni europee. Draghi», sottolinea Zingaretti, «ha detto che la soluzione dei nostri problemi è in Europa. La Lega ha sempre votato contro il Recovery, poi si è astenuta. Vedremo ora come fa. Nel 2018 eravamo la forza politica al tramonto e più marginale nel bipolarismo Lega-M5s, oggi siamo un punto di riferimento nella costruzione di questa operazione di governo a cui collaboriamo». La stoccata a Matteo Renzi, che nel 2018 da segretario dem portò il partito alla disfatta, è esplicita. Del resto, la colonna ex (ma neanche tanto) renziana all’interno del Pd, la corrente Base riformista, guidata da Lorenzo Guerini e Luca Lotti, ha già esplicitamente chiesto un congresso, attraverso un’intervista a Open del coordinatore Alessandro Alfieri. La linea di Base riformista è quella di non proseguire nell’alleanza strategica con il M5s. Sulla leadership del centrosinistra ceduta a Giuseppe Conte, poi, i malumori si sprecano, Sul congresso, Zingaretti chiude la porta: «In due anni è cambiato tutto. Io lo avevo detto anche prima della pandemia. È evidente che va fatta una discussione politica vera sull’identità, i contorni, il nostri profilo culturale. Dobbiamo», aggiunge Zingaretti, «lanciare la nostra prospettiva politica per il futuro e discuteremo insieme come farlo. Io spero solo che nessuno voglia riportare indietro le lancette dell’orologio perché allora sarà una battaglia politica. Lo dico perché sia chiaro. La discussione congressuale, quando la faremo, sarà una vittoria di tutto il Pd unito. Il congresso sarà tra due anni», profetizza il segretario del Pd, «ma appena questa fase si sarà conclusa, porrò l’interrogativo di come andare avanti. Lo posso fare perché il Pd si è unito molto più di quanto non lo sia mai stato in 12 anni».