2023-08-12
Zelensky purga ancora: via tutti i reclutatori
Volodymyr Zelensky (Ansa)
Il presidente ucraino ha rimosso i capi militari locali per «sradicare la corruzione» che consentirebbe di sfuggire all’arruolamento. Continuano gli attacchi di droni in territorio russo. Kiev delusa per le lungaggini nell’addestramento dei piloti all’uso dei caccia F-16.Niger: Ecowas verso l’intervento. Scappano anche i cinesi: lascia azienda di costruzioni.Lo speciale contiene due articoli.Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha annunciato che i funzionari responsabili di tutti i centri di reclutamento militari regionali sono stati licenziati a causa della diffusa corruzione. «Questo sistema deve essere guidato da persone che sanno bene cosa è la guerra, perché il cinismo e la corruzione equivalgono al tradimento dello Stato» ha spiegato a margine di una riunione del Consiglio di sicurezza e difesa nazionale. Ruoli che per il leader ucraino dovranno essere riaffidati a «soldati che sono stati al fronte o che non possono essere in trincea perché hanno perso la salute, hanno perso gli arti, ma hanno salvato la dignità e non hanno cinismo».Sono 112 i procedimenti penali aperti contro funzionari degli uffici di registrazione e arruolamento militare, accusati di essere parte attiva di un sistema che consente ai coscritti di sfuggire all’esercito. «Ogni commissario militare contro il quale è in corso un’indagine penale sarà ritenuto responsabile», ha affermato. «I funzionari che hanno confuso i loro spallacci con il profitto saranno sicuramente assicurati alla giustizia». Un atto di forza il suo che potrebbe essere letto come un segnale di debolezza. Dover rifondare tutto equivale ad aver perso parte del controllo di un sistema, quello di reclutamento, cruciale quando una guerra è in atto.Dinamiche interne che però non impediscono alla battaglia di fare il suo corso. La difesa aerea russa sostiene di aver abbattuto un drone ucraino vicino Mosca. «È stato fatto un tentativo di far volare un drone sopra la città. Le difese aeree lo hanno distrutto. Nessuno è rimasto ferito, non ci sono state nemmeno gravi distruzioni», ha dichiarato il sindaco, Sergey Sobyanin.Il drone ha costretto per alcune ore alla chiusura dell’aeroporto Vnukovo di Mosca. E non è finita perché il portavoce dell’intelligence militare ucraina, Andriy Yusov, ha detto che gli abitanti di Mosca dovrebbero aspettarsi altri attacchi: «Date le dinamiche degli ultimi mesi, il numero, la geografia e l’intensità, sarebbe logico ipotizzare un aumento degli attacchi quotidiani», ha detto Yusov, aggiungendo che «il concetto di sicurezza è sempre più distante dai residenti di Mosca» e che «il mondo intero continua a vedere che il sistema di difesa russo» è «inefficace, obsoleto e non può rispondere adeguatamente alle sfide moderne».Tuttavia, gli attacchi proseguono anche sul territorio ucraino. Kiev ieri è stata attaccata con un missile ipersonico abbattuto dalla contro difesa aerea, altri due hanno colpito lo scalo dell’aeroporto di Kolomyia nella regione di Ivano-Frankivsk, nell’Ucraina occidentale uno è caduto in una vicina area residenziale uccidendo un bambino di otto anni. Il missile ha colpito una casa a Kolomia in cui viveva una famiglia con tre figli, tra i quali il piccolo rimasto ucciso. Un altro edificio è rimasto parzialmente distrutto dall’onda d’urto dell’esplosione. Un’altra persona è morta in seguito a un attacco russo sulla città di Kherson. Nella città sono rimaste ferite anche due donne. A Zaporizhzhia un attacco missilistico ha causato un morto e 16 feriti in un edificio usato spesso dal personale delle Nazioni Unite. Anche se le autorità russe sostengono si trattasse di un un centro di raccolta di mercenari stranieri.Le tensioni continuano a moltiplicarsi anche fuori dai confini ucraini. Il premier lituano, Ingrida Simonyte, ha annunciato che il suo Paese ha inviato truppe aggiuntive al confine con la Bielorussia (come già fatto dalla Polonia con 10.000 militari), per garantire la sicurezza della Lituania e del confine esterno dell’Unione europea, puntualizzando che non intende fornire ulteriori dettagli sulle precise circostanze che hanno portato alla decisione, limitandosi a precisare che l’intelligence e le istituzioni della Lituania stanno coordinando le proprie azioni e necessitano del più stretto riserbo per poter compiere al meglio il proprio lavoro.Intanto, sul fronte rifornimento armi, per quanto riguarda gli F-16 richiesti con forza dal governo di Kiev, alti funzionari del governo e dell’esercito ucraino hanno spiegato al Washington Post che il primo gruppo di addestramento di sei piloti sarà pronto non prima della prossima estate. E c’è delusione da parte degli stessi per i ritardi da parte dei partner occidentali nell’attuazione del programma di addestramento per il sofisticato jet Usa. Tra gli ostacoli principali c’è, soprattutto, la barriera linguistica: sebbene i piloti parlino già correntemente l’inglese, devono prima frequentare un corso di inglese per quattro mesi in Gran Bretagna per apprendere la terminologia associata ai jet. Questo comporterà il rinvio a gennaio dell’inizio dell’addestramento al combattimento, che dovrebbe durare sei mesi, hanno affermato le fonti.Berlino, invece, ha negato di voler fornire i sofisticati missili da crociera Taurus a Zelensky. E, sempre a proprosito di armamenti, un portavoce Ue ha annunciato che Bruxelles ha consegnato a Kiev 224.000 proiettili nell’ambito della prima parte del piano di rifornimenti.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/zelensky-purga-ancora-via-reclutatori-2663408547.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="guerra-in-niger-sempre-piu-vicina-mosca-si-destabilizza-il-sahel" data-post-id="2663408547" data-published-at="1691841684" data-use-pagination="False"> Guerra in Niger sempre più vicina. Mosca: «Si destabilizza il Sahel» La società cinese di costruzioni China Gezhouaba group company, in una lettera datata 7 agosto 2023 inviata alle autorità di Niamey, ha comunicato alla giunta golpista che se andrà dal Niger al massimo tra una settimana. «A seguito dei disordini politici verificatisi in Niger il 26 luglio 2023, la situazione della sicurezza sta diventando sempre più preoccupante. La Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Ecowas), l’Unione europea e la Banca mondiale hanno imposto sanzioni finanziarie contro il Paese, rendendo impossibile per la nostra ocietà regolare i propri conti. Per quanto riguarda la risoluzione del contratto, avremo bisogno della vostra assistenza e del vostro sostegno», scrive l’impresa cinese impegnata in molti progetti relativi alla nuova Via della seta. Una decisione che mostra come Pechino ritenga che in Niger la situazione sia ormai compromessa. La pensano così anche alcune fonti di intelligence francesi che ritengono che «la via di un possibile accordo tra le parti si è fatta molto stretta e i timori per la sorte del presidente Bazoum che potrebbe essere ucciso in qualsiasi momento, porterebbero l’Ecowas a dare il via libera all’intervento militare». E, a proposito di questo, in un’intervista esclusiva rilasciata alla Bbc Abdel Fatau Musah, commissario per gli Affari politici, la pace e la sicurezza di Ecowas, ha affermato: «La giunta militare al potere oggi a Niamey non intende avere contatti diretti con l’Ecowas, rendendo difficili i negoziati». Poi Musah ha anche riferito che i leader dell’Africa occidentale «sono stati in grado di raggiungere il deposto presidente eletto Mohamed Bazoum che vive in condizioni disumane e senza un’adeguata assistenza medica». Inoltre, l’alto funzionario ha dichiarato che «i militari hanno provato a costringere l’ex presidente a firmare la propria lettera di dimissioni, ma finora ha resistito». Di Bazoum ha parlato anche l’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Volker Türk: «Ho ricevuto informazioni attendibili secondo cui le condizioni di detenzione di Bazoum equivalgono a trattamenti degradanti e disumani, in violazione del diritto internazionale». Gli unici con i quali parlano i golpisti sono i governi amici del Mali e del Burkina Faso (a loro volta golpisti) e i vertici della compagnia militare privata russa Wagner, ai quali sarebbe stato chiesto di intervenire in loro difesa. Ieri, in un comunicato del ministero degli Esteri russo, Mosca ha avvertito che un intervento militare in Niger porterebbe alla «destabilizzazione» della regione del Sahara-Sahel e a uno scontro prolungato. Per la Russia, «un percorso militare per risolvere la crisi in Niger potrebbe portare a un confronto prolungato nel Paese, nonché a una forte destabilizzazione della situazione nella regione del Sahara-Sahel». Mosca, allo stesso tempo, sottolinea «di aver preso atto degli sforzi della Comunità economica dei Paesi dell’Africa occidentale (Ecowas) per ripristinare l’ordine costituzionale in Niger attraverso il dialogo con le nuove autorità del Paese», si legge nella nota, rilanciata da Ria Novosti. Questa mattina ad Accra (capitale del Ghana) tornano a riunirsi i capi di Stato maggiore dei Paesi membri di Ecowas dopo il summit dell’altro ieri nella capitale nigeriana Abuja, dove i leader dell’organizzazione hanno deciso la mobilitazione preventiva delle loro forze. Nessuno è in grado di prevedere quando potrebbe scattare l’operazione militare ma Fatau Musah, in una successiva dichiarazione, ha affermato che «l’Ecowas non consentirà alla giunta di governare per un periodo transitorio, come fatto precedentemente con i golpisti in Burkina Faso e Mali». Del Niger, ieri, ha parlato anche il responsabile della politica Estera dell’Ue Josep Borell che in una lettera ai leader europei scrive: «L’Unione europea dovrebbe sviluppare una politica coordinata e coerente nei confronti del Niger e degli altri Paesi della regione». Cose lette e scritte centinaia di volte rimaste però nel solito cassetto a Bruxelles.
Il presidente di Generalfinance e docente di Corporate Finance alla Bocconi Maurizio Dallocchio e il vicedirettore de la Verità Giuliano Zulin
Dopo l’intervista di Maurizio Belpietro al ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, Zulin ha chiamato sul palco Dallocchio per discutere di quante risorse servono per la transizione energetica e di come la finanza possa effettivamente sostenerla.
Il tema centrale, secondo Dallocchio, è la relazione tra rendimento e impegno ambientale. «Se un green bond ha un rendimento leggermente inferiore a un titolo normale, con un differenziale di circa 5 punti base, è insensato - ha osservato - chi vuole investire nell’ambiente deve essere disposto a un sacrificio più elevato, ma serve chiarezza su dove vengono investiti i soldi». Attualmente i green bond rappresentano circa il 25% delle emissioni, un livello ritenuto ragionevole, ma è necessario collegare in modo trasparente raccolta e utilizzo dei fondi, con progetti misurabili e verificabili.
Dallocchio ha sottolineato anche il ruolo dei regolamenti europei. «L’Europa regolamenta duramente, ma finisce per ridurre la possibilità di azione. La rigidità rischia di scoraggiare le imprese dal quotarsi in borsa, con conseguenze negative sugli investimenti green. Oggi il 70% dei cda delle banche è dedicato alla compliance e questo non va bene». Un altro nodo evidenziato riguarda la concentrazione dei mercati: gli emittenti privati si riducono, mentre grandi attori privati dominano la borsa, rendendo difficile per le imprese italiane ed europee accedere al capitale. Secondo Dallocchio, le aziende dovranno abituarsi a un mercato dove le banche offrono meno credito diretto e più strumenti di trading, seguendo il modello americano.
Infine, il confronto tra politica monetaria europea e americana ha messo in luce contraddizioni: «La Fed dice di non occuparsi di clima, la Bce lo inserisce nei suoi valori, ma non abbiamo visto un reale miglioramento della finanza green in Europa. La sensibilità verso gli investimenti sostenibili resta più personale che istituzionale». Il panel ha così evidenziato come la finanza sostenibile possa sostenere la transizione energetica solo se accompagnata da chiarezza, regole coerenti e attenzione al ritorno degli investimenti, evitando mode o vincoli eccessivi che rischiano di paralizzare il mercato.
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Intervistato da Maurizio Belpietro, direttore de La Verità, il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin non usa giri di parole: «Io non sono contro l’elettrico, sono convinto che il motore elettrico abbia un futuro enorme. Ma una cosa è credere in una tecnologia, un’altra è trasformarla in un’imposizione politica. Questo ha fatto l’Unione Europea con la scadenza del 2035». Secondo Pichetto Fratin, il vincolo fissato a Bruxelles non nasce da ragioni scientifiche: «È come se io oggi decidessi quale sarà la tecnologia del 2040. È un metodo sovietico, come le tavole di Leontief: la politica stabilisce dall’alto cosa succederà, ignorando il mercato e i progressi scientifici. Nessuno mi toglie dalla testa che Timmermans abbia imposto alle case automobilistiche europee – che all’epoca erano d’accordo – il vincolo del 2035. Ma oggi quelle stesse industrie si accorgono che non è più sostenibile».
Il motore elettrico: futuro sì, imposizioni no. Il ministro tiene a ribadire di non avere pregiudizi sulla tecnologia: «Il motore elettrico è il più semplice da costruire, ha sette-otto volte meno pezzi, si rompe raramente. Pensi al motore del frigorifero: quello di mia madre ha funzionato cinquant’anni senza mai guastarsi. È una tecnologia solida. Ma da questo a imporre a tutti gli europei di pagare la riconversione industriale delle case automobilistiche, ce ne corre». Colonnine e paradosso dell’uovo e della gallina. Belpietro chiede conto del tema infrastrutturale: perché le gare per le colonnine sono andate deserte? Pichetto Fratin replica: «Perché non c’è il mercato. Non ci sono abbastanza auto elettriche in circolazione, quindi nessuno vuole investire. È il classico paradosso: prima l’uovo o la gallina?». Il ministro racconta di aver tentato in tutti i modi: «Ho fatto bandi, ho ripetuto le gare, ho perfino chiesto a Rfi di partecipare. Alla fine ho dovuto riconvertire i 597 milioni di fondi europei destinati alle colonnine, dopo una lunga contrattazione con Bruxelles. Ma anche qui si vede l’assurdità: l’Unione Europea ci impone obiettivi, senza considerare che il mercato non risponde».
Prezzi eccessivi e mercato bloccato. Un altro nodo è il costo delle auto elettriche: «In Germania servono due o tre annualità di stipendio di un operaio per comprarne una. In Italia ce ne vogliono cinque. Non è un caso che fino a poco tempo fa fossero auto da direttori di giornale o grandi manager. Questo non è un mercato libero, è un’imposizione politica». L’errore: imporre il motore, non le emissioni. Per Pichetto Fratin, l’errore dell’Ue è stato vincolare la tecnologia, non il risultato: «Se l’obiettivo era emissione zero nel 2035, bastava dirlo. Ci sono già veicoli diesel a emissioni zero, ci sono biocarburanti, c’è il biometano. Ma Bruxelles ha deciso che l’unica via è l’elettrico. È qui l’errore: hanno trasformato una direttiva ambientale in un regalo alle case automobilistiche, scaricando il costo sugli europei».
Bruxelles e la vicepresidente Ribera. Belpietro ricorda le dichiarazioni della vicepresidente Teresa Ribera. Il ministro risponde: «La Ribera è una che ascolta, devo riconoscerlo. Ma resta molto ideologica. E la Commissione Europea è un rassemblement, non un vero governo: dentro c’è di tutto. In Spagna, per esempio, la Ribera è stata protagonista delle scelte che hanno portato al blackout, puntando solo sulle rinnovabili senza un mix energetico». La critica alla Germania. Il ministro non risparmia critiche alla Germania: «Prima chiudono le centrali nucleari, poi riaprono quelle a carbone, la fonte più inquinante. È pura ipocrisia. Noi in Italia abbiamo smesso col carbone, ma a Berlino per compiacere i Verdi hanno abbandonato il nucleare e sono tornati indietro di decenni».
Obiettivi 2040: «Irrealistici per l’Italia». Si arriva quindi alla trattativa sul nuovo target europeo: riduzione del 90% delle emissioni entro il 2040. Pichetto Fratin è netto: «È un obiettivo irraggiungibile per l’Italia. I Paesi del Nord hanno territori sterminati e pochi abitanti. Noi abbiamo centomila borghi, due catene montuose, il mare, la Pianura Padana che soffre già l’inquinamento. Imporre le stesse regole a tutti è sbagliato. L’Italia rischia di non farcela e di pagare un prezzo altissimo». Il ruolo del gas e le prospettive future. Il ministro difende il gas come energia di transizione: «È il combustibile fossile meno dannoso, e ci accompagnerà per decenni. Prima di poterlo sostituire servirà il nucleare di quarta generazione, o magari la fusione. Nel frattempo il gas resta la garanzia di stabilità energetica». Conclusione: pragmatismo contro ideologia. Nelle battute finali dell’intervista con Belpietro, Pichetto Fratin riassume la sua posizione: «Ridurre le emissioni è un obiettivo giusto. Ma un conto è farlo con scienza e tecnologia, un altro è imporre scadenze irrealistiche che distruggono l’economia reale. Qui non si tratta di ambiente: si tratta di ideologia. E i costi ricadono sempre sugli europei.»
Il ministro aggiunge: «Oggi produciamo in Italia circa 260 TWh. Il resto lo importiamo, soprattutto dalla Francia, poi da Montenegro e altri paesi. Se vogliamo davvero dare una risposta a questo fabbisogno crescente, non c’è alternativa: bisogna guardare al nucleare. Non quello di ieri, ma un nuovo nucleare. Io sono convinto che la strada siano i piccoli reattori modulari, anche se aspettiamo i fatti concreti. È lì che dobbiamo guardare». Pichetto Fratin chiarisce: «Il nucleare non è un’alternativa alle altre fonti: non sostituisce l’eolico, non sostituisce il fotovoltaico, né il geotermico. Ma è un tassello indispensabile in un mix equilibrato. Senza, non potremo mai reggere i consumi futuri». Gas liquido e rapporti con gli Stati Uniti. Il discorso scivola poi sul gas: «Abbiamo firmato un accordo standard con gli Stati Uniti per l’importazione di Gnl, ma oggi non abbiamo ancora i rigassificatori sufficienti per rispettarlo. Oggi la nostra capacità di importazione è di circa 28 miliardi di metri cubi l’anno, mentre l’impegno arriverebbe a 60. Negli Usa i liquefattori sono in costruzione: servirà almeno un anno o due. E, comunque, non è lo Stato a comprare: sono gli operatori, come Eni, che decidono in base al prezzo. Non è un obbligo politico, è mercato». Bollette e prezzi dell’energia. Sul tema bollette, il ministro precisa: «L’obiettivo è farle scendere, ma non esistono bacchette magiche. Non è che con un mio decreto domani la bolletta cala: questo accadeva solo in altri regimi. Noi stiamo lavorando per correggere il meccanismo che determina il prezzo dell’energia, perché ci sono anomalie evidenti. A breve uscirà un decreto con alcuni interventi puntuali. Ma la verità è che per avere bollette davvero più basse bisogna avere energia a un costo molto più basso. E i francesi, grazie al nucleare, ce l’hanno a prezzi molto inferiori ai nostri».
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