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2025-05-04
La minaccia sibillina di Zelensky. «Sicurezza non garantita a Mosca»
Volodymyr Zelensky (Ansa)
La pace tra Russia e Ucraina appare ancora lontana, anche perché gli attacchi da entrambi i fronti non cessano. La giornata di ieri si è aperta con la notizia di un attacco ucraino con droni su Rostov respinto dai sistemi di difesa aerea russi; il governatore ad interim della regione, Yuri Slyusa, ha affermato che non ci sono state vittime. Ha provocato invece quattro feriti (due adulti e due bambini) il massiccio attacco sferrato dalle forze ucraine a Novorossiysk, principale porto russo sul Mar Nero. Veniamin Kondratyev, il governatore del Krasnodar, ha reso noto che tre condomini sono stati danneggiati. Secondo l’agenzia Tass, pezzi di droni o di missili hanno provocato danni alla città, vicino al ponte di Kerch, che collega il territorio metropolitano russo con la Crimea: sono stati danneggiati tre serbatoi in un terminal di grano e frammenti di ordigni sono caduti anche nel villaggio di Taman nel distretto di Temryuk e fuori Anapa, nei villaggi di Tsianobalka e Yurovka. Il sindaco di Novorossiysk, Andrei Kravchenko, ha riferito che nell’azione sono stati usati droni ad ala fissa, barche drone e missili teleguidati. «Non è stato possibile evitare danni e feriti», ha spiegato, «ma l’attacco è stato respinto». Il ministero della difesa russo, citato dalla Tass, ha affermato che in totale, nella sola notte tra venerdì e sabato, sono stati distrutti 170 droni ucraini su varie regioni russe, oltre a 11 missili (8 Shadow Storm e tre missili da crociera antinave Neptune-Md di fabbricazione ucraina) e 14 droni marittimi sul Mar Nero. È arrivata invece dalla Direzione centrale dell’intelligence (Gur) del ministero della Difesa ucraino la notizia che un drone navale ucraino Magura V5, equipaggiato di missili, ha abbattuto un caccia russo SU-30 sul Mar Nero. «Si tratta della prima volta che un drone navale colpisce e distrugge un velivolo da combattimento», hanno fatto sapere dal Gur. L’attacco è stato effettuato da soldati dell’unità speciale della Gur, Gruppo 13, come ha riferito l’agenzia Rbc-Ucraina dopo che i canali Telegram russi avevano segnalato per primi la distruzione del jet, riferendo che il caccia russo era stato abbattuto nella notte tra venerdì e sabato a 50 km a ovest di Novorossiysk. I russi a loro volta hanno attaccato durante la notte la città di Kharkiv, nel Nordest dell’Ucraina, ferendo almeno 51 persone. Mosca ha fatto uso di bombe termobariche, che creano un’onda d’urto ad altissima temperatura, come denunciato ieri mattina dall’ufficio del procuratore regionale di Kharkiv, citato da media ucraini. Sono state almeno sette le esplosioni in varie parti della città, dove sono scoppiati numerosi incendi: i russi, secondo i media ucraini, avrebbero usato almeno 15 droni.
Anche sul fronte diplomatico le notizie non sono buone. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha affermato di non voler «scherzare» sul cessate il fuoco di 72 ore proposto dal suo omologo russo Vladimir Putin dall’8 al 10 maggio, a cavallo del giorno in cui in Russia si celebrerà la «giornata della Vittoria» per commemorare la resa della Germania nazista che ha posto fine alla seconda Guerra Mondiale. A dispetto dell’Alta rappresentante per la politica estera Ue Kaja Kallas che ha invitato a «boicottarla», Mosca si prepara a celebrare la festa del 9 maggio - momento di orgoglio nazionale per i russi soprattutto quest’anno che ricorre l’ottantesimo anniversario - con parate imponenti, fuochi d’artificio e manifestazioni in tutto il Paese. Alle celebrazioni sono attesi diversi leader stranieri tra cui il presidente cinese Xi Jinping, mentre non risulta una visita del Segretario di Stato americano Marco Rubio a Mosca per i festeggiamenti: «Non ho queste informazioni», ha commentato il portavoce del Cremlino, Dmitriy Peskov. E a proposito delle celebrazioni, Zelensky ha avvisato: «Non possiamo assumerci la responsabilità di ciò che accadrà in Russia; saranno loro (i russi, ndr) a garantire la vostra sicurezza», ha detto, lasciando intendere che visitare la Russia in questo momento potrebbe non essere sicuro né politicamente opportuno. Per il presidente ucraino, la tregua proposta da Putin è troppo breve per tenere colloqui seri: «È impossibile concordare qualsiasi cosa in tre, cinque o sette giorni. È impossibile elaborare un piano per stabilire i prossimi passi per porre fine alla guerra. Non mi sembra una cosa seria», ha detto il presidente ucraino venerdì sera in conferenza stampa, chiedendo una tregua incondizionata di 30 giorni. Il leader ucraino ha invece dichiarato di credere in un cambiamento di Donald Trump sulla guerra: «Sono fiducioso che dopo il nostro incontro in Vaticano, il presidente Trump abbia iniziato a vedere le cose in modo un po' diverso».
«Il presidente ucraino Zelensky ha detto che respinge la proposta di tregua del presidente russo Putin e non può garantire la sicurezza dei leader mondiali a Mosca», ha replicato il vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo Dmitry Medvedev, qualificando le dichiarazioni di Zelensky «una provocazione verbale». Secondo Medvedev, Zelensky «capisce che nel caso di una vera provocazione nel giorno della Vittoria, nessuno potrà garantire che Kiev arrivi al 10 maggio». Stoccata dell’ex presidente anche a Washington: Medvedev ha criticato le parole del presidente Usa Donald Trump riguardo l’ultimo conflitto mondiale. «Che gli Stati Uniti abbiano fatto più di ogni altro Paese per porre fine alla seconda guerra mondiale è una stupidaggine senza senso», ha scritto il capo del Consiglio di sicurezza russo.
Nel mirino anche i suoi deputati
Volodymyr Zelensky avverte i deputati contrari all’accordo sui minerali con Washington: chi si oppone potrebbe vedersi revocato il visto per entrare negli Stati Uniti. Non è la prima volta che il presidente dell’Ucraina pone la sicurezza al centro della propria agenda sollevando, d’altra parte, dubbi sulla tenuta democratica del Paese. Secondo Zelensky, alcuni membri della Verkhovna Rada, il parlamento monocamerale ucraino, «non possono fare il doppio gioco», votando contro la ratifica dell’accordo. Si tratta di politici, ha denunciato ad alcuni giornalisti lo scorso venerdì sera, che «vanno negli Stati Uniti ogni mese, raccontano quanto sia grave la situazione in Ucraina e di come dobbiamo porre fine alla guerra rapidamente». Parte così il ricatto: «Per chi non vota per decisioni importanti per il Paese, vale la pena introdurre restrizioni sui visti di ingresso negli Stati Uniti».
Lo sfruttamento congiunto delle risorse naturali con gli Stati Uniti è dunque ritenuto una decisione importante per il Paese, più precisamente una condizione necessaria per la sicurezza e il rilancio dell’economia. E il dissenso non può essere tollerato. Anche perché Zelensky è il primo a non aspettarsi nessuna difficoltà nel processo di ratifica dell’accordo con gli Usa. Da un punto di vista formale, ha anzi rivendicato il rispetto della prassi internazionale spiegando come il governo sia già pronto ad attuare l’accordo. È proprio sul corretto svolgimento delle procedure diplomatiche e democratiche che si concentrano i dubbi, soprattutto alla luce di precedenti controversi.
Ad esempio, nel marzo del 2022, dopo circa un mese dall’avvio del conflitto contro la Russia, ha fatto discutere la decisione di sospendere le attività di undici partiti, con legami diretti e indiretti con Mosca. Tra questi figurava anche la Piattaforma di Opposizione - Per la Vita (Opzzh), il principale partito di opposizione che alle elezioni del 2019 ha ottenuto il 13% dei consensi e 43 seggi parlamentari su 450. Così Opzzh ha pagato le sue posizioni filorusse e antieuropeiste, pur avendo preso le distanze da Mosca, e invitato i suoi membri a difendere il proprio Paese. Un anno dopo, nel marzo del 2023, Zelensky ha poi firmato un decreto per unire tutti i canali televisivi nazionali in un’unica piattaforma, ufficialmente contro la disinformazione, ma a discapito del pluralismo.
Nel novembre dello stesso anno è stata la volta dell’arresto del deputato Oleksandr Dubinsky, ex membro di Servitore del popolo, il partito fondato dallo stesso Zelensky. Dubinsky è stato espulso dopo aver diffuso informazioni diffamanti su Joe Biden e suo figlio Hunter durante le elezioni presidenziali statunitensi del 2020. Poi è stato accusato di alto tradimento, disinformazione e trasferimento illegale di persone oltre il confine con la Russia, presumibilmente in collaborazione l’intelligence di Mosca. Tutto questo è avvenuto giustificandosi con la legge marziale e sventolando gli ideali di unità e sicurezza nazionale. L’apice, in tal senso, si è toccato di recente, quando diversi politici europei hanno protestato dopo che Donald Trump ha definito Zelensky un «dittatore», accusandolo di non voler indire nuove elezioni. Ma anche per Dmytro Razumkov, ex consigliere di Zelensky, in Ucraina sussiste un «deficit democratico», spiegando nei mesi scorsi che «alcune regole e libertà possono essere limitate dalla legge marziale che, a sua volta, può anche essere usata come meccanismo per consolidare il potere».
In definitiva, sorprende vedere Kiev proclamare di lottare per i valori dell’Occidente, sospendendo la democrazia.
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Il leader di Kiev getta un’ombra sulla parata del 9 maggio nella capitale russa. E respinge la proposta di tregua del Cremlino: «Non è una cosa seria». Drone marittimo ucraino abbatte un caccia di Vladimir Putin.Il presidente gialloblù ha avvertito i parlamentari, guai a chi bloccherà la ratifica dell’accordo sulle terre rare. «Gli Stati Uniti li puniscano negando loro il visto».Lo speciale contiene due articoliLa pace tra Russia e Ucraina appare ancora lontana, anche perché gli attacchi da entrambi i fronti non cessano. La giornata di ieri si è aperta con la notizia di un attacco ucraino con droni su Rostov respinto dai sistemi di difesa aerea russi; il governatore ad interim della regione, Yuri Slyusa, ha affermato che non ci sono state vittime. Ha provocato invece quattro feriti (due adulti e due bambini) il massiccio attacco sferrato dalle forze ucraine a Novorossiysk, principale porto russo sul Mar Nero. Veniamin Kondratyev, il governatore del Krasnodar, ha reso noto che tre condomini sono stati danneggiati. Secondo l’agenzia Tass, pezzi di droni o di missili hanno provocato danni alla città, vicino al ponte di Kerch, che collega il territorio metropolitano russo con la Crimea: sono stati danneggiati tre serbatoi in un terminal di grano e frammenti di ordigni sono caduti anche nel villaggio di Taman nel distretto di Temryuk e fuori Anapa, nei villaggi di Tsianobalka e Yurovka. Il sindaco di Novorossiysk, Andrei Kravchenko, ha riferito che nell’azione sono stati usati droni ad ala fissa, barche drone e missili teleguidati. «Non è stato possibile evitare danni e feriti», ha spiegato, «ma l’attacco è stato respinto». Il ministero della difesa russo, citato dalla Tass, ha affermato che in totale, nella sola notte tra venerdì e sabato, sono stati distrutti 170 droni ucraini su varie regioni russe, oltre a 11 missili (8 Shadow Storm e tre missili da crociera antinave Neptune-Md di fabbricazione ucraina) e 14 droni marittimi sul Mar Nero. È arrivata invece dalla Direzione centrale dell’intelligence (Gur) del ministero della Difesa ucraino la notizia che un drone navale ucraino Magura V5, equipaggiato di missili, ha abbattuto un caccia russo SU-30 sul Mar Nero. «Si tratta della prima volta che un drone navale colpisce e distrugge un velivolo da combattimento», hanno fatto sapere dal Gur. L’attacco è stato effettuato da soldati dell’unità speciale della Gur, Gruppo 13, come ha riferito l’agenzia Rbc-Ucraina dopo che i canali Telegram russi avevano segnalato per primi la distruzione del jet, riferendo che il caccia russo era stato abbattuto nella notte tra venerdì e sabato a 50 km a ovest di Novorossiysk. I russi a loro volta hanno attaccato durante la notte la città di Kharkiv, nel Nordest dell’Ucraina, ferendo almeno 51 persone. Mosca ha fatto uso di bombe termobariche, che creano un’onda d’urto ad altissima temperatura, come denunciato ieri mattina dall’ufficio del procuratore regionale di Kharkiv, citato da media ucraini. Sono state almeno sette le esplosioni in varie parti della città, dove sono scoppiati numerosi incendi: i russi, secondo i media ucraini, avrebbero usato almeno 15 droni.Anche sul fronte diplomatico le notizie non sono buone. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha affermato di non voler «scherzare» sul cessate il fuoco di 72 ore proposto dal suo omologo russo Vladimir Putin dall’8 al 10 maggio, a cavallo del giorno in cui in Russia si celebrerà la «giornata della Vittoria» per commemorare la resa della Germania nazista che ha posto fine alla seconda Guerra Mondiale. A dispetto dell’Alta rappresentante per la politica estera Ue Kaja Kallas che ha invitato a «boicottarla», Mosca si prepara a celebrare la festa del 9 maggio - momento di orgoglio nazionale per i russi soprattutto quest’anno che ricorre l’ottantesimo anniversario - con parate imponenti, fuochi d’artificio e manifestazioni in tutto il Paese. Alle celebrazioni sono attesi diversi leader stranieri tra cui il presidente cinese Xi Jinping, mentre non risulta una visita del Segretario di Stato americano Marco Rubio a Mosca per i festeggiamenti: «Non ho queste informazioni», ha commentato il portavoce del Cremlino, Dmitriy Peskov. E a proposito delle celebrazioni, Zelensky ha avvisato: «Non possiamo assumerci la responsabilità di ciò che accadrà in Russia; saranno loro (i russi, ndr) a garantire la vostra sicurezza», ha detto, lasciando intendere che visitare la Russia in questo momento potrebbe non essere sicuro né politicamente opportuno. Per il presidente ucraino, la tregua proposta da Putin è troppo breve per tenere colloqui seri: «È impossibile concordare qualsiasi cosa in tre, cinque o sette giorni. È impossibile elaborare un piano per stabilire i prossimi passi per porre fine alla guerra. Non mi sembra una cosa seria», ha detto il presidente ucraino venerdì sera in conferenza stampa, chiedendo una tregua incondizionata di 30 giorni. Il leader ucraino ha invece dichiarato di credere in un cambiamento di Donald Trump sulla guerra: «Sono fiducioso che dopo il nostro incontro in Vaticano, il presidente Trump abbia iniziato a vedere le cose in modo un po' diverso».«Il presidente ucraino Zelensky ha detto che respinge la proposta di tregua del presidente russo Putin e non può garantire la sicurezza dei leader mondiali a Mosca», ha replicato il vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo Dmitry Medvedev, qualificando le dichiarazioni di Zelensky «una provocazione verbale». Secondo Medvedev, Zelensky «capisce che nel caso di una vera provocazione nel giorno della Vittoria, nessuno potrà garantire che Kiev arrivi al 10 maggio». Stoccata dell’ex presidente anche a Washington: Medvedev ha criticato le parole del presidente Usa Donald Trump riguardo l’ultimo conflitto mondiale. «Che gli Stati Uniti abbiano fatto più di ogni altro Paese per porre fine alla seconda guerra mondiale è una stupidaggine senza senso», ha scritto il capo del Consiglio di sicurezza russo. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/zelensky-parata-9-maggio-mosca-2671889325.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="nel-mirino-anche-i-suoi-deputati" data-post-id="2671889325" data-published-at="1746346357" data-use-pagination="False"> Nel mirino anche i suoi deputati Volodymyr Zelensky avverte i deputati contrari all’accordo sui minerali con Washington: chi si oppone potrebbe vedersi revocato il visto per entrare negli Stati Uniti. Non è la prima volta che il presidente dell’Ucraina pone la sicurezza al centro della propria agenda sollevando, d’altra parte, dubbi sulla tenuta democratica del Paese. Secondo Zelensky, alcuni membri della Verkhovna Rada, il parlamento monocamerale ucraino, «non possono fare il doppio gioco», votando contro la ratifica dell’accordo. Si tratta di politici, ha denunciato ad alcuni giornalisti lo scorso venerdì sera, che «vanno negli Stati Uniti ogni mese, raccontano quanto sia grave la situazione in Ucraina e di come dobbiamo porre fine alla guerra rapidamente». Parte così il ricatto: «Per chi non vota per decisioni importanti per il Paese, vale la pena introdurre restrizioni sui visti di ingresso negli Stati Uniti». Lo sfruttamento congiunto delle risorse naturali con gli Stati Uniti è dunque ritenuto una decisione importante per il Paese, più precisamente una condizione necessaria per la sicurezza e il rilancio dell’economia. E il dissenso non può essere tollerato. Anche perché Zelensky è il primo a non aspettarsi nessuna difficoltà nel processo di ratifica dell’accordo con gli Usa. Da un punto di vista formale, ha anzi rivendicato il rispetto della prassi internazionale spiegando come il governo sia già pronto ad attuare l’accordo. È proprio sul corretto svolgimento delle procedure diplomatiche e democratiche che si concentrano i dubbi, soprattutto alla luce di precedenti controversi. Ad esempio, nel marzo del 2022, dopo circa un mese dall’avvio del conflitto contro la Russia, ha fatto discutere la decisione di sospendere le attività di undici partiti, con legami diretti e indiretti con Mosca. Tra questi figurava anche la Piattaforma di Opposizione - Per la Vita (Opzzh), il principale partito di opposizione che alle elezioni del 2019 ha ottenuto il 13% dei consensi e 43 seggi parlamentari su 450. Così Opzzh ha pagato le sue posizioni filorusse e antieuropeiste, pur avendo preso le distanze da Mosca, e invitato i suoi membri a difendere il proprio Paese. Un anno dopo, nel marzo del 2023, Zelensky ha poi firmato un decreto per unire tutti i canali televisivi nazionali in un’unica piattaforma, ufficialmente contro la disinformazione, ma a discapito del pluralismo. Nel novembre dello stesso anno è stata la volta dell’arresto del deputato Oleksandr Dubinsky, ex membro di Servitore del popolo, il partito fondato dallo stesso Zelensky. Dubinsky è stato espulso dopo aver diffuso informazioni diffamanti su Joe Biden e suo figlio Hunter durante le elezioni presidenziali statunitensi del 2020. Poi è stato accusato di alto tradimento, disinformazione e trasferimento illegale di persone oltre il confine con la Russia, presumibilmente in collaborazione l’intelligence di Mosca. Tutto questo è avvenuto giustificandosi con la legge marziale e sventolando gli ideali di unità e sicurezza nazionale. L’apice, in tal senso, si è toccato di recente, quando diversi politici europei hanno protestato dopo che Donald Trump ha definito Zelensky un «dittatore», accusandolo di non voler indire nuove elezioni. Ma anche per Dmytro Razumkov, ex consigliere di Zelensky, in Ucraina sussiste un «deficit democratico», spiegando nei mesi scorsi che «alcune regole e libertà possono essere limitate dalla legge marziale che, a sua volta, può anche essere usata come meccanismo per consolidare il potere». In definitiva, sorprende vedere Kiev proclamare di lottare per i valori dell’Occidente, sospendendo la democrazia.
Trump blocca il petrolio del Venezuela. Domanda elettrica, una questione di sicurezza nazionale. Le strategie della Cina per l’Artico. Auto 2035, l’Ue annacqua ma ormai il danno è fatto.
Dinanzi a tale insipienza strategica, i popoli non rimangono impassibili. Già alla vigilia del vertice dei 27, Politico aveva pubblicato i risultati di un sondaggio, secondo il quale sia in Francia sia in Germania sono aumentati quelli che vorrebbero «ridurre significativamente» il sostegno monetario all’Ucraina. I tedeschi che chiedono tagli drastici sono il 32%, percentuale cui va sommato il 14% di quanti si accontenterebbero di una qualsiasi stretta. Totale: 46%. I transalpini stufi di sborsare, invece, sono il 37% del totale. Per la Bild, l’opinione pubblica di Berlino è ancora più netta sull’opportunità di continuare a inviare armi al fronte: il 58% risponde di no. Infine, una rilevazione di Rtl e Ntv ha appurato che il 75% dei cittadini boccia l’operato del cancelliere Friedrich Merz, principale fautore della poi scongiurata «rapina» dei fondi di Mosca. Non è un caso che, stando almeno alle ricostruzioni del Consiglio Ue proposte da Repubblica, Emmanuel Macron e Giorgia Meloni abbiano motivato le proprie riserve sul piano con la difficoltà di far digerire ai Parlamenti nazionali, quindi agli elettori, una mozza così azzardata. Lo scollamento permanente dalla realtà che caratterizza l’operato della Commissione, a quanto pare, risponde alla filosofia esposta da Sergio Mattarella a proposito del riarmo a tappe forzate: è impopolare, ma è necessario.
La disputa sulle sovvenzioni a Zelensky - e speriamo siano a Zelensky, ovvero al bilancio del Paese aggredito, anziché ai cessi d’oro dei suoi oligarchi corrotti - ha comunque generato pure un’altra forma di divaricazione: quella tra i fatti e le rappresentazioni mediatiche.
I fatti sono questi: Ursula von der Leyen, spalleggiata da Merz, ha subìto l’ennesimo smacco; l’Unione ha ripiegato all’unanimità sugli eurobond, sebbene Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca siano state esentate dagli obblighi contributivi, perché abbandonare i lavori senza alcun accordo, oppure con un accordo a maggioranza qualificata, sarebbe stato drammatico; alla fine, l’Europa si è condannata all’ennesimo salasso. E la rappresentazione?
La Stampa ieri è partita per Plutone: titolava sulla «svolta» del debito comune, descritta addirittura come un «compromesso storico». Il corrispondente da Bruxelles, Marco Bresolin, in verità ha usato toni più sobri, sottolineando la «grande delusione» di chi avrebbe voluto «punire la Russia» e riconoscendo il successo del premier belga, Bart De Wever, ostile all’impiego degli asset; mentre l’inviato, Francesco Malfetano, dava atto alla Meloni di aver pianificato «la sua mossa più efficace». Sul Corriere, il fiasco di Merz si è trasformato in una «vittoria a metà». Repubblica ha borbottato per la «trappola» tesa dal cancelliere e a Ursula. Ma Andrea Bonanni, in un editoriale, ha lodato l’esito «non scontato» del Consiglio. L’Europa, ha scritto, «era chiamata a sostituirsi a Washington per consentire a Kiev di continuare la resistenza contro l’attacco russo. Lo ha fatto. Doveva trovare i soldi. Li ha trovati ricorrendo ancora una volta a un prestito comune, come fece al tempo dell’emergenza Covid». Un trionfo. Le memorie del regimetto pandemico avranno giocato un ruolo, nel convincere le firme di largo Fochetti che, «stavolta», l’Ue abbia «battuto un colpo».
Un colpo dev’essere venuto ai leader continentali. Costoro, compiuto il giro di boa, forse si convinceranno a smetterla di sabotare le trattative. Prova ne sia la sveglia di Macron, che ha avvisato gli omologhi: se fallisce la mediazione Usa, tocca agli europei aprire un canale con Vladimir Putin. Tutto sommato, avere gli asset in ostaggio può servire a scongiurare l’incubo dell’Ue: sparire di scena.
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Volodymyr Zelensky (Ansa)
La soluzione del prestito dunque salva capra e cavoli, ovvero gli interessi di chi ritiene giusto dover alimentare con aiuti e armi la resistenza di Kiev e anche quelli di quanti temevano la reazione russa all’uso dei fondi. Una mediazione soddisfacente per tutti, dunque? Non esattamente, visto che la soluzione escogitata non è affatto gratis. Già: mentre i vertici della Ue si fanno i complimenti per aver raggiunto un’intesa, a non congratularsi dovrebbero essere i cittadini europei, perché l’accordo raggiunto non è gratis, ma graverà ancora una volta sulle tasche dei contribuenti. Lasciate perdere per un momento come e quando l’Ucraina sarà in grado di restituire il prestito che le verrà concesso. Se Kiev fosse un comune cittadino nessuna banca la finanzierebbe, perché agli occhi di qualsiasi istituto di credito non offrirebbe alcuna garanzia di restituzione del mutuo concesso. Per molti anni gli ucraini non saranno in grado di restituire ciò che ricevono. Dunque, i soldi che la Ue si prepara a erogare rischiano di essere a fondo perduto, cioè di non ritornare mai nelle tasche dei legittimi proprietari, cioè noi, perché il prestito non è garantito da Volodymyr Zelensky, in quanto il presidente ucraino non ha nulla da offrire in garanzia, ma dall’Europa, vale a dire da chi nel Vecchio continente paga le tasse.
Lasciate perdere che, con la corruzione che regna nel Paese, parte dei soldi che diamo a Kiev rischia di sparire nelle tasche di una serie di politici e burocrati avidi prima ancora di arrivare a destinazione. E cancelliamo pure dalla memoria le immagini dei cessi d’oro fatti installare dai collaboratori mano lesta del presidente ucraino: rubinetti, bidet, vasca e tutto il resto lo abbiamo pagato noi, con i nostri soldi. Il grande reset della realtà, per come si è fin qui palesata, tuttavia non può cancellare quello che ci aspetta.
Il prestito della Ue, come ogni finanziamento, non è gratis: quando voi fate il mutuo per la casa, oltre a rimborsare mese dopo mese parte del capitale, pagate gli interessi. Ma in questo caso il tasso non sarà a carico di chi riceve i soldi, come sempre capita, ma - udite, udite - di chi li garantisce, ovvero noi. Politico, sito indipendente, ha calcolato che ogni anno la Ue sarà costretta a sborsare circa 3 miliardi di interessi, non proprio noccioline. Chi pagherà? È ovvio: non sarà lo Spirito Santo, ma ancora noi. Dividendo la cifra per il numero di abitanti all’interno della Ue si capisce che ogni cittadino dovrà mettere mano al portafogli per 220 euro, neonati e minorenni inclusi. Se poi l’aliquota la si vuol applicare sopra una certa soglia di età, si arriva a 300.
Ecco, la pace sia con voi la pagheremo cara e probabilmente pagheremo cari anche i 90 miliardi concessi all’Ucraina, perché quasi certamente Kiev non li restituirà mai e toccherà a noi, intesi come Ue, farcene carico. Piccola noticina: com’è che, quando servivano soldi per rilanciare l’economia e i salari, Bruxelles era contraria e adesso, se c’è da far debito per sostenere l’Ucraina, invece è favorevole? Il mistero delle scelte Ue continua. Ma soprattutto, si capisce che alla base di ogni decisione, a differenza di ciò che ci hanno raccontato per anni, non ci sono motivazioni economiche, ma solo politiche.
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Kirill Budanov (Ansa)
Sicuramente nei potenziali colloqui è prevista la partecipazione americana, ma potrebbero aggiungersi anche gli europei, visto che si trovano sul suolo americano. Il presidente ucraino, nell’annunciare questa opportunità, ha dichiarato che Washington «ha proposto il seguente formato: Ucraina, America, Russia e, dato che ci sono rappresentanti dell’Europa, probabilmente anche l’Europa». E in tal caso a prendere parte sarebbero i consiglieri per la sicurezza nazionale. Pare però che la decisione finale spetti a Zelensky: sarà l’Ucraina a stabilire la configurazione della riunione in base all’esito dell’incontro di venerdì tra i negoziatori americani, la delegazione ucraina e quella europea. E per questo il presidente ucraino, che si mostra già scettico, ha comunicato che ne parlerà con Rustem Umerov. D’altronde, Zelensky ha spiegato che deve ancora essere aggiornato sui risultati raggiunti a Miami: «Il nostro team si metterà in contatto con me: mi comunicheranno l’esito del primo blocco di dialogo e poi capiremo cosa fare». Poco dopo ha riferito che la proposta americana potrebbe essere accettata qualora faciliti lo scambio di prigionieri e sia il preludio di un incontro «tra i leader». Ha poi avvertito che Washington deve chiarire «se c’è una via diplomatica», altrimenti, in caso contrario «ci sarà una pressione totale» su Mosca.
Ma prima dell’eventuale trilaterale o quadrilaterale, ieri l’inviato americano, Steve Witkoff, il genero di Donald Trump, Jared Kushner, e il segretario di Stato americano, Marco Rubio, la cui presenza però, quando siamo andati in stampa, non era ancora confermata, si sono incontrati a Miami con la delegazione russa guidata da Kirill Dmitriev. L’inviato del presidente russo, Vladimir Putin, prima dei colloqui, ha condiviso su X un video girato durante la precedente missione in Florida, scrivendo: «In viaggio per Miami. Mentre i guerrafondai continuano a fare gli straordinari per indebolire il piano di pace degli Stati Uniti per l’Ucraina, mi sono ricordato di questo video della mia precedente visita. La luce che irrompe attraverso le nuvole temporalesche». Più tardi, mentre era in viaggio verso la Florida, ha aggiunto che la Russia è «pronta a collaborare con gli Stati Uniti nell’Artico».
Ma oltre agli interessi già noti in quell’area, Mosca avrebbe altri obiettivi. In una versione che stride con la visione della Casa Bianca, sei fonti vicine all’intelligence americana hanno infatti rivelato a Reuters che la Russia mira a conquistare tutta l’Ucraina e i Paesi dell’ex Unione sovietica. Il membro democratico della Commissione intelligence della Camera, Mike Quigley, interpellato dall’agenzia britannica, ha dichiarato: «Le informazioni di intelligence hanno sempre indicato che Putin vuole di più. Gli europei ne sono convinti. I polacchi ne sono assolutamente convinti. I baltici pensano di essere i primi». Che tra i target russi ci siano gli Stati baltici ne è certo anche il capo del servizio segreto militare ucraino, Kirill Budanov. In un’intervista rilasciata a LB.ua. ha annunciato che «il piano originale» di Mosca prevedeva «di iniziare le operazioni» di conquista «nel 2030», ma «ora i piani sono stati modificati e rivisti per anticipare la tempistica al 2027».
Guardando invece al presente, l’apertura dello zar russo a un cessate il fuoco in Ucraina qualora si tenessero le elezioni non è stata apprezzata dal leader di Kiev. Zelensky ha detto che «non spetta a Putin decidere quando e in quale forma si terranno le elezioni in Ucraina». Tuttavia, ha già comunicato che il ministero degli Esteri è al lavoro per organizzare il voto all’estero. Immediata è stata la risposta del Cremlino, con il suo portavoce Dmitry Peskov che ha bollato Zelensky come «confuso» e «contradditorio» dato che ha già chiesto il sostegno americano proprio per garantire che le eventuali elezioni si svolgano in sicurezza.
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