
Rimasto orfano, fu adottato dai militi polacchi che riuscirono a portarlo sul fronte. In Egitto li salvò da un assalto di beduini.Wojciech Narebski è un arzillo pensionato di 94 anni di Cracovia, ex ufficiale combattente nell'esercito del generale Anders durante la Campagna d'Italia, poi docente universitario e scienziato di fama mondiale. Narebski Point, nella Penisola di Barton, in Antartide, è a lui dedicata per i suoi studi di geologia. Gli amici lo chiamano con il diminutivo di Wojtek, e immediatamente i suoi occhi azzurri si illuminano: «Ma io sono Wojtek piccolo. Wojtek grande era il nostro orso mascotte». Narebski, che parla ancora correttamente cinque lingue, tra cui l'italiano, scherza come sempre sulla sua bassa statura (1,60 con un pizzico di ottimismo), e non si è mai preso troppo sul serio nonostante i titoli accademici e onorifici (è anche ufficiale al merito della Repubblica italiana) e il petto gravato di medaglie. Quando racconta di Wojtek grande un sorriso gli incornicia il viso, e corre ai ricordi di gioventù, quando nel suo reparto militava un soldato tutto speciale: un orso con tesserino militare, che all'epoca aveva 18 anni di meno del suo omologo, ma era già più alto. Tra i due Wojtek era scoppiato un vicendevole affetto, condiviso con i compagni polacchi, per una vicenda disneyana che comincia nel 1942 in Persia, dove si ritrovavano i polacchi liberati dai gulag staliniani in Siberia, in un'Anabasi contemporanea dapprima ignorata per motivi politici e oggi purtroppo trascurata. Uomini e donne tornati dalla prigionia che mettevano le loro vite in gioco per aiutare gli Alleati a vincere la guerra contro Adolf Hitler, che assieme a Iosif Stalin aveva tolto loro la patria e la libertà nel 1939. Narebski è ancora minorenne, e non è il solo. Un giorno un ragazzetto persiano, in cambio di due scatolette di carne, regala a una ragazza polacca, Irena Bokiewicz, un orsetto orfano di madre perché uccisa dai cacciatori, che viene battezzato Wojtek. Come tutti i cuccioli è dolce e affettuoso. Devono nutrirlo con un biberon improvvisato, una bottiglia di wodka riempita di latte, e probabilmente qualche goccia di liquore deve esservi rimasta perché da allora l'orsetto avrà una certa propensione per la wodka. È un orso che si comporta come un cagnolino. Gioca, cerca le carezze, e cresce. Tanto che non è più possibile tenerlo nell'accampamento. È allora che viene regalato a due soldati polacchi, e in breve Wojtek diventa l'attrazione del reparto. Dorme ai piedi della brandina, non si separa mai dai suoi amici a due zampe, lotta con loro improvvisando incontri di pugilato nei quali i suoi sfidanti non riportano mai neppure un graffio e vincono sistematicamente perché è proprio Wojtek a lasciarli vincere. Neanche Walt Disney riuscirebbe a umanizzarlo sotto forma di cartoon, più di quanto quell'orso non sia già. Preferisce la birra all'acqua e adora masticare le sigarette. Una brutta esperienza con un asino e con una scimmia gli rende particolarmente antipatiche le due categorie di animali, di cui avrà sempre paura. Non sa cosa sia l'aggressività. Una volta salva l'accampamento militare in Egitto da un'incursione di beduini che se lo vedono spuntare fuori da una tenda in posizione eretta e fuggono terrorizzati a gambe levate. Quando arriva il momento dell'imbarco, poiché è severamente vietato portare animali a bordo, Wojtek viene ufficialmente arruolato come soldato della 22ª compagnia rifornimenti di artiglieria del II Corpo d'armata polacco, con tanto di tesserino militare e fotografia. La destinazione è l'Italia. C'è una guerra da vincere, stanno arrivando i giorni dell'ultima e decisiva battaglia di Montecassino. «Wojtek viaggiava sempre con noi», racconta Narebski, «sui nostri camion. Non aveva paura del rumore delle cannonate e se ne stava sempre buono. Un giorno, nel vedere noi soldati che scaricavamo le cassette contenenti i proiettili di artiglieria destinati al fronte, prese all'improvviso a imitarci. Si caricò una cassetta e la portò a terra, poi continuò, senza farne mai cadere una. Lo faceva come fosse un gioco». Quella storia si diffonde rapidamente, tanto da far diventare la figura di un orso che imbraccia un proiettile il distintivo della 22ª compagnia. «Era un amico, è difficile da credere, ma Wojtek ci voleva bene come noi ne volevamo a lui. Divideva la nostra vita al fronte e in retrovia, aveva la sua dotazione di cibo e persino di birra e sigarette, per cui andava pazzo. Ricordo», così l'ex capitano Narebski, «che dopo aver liberato Ancona stavamo procedendo lungo una strada litoranea, quando Wojtek si precipitò giù dal camion: aveva visto il mare e correva come un fulmine verso l'acqua. Gli italiani, ragazzi e ragazze che erano in spiaggia, fuggirono in tutte le direzioni. Non potevano sapere che la nostra mascotte era buonissima e inoffensiva». Ma quando la guerra finì, per il buon soldato Wojtek non c'era più spazio nell'esercito. Anche per lui venne il momento del congedo. I polacchi di Anders, dopo una permanenza in Italia, vennero trasferiti in Gran Bretagna, dove rimase la gran parte di loro per l'avviamento al lavoro, o per la via della fortuna verso Canada, Stati Uniti o Australia. Le strade dei due Wojtek si separano definitivamente. Wojtek piccolo torna in Polonia, dove si laureerà all'Università Jagellonica diventando uno scienziato di fama internazionale, Wojtek grande verrà portato allo zoo di Edimburgo, in Scozia, dove è presto l'idolo dei bambini. Lo vedranno piangere per la separazione dai suoi amici soldati, e correre loro incontro quando lo vanno a trovare allo zoo. Gli uomini scavalcavano le sbarre e si facevano abbracciare da quella montagna di muscoli che non aveva mai morso né usato gli artigli, sotto gli occhi esterrefatti di guardiani e visitatori. Wojtek grande è morto nel 1963. Wojtek piccolo si commuove ancora oggi al ricordo del suo amico soldato dal cuore d'oro, ricordato da fumetti, documentari tv e statue. Anche in Italia.
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.