2025-01-23
Washington vira sull’economia reale
Il neo inquilino della Casa Bianca ha indicato la strada per Bruxelles: bisogna mollare le posizioni ideologiche per difendere l’interesse nazionale. Rintuzzando la Cina.I mistici, consapevoli della difficoltà di conoscere Dio, hanno sempre balbettato. Lo stesso ha fatto Ursula von der Leyen ieri quando ha balbettato qualche frase sconnessa, commentando il discorso di Donald Trump, per lo stesso motivo dei soggetti sopra citati: è, infatti, noto che di economia non ci capisce una mazza. E lo abbiamo visto in questi anni con i disastri che ha provocato nei vari Paesi europei a partire dalla Germania, sua grande sponsor, che, anche grazie al Green deal, ha le pezze al sedere. Paolo Gentiloni, personaggio in cerca d’autore, ha commentato: «Anni di lavoro buttati». No, Gentiloni, braccia buttate su un lavoro che non avete saputo fare e che era meglio che fossero impiegate in altri campi, anche in senso tecnico, cioè coltivati: non lavoro buttato, ma braccia strappate a compiti più alla portata. L’hanno capita anche i cinesi che cambia il vento e che non avranno più quello spazio illegittimamente libero che si sono conquistati con pratiche discutibili. Lo hanno capito immediatamente, ma Ursula no. Potrebbe chiedere un aiuto a Romano Prodi, che di Cina se ne intende e al quale gli Elkann hanno affidato anche una cattedra all’Università di Pechino dove, probabilmente, insegnerà come un’impresa può prendere una baracca di soldi da uno Stato per poi abbandonarlo quando non serve più. E per fortuna che gli Agnelli erano indicati come un modello di eleganza. Qui, al posto dell’eleganza, ci sono stati degli straccioni sia nel merito sia nel metodo. Ma torniamo a noi.In molti stanno provando a definire il piano economico di Trump e gli danno vari nomi: tecnocrazia, liberismo selvaggio (che non si capisce bene come un presunto liberista proponga di mettere dei dazi quando essi sono visti dal liberismo come fumo negli occhi), politiche economiche da macelleria sociale e altre amenità. Quello che ha detto Trump non c’entra nulla con tutte queste definizioni. Il piano di Trump si chiama così: difesa legittima dell’interesse economico nazionale. Esattamente l’opposto di quello che ha fatto l’Europa in questi anni e, invece, coincidente con quello che ha fatto la Cina, che ha difeso sì l’economia nazionale ma con modalità illegittime: dall’approvvigionamento energetico, alle infrastrutture, agli «accordi» per la colonizzazione dell’Africa, ormai a un punto avanzato, al non rispetto della competizione internazionale.Non potendo prevedere il futuro a proposito delle politiche economiche e commerciali di Trump, non possiamo che dire vedremo. Quello che è certo, già da ora, è che Trump indirizzi gli interventi statunitensi tutti a favore dell’economia reale del Paese, al contrario dell’Europa che si è fatta guidare da un’idea economica ideologica non tenendo conto degli effetti delle sue politiche sull’economia reale. Sarebbe possibile fare molti esempi ma ne basta uno: quello del Green deal che ha messo in crisi tutta l’industria automotive europea compresa, purtroppo, anche quella italiana e alla qual crisi hanno collaborato anche i sopracitati Elkann. Fa sorridere quello che il rappresentante cinese ha detto a Davos circa l’abbandono dell’America al famoso accordo sul clima di Parigi: «Conseguenze enormi». Allora, chiariamo che uscire dall’accordo sul clima di Parigi significa uscire dal nulla perché è nulla quello che ha prodotto tale accordo particolarmente in Cina, il maggiore inquinatore del mondo. Come ha affermato giustamente Maurizio Belpietro durante una mia trasmissione, «Trump è un imprenditore ed è abituato alla negoziazione. La spara alta e poi, realisticamente, rimodella e rivede quello che dice in base alle possibilità concrete, reali».Lo fece già nei confronti della Cina nel primo mandato presidenziale. Ma questo rientra nell’ambito della politica che cerca il possibile e non indica un astratto impossibile. Economia reale contro economia ideologica: questa è, secondo me, la chiave di lettura economica del discorso e delle intenzioni di Trump, peraltro coerenti con tutto quanto detto da lui medesimo in campagna elettorale e stracciando, alle elezioni, i democratici. Evidentemente chi lo ha votato ha pensato che da queste politiche potrà trarne dei vantaggi. E non lo hanno pensato i ricchi chic e woke sui due lati estremi dell’America, lo hanno pensato quegli americani che stanno nel cuore dell’America e che, anche a causa della Cina e delle politiche troppo accomodanti della gestione Biden, non hanno saputo difendere gli interessi economici dei cittadini americani.La Von der Leyen e tutto il suo gruppetto hanno stabilito in modo astratto e ideologico che si doveva compiere una transizione verde senza essere capaci di prevederne le conseguenze economiche sulla vita dei consumatori. Non solo hanno commesso questo imperdonabile errore per chi mette in campo politiche economiche ed energetiche, ma è sotto gli occhi di tutti che hanno lasciato campo, in Europa e in Africa, al potere cinese, lasciando che acquistasse una sorta di supremazia sia nel campo della transizione ecologica sia in quello tecnologico e della mobilità (vedi Panama e i vari porti, compresi quelli italiani).La via di Trump non è la Via della seta ma la via del setaccio che userà per capire cosa è da buttare e cosa è da preservare nella situazione politico-commerciale mondiale per difendere gli interessi nazionali. Trump non vuole distruggere l’economia internazionale. Sarebbe un suicidio. Vuole riequilibrare i poteri in essa per equilibrare anche gli scambi commerciali oggi, spesso, fuori controllo.
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.