2018-04-14
«Vorrei che l’aborto fosse illegale e che lo Stato tutelasse la madre»
Alessandro Fiore, l'ideatore del manifesto rimosso a Roma: «È un'immagine provocatoria e forte, ma lo sono anche quelle delle campagne antifumo o per la sicurezza stradale. Però su di loro non scatta la censura».Il sogno di Alessandro Fiore è chiaro: «Vorrei vivere in uno Stato in cui l'aborto fosse considerato illegale». Lui è il responsabile comunicazione di Provita. Ed è anche l'ideatore del manifesto antiaborto di 7 metri per 11 affisso a Roma e rimosso dopo alcuni giorni di polemiche. Un manifesto che mostrava un bambino in gestazione all'undicesima settimana, accompagnato da alcune scritte. «Tu eri così a 11 settimane», seguito dalla descrizione della foto: «Il tuo cuore batteva già dalla terza settimana dopo il concepimento. Già ti succhiavi il pollice» e poi il finale, molto impattante: «E ora sei qui perché tua mamma non ti ha abortito».Immagini e frasi che secondo Provita servono a mettere in luce le problematiche legate all'interruzione volontaria di gravidanza, esattamente a 40 anni dall'introduzione in Italia della legge 194. Su tutto, un principio che Provita porta avanti con convinzione: «Con l'aborto si sopprime una vita, non un grumo di cellule».Fiore, come è nata l'idea del manifesto?«Siamo una associazione che si occupa di promuovere la cultura della vita a tutti i livelli, è chiaro che l'aborto è uno dei nostri temi etici più sentiti. Anche perché di fatto nasciamo da una vicenda di cronaca legata a questo dramma».In che senso?«Il nostro presidente Toni Brandi era amico di Chiara Corbella Petrillo. Chiara rimase incinta di una bambina, Maria Grazia Letizia, a cui venne diagnosticata un'anencefalia. Chiara e il marito scelsero di portare avanti la gravidanza e la piccola, nata il 10 giugno 2009, morì dopo poco più di mezz'ora. Qualche mese dopo Chiara rimase nuovamente incinta. A questo bambino, Davide Giovanni, venne però diagnosticata una grave malformazione viscerale alle pelvi con assenza degli arti inferiori. Anche lui morirà poco dopo essere nato. Quando Chiara rimase incinta per la terza volta scoprì di avere un tumore e a un certo punto sospese le cure per non far male al figlio, Francesco, che venne al mondo sano. Chiara però morì il 13 giugno 2012 perché a quel punto il tumore era troppo esteso».Capisco. Torniamo al manifesto.«È chiaro che l'immagine è provocatoria. Volevamo puntare sulla centralità del bambino che una donna porta in grembo».Perché avete mostrato il feto a undici settimane?«Perché è un numero di settimane vicine al limite entro il quale è consentito l'aborto. Volevamo fare capire come è formato un bambino in grembo, in quel momento. È un'immagine forte, comprendo. Ma non è la foto vera e propria, è una riproduzione molto verosimile di come è un feto a undici settimane».Perché è stato rimosso il manifesto?«Le posso dire quello che è stato comunicato alla società che si è occupata di affiggerlo. È arrivata una multa di circa 500 euro, dicendo che sono stati violati due principi: intanto il rispetto dei diritti individuali, civili e politici. Poi la pubblicità sarebbe una violazione della legge 194 sull'aborto».In quale punto?«Questo non l'abbiamo capito. Ma sarebbe il caso di definire le cose come stanno».Vale a dire?«Si tratta di censura, punto. In quel manifesto, seppure di forte impatto, non c'è nulla di diffamatorio o di ingiurioso. Proponiamo solo dei fatti, secondo quello che è il nostro pensiero».Una delle obiezioni è che quell'immagine potrebbe suscitare in una donna che ha abortito una sorta di colpevolizzazione. Come dire: 'Donna che hai abortito, guarda cosa hai fatto!'«Ma le parole fanno un'enorme differenza. Non abbiamo scritto “tu che hai abortito sei un'assassina". Anche se...».Anche se?«Beh, l'aborto è la soppressione di una vita umana. Punto. Poi mi lasci aggiungere».Prego.«Pensi alle campagne sociali dello Stato contro il fumo o contro gli incidenti stradali con immagini molto forti. Magari una persona rimasta paralizzata perché non si è messa la cintura di sicurezza non ha piacere a vedere una pubblicità in cui si ricorda di mettere le cinture altrimenti si rischia la vita».Il radicale Marco Cappato, uno che certamente la pensa all'esatto contrario di voi su questo e altri temi etici, ha detto che è stato sbagliato rimuovere il manifesto.«Lo ringrazio. La verità è che certe forze politiche, penso ad alcune frange del Pd o al M5s, sono ideologicamente più preoccupanti di Cappato».Ma quindi storia chiusa?«Tutt'altro. Abbiamo incaricato alcuni avvocati amministrativisti di occuparsi della vicenda. Magari quel manifesto non ricomparirà esattamente lì, ma vogliamo batterci per la libertà di manifestare il nostro pensiero».Me lo sintetizza, sul tema dell'aborto?«Vorrei vivere in uno Stato in cui l'aborto fosse illegale».Dove si praticano gli aborti clandestini come prima dell'introduzione della legge 194, quarant'anni fa?«I numeri che diedero i radicali sugli aborti clandestini erano oggettivamente esagerati».Ma se anche una sola donna fosse costretta a ricorrere alle vecchie mammane, non le sembrerebbe un orrore?«Mettiamola così: noi di Provita vorremmo uno Stato in grado di tutelare il bene di entrambi gli esseri umani, la donna e il bambino che porta in grembo. Uno Stato che crei situazioni di inclusione in modo da rimuovere le condizioni che portano alla domanda di aborto».Non crede che una donna sia banalmente libera di decidere che fare della propria vita?«Questo è il principio che sull'onda del Sessantotto ha portato proprio alla nascita della legge 194. Ma chi pensa alla vita in grembo, alla libertà del bambino? Poi guardi, una donna può abortire se portare avanti una gravidanza le suscita un senso di prostrazione psicologica. Ma dentro a questo concetto di prostrazione c'è di tutto, anche una donna che non ha il sostegno economico».Non le sembra un valido motivo per non fare un figlio?«Assolutamente no! Sa quante donne, aiutate concretamente dai centri per la vita, cambiano idea e non praticano l'aborto? Sopprimere una vita per mancanza di soldi mi sembra assurdo, vorremmo informare le donne che esistono possibilità di aiuti concreti».Sembra che vogliate decidere cosa è meglio per una donna?«Se pensa che noi facciamo pressioni, ha sbagliato indirizzo. Noi vorremmo solo informare che l'aborto comporta gravi conseguenze sul piano fisico e psichico per la donna. Uno studio inglese dice che le donne che abortiscono aumentano nel futuro il rischio di suicidi, depressione, uso di sostanze illegali e psicofarmaci. Sono altri che fanno pressione sulle donne».A chi si riferisce?«Dietro a una donna che interrompe una gravidanza c'è spesso un partner che la spinge a farlo, o genitori che le dicono, in caso di ragazze, che “non è il caso, non sei pronta, non è il momento giusto". Noi informiamo, altri fanno indebite pressioni».Ma voi cosa vorreste?«Idealmente, come detto, uno Stato dove non sia consentito abortire. Guardi l'Irlanda o la Polonia, Paesi in cui l'attenzione alla salute materna è tra le più alte dell'Unione europea, guarda caso Paesi con il minore tasso di aborto».Sono Paesi che hanno una cultura cattolica molto intransigente sul tema.«Anche la matrice culturale in effetti ha un valore».Ma lei, a una donna che rimane incinta e che non vuole figli perché non lo ha programmato, cosa dice?«Le ribalto la domanda: se una donna non volesse più un neonato, cosa potrebbe fare?»Niente. Se lo sopprime è un infanticida e va in carcere.«Ecco, invece la legge 194 fa una discriminazione tra il bambino prima di determinate settimane e dopo, ma per noi è una ipocrisia».Scusi, secondo lei lo Stato tollera un omicidio?«Il punto centrale è riconoscere cosa c'è nel grembo di una donna. È un bambino. Abbiamo una legge che consente a un essere umano di sopprimere una vita».
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