Il fatto buffo è che Mirko Bertoncini non ama definirsi un venditore. Lui che da ormai più di due anni passa le giornate a bussare alle porte, suonare ai campanelli, entrare nelle case delle famiglie italiane preferisce dire di se stesso «sono un lavoratore, né più né meno». Solo che la professione di Bertoncini consiste inequivocabilmente nel vendere. Aspirapolvere per la precisione. Mirko, da due anni a questa parte, è la persona che in Italia ha venduto più aspirapolvere. I mitici Folletto, appartenenti al marchio tedesco della Vorwerk che dal 1938 entra nelle case degli italiani. Ex calciatore professionista (l'apice della carriera è stato in serie B con l'Empoli, poi una trafila nella serie C), 31 anni, Mirko ha utilizzato la passione che metteva nel calcio anche nel lavoro della vendita porta a porta.
«Anzi, a dire il vero sono approdato a questa mia nuova vita proprio grazie al calcio».
In che senso?
«Ho girato diverse squadre, finché a un certo punto mi sono trovato a giocare nella Sarzanese. E proprio a Sarzana, passeggiando in centro, ho conosciuto Debora, che faceva la commessa in un negozio. Oggi è mia moglie, la mia regina, e mamma di Viola, la mia principessa».
Come è stato il salto dal calcio alla Folletto?
«Mio suocero lavora nell'azienda da trent'anni. Mi ha detto: “Ma perché non provi anche tu? Se poi non ti trovi bene, torni a fare quello che stavi facendo". La verità è che un calciatore di medio livello a 28 anni comincia a essere vecchietto e deve pensare al futuro».
È stato facile iniziare?
«Sì, perché mi hanno garantito un corso formativo totalmente gratuito, e all'inizio sei affiancato dal capogruppo di quell'area geografica. Ho cominciato lavorando part time per poter proseguire con gli allenamenti. Poi nel 2016, a campionato finito, mi sono lanciato a tempo pieno in quest'avventura».
Come è andata?
«Nel 2016 ho venduto 1.371 aspirapolvere, l'anno successivo 1.540».
Risultato: è il miglior venditore per il secondo anno consecutivo.
«Ma non è quello che conta, avrei potuto essere quarto, quinto. Conta realizzarsi. Poi chiariamo, io non mi sento un venditore. Io lavoro e per farlo mi attengo a tre principi sacri: passione, trasparenza, lealtà. Ho gettato in questa professione la stessa passione che avevo per il calcio. La vendita è solo una diretta conseguenza dell'impegno che uno ci mette».
Si ricorda la prima vendita?
«Come no! Ero a Porcari, in provincia di Lucca, e quel giorno mi sentivo di riuscire a farcela da solo. Ho detto al mio capoarea: “Voglio suonare il campanello senza il tuo aiuto". Lui mi ha risposto: “Se te la senti, vai".»
Risultato?
«Sono uscito con il contratto firmato in mano».
Al primo colpo?
«Esattamente».
Non andrà sempre così.
«Scherza? La media in genere è questa: 100 campanelli suonati, cinque appuntamenti presi, tre dimostrazioni e un contratto firmato. La mia media è un po' più alta: su 100 campanelli che suono, porto a casa 2,8 contratti».
Il segreto?
«Mi ripeto: la passione. È il segreto di qualsiasi lavoro, anche del suo. Poi certo, conta la presenza: non indosso orecchini, non ho tatuaggi, busso alle porte vestito in giacca e cravatta, pettinato, ordinato. Parlo anche di me, della mia famiglia, dei valori che contano, della mia splendida bambina e di mia moglie. Soprattutto, non entro mai in casa se c'è solo una persona».
Perché?
«È una questione di rispetto basilare. Mi apre solo la donna? Le dico che ritornerò quando c'è anche il marito, o la suocera, un parente. Qualcuno insomma che sta con lei. Il rispetto viene prima di tutto».
Ne trova molto dall'altra parte della porta?
«Ho capito dove vuole arrivare, vuole che le riferisca alcune delle risposte che mi danno».
Già.
«Pensi agli insulti più fantasiosi o più pesanti. Ecco, li ho collezionati tutti».
E come reagisce in quel caso?
«Sempre con il massimo dell'educazione. Magari spiego alla persona che risponde male che sto solo lavorando, che quel lavoro mi permette di mantenere la famiglia e che spero che nessuno nella vita tratti suo figlio come lei o lui sta trattando me in quel momento».
Orari di lavoro?
«Ecco, quelli se li scordi. Io talvolta esco di casa alle 7.30 e rientro alle 21.30, le 22. Compreso il sabato. Anzi il sabato è ottimo per prendere appuntamenti con le persone che lavorano in settimana».
Qual è il profilo dell'acquirente tipo?
«Non esiste, gli italiani sono straordinari e variegati. Certo, la mia fortuna è lavorare per un marchio che è sinonimo di enorme qualità ed è affermato da decenni. I veri miti da ringraziare sono i venditori di 30-40 anni fa. Grazie a loro, oggi sei famiglie su dieci hanno un folletto in casa».
Ma ci sarà un punto di forza su cui puntare.
«Ah, sì. I clienti migliori quando suoni il campanello sono gli assenti».
Come gli assenti?
«Ma certo, perché ripasserai quando rincasano, magari a pranzo tra le 12.30 e le 13.10. Oppure la sera dalle 19 alle 20.30. Per trovarli ci vuole costanza, impegno e, torno a dire, passione. E chi ce l'ha questa costanza?»
Chi?
«Il Mirko Bertoncini, ovvio».
Insomma il metodo utilizzato da Checco Zalone in Sole a catinelle non è quello giusto?
«Bravo, io lo dico a tutti. Vuoi fare questo lavoro? Guarda quel film di Checco Zalone e fai il contrario. Se pensi di vendere aspirapolvere ai parenti, dopo due mesi hai finito la lista. Invece devi puntare sugli sconosciuti, che tengono alla pulizia, all'ordine, alla precisione nella propria casa».
Ma ha fatto fatica a ingranare?
«Il primo mese di lavoro ho venduto quaranta aspirapolvere».
Per un guadagno di?
«Sa cosa le dico? Neanche lo sapevo. Non avevo chiesto. A me interessava capire se ero in grado di farcela, pensavo a imparare una nuova professione».
Ma si può dire quanto si guadagna?
«Di certo non esiste un minimo garantito. Guadagni a provvigione, in genere è il 16% e può aumentare in base ai risultati. Ogni quindici giorni, precisi come solo i tedeschi sanno essere, arriva il bonifico dei soldi che ti sei guadagnato. E' un sistema molto meritocratico: se fai, incassi. Altro che venditori, siamo piccole aziende di noi stessi».
È un lavoro che consiglia ai giovani?
«Dico questo: cari giovani, non è vero che il lavoro manchi. Il lavoro c'è, bisogna solo avere voglia di impegnarsi. Invece molti ragazzi oggi appena entrano nel mondo del lavoro vogliono sapere se avranno il fine settimana libero, le ferie pagate. Ognuno ha dei sogni, poi esiste la realtà: anche io volevo sfondare in serie A e diventare un grande campione, invece mi sono dovuto accontentare di una modesta carriera nelle serie minori. Però, a una certa età, mi sono guardato allo specchio e mi sono detto: “Mirko, perché non ti costruisci un bel futuro?"».
Ce l'ha fatta, mi pare.
«Altroché. Grazie a questo lavoro mi sono sposato, abbiamo una figlia, sono entusiasta e guardo al domani con gioia. Meglio di così».
E se non avesse fatto il venditore?
«Mio padre è un falegname, avrei potuto esplorare quella strada. Sempre con la stessa prerogativa: mettendoci passione».
Il sogno di Alessandro Fiore è chiaro: «Vorrei vivere in uno Stato in cui l'aborto fosse considerato illegale». Lui è il responsabile comunicazione di Provita. Ed è anche l'ideatore del manifesto antiaborto di 7 metri per 11 affisso a Roma e rimosso dopo alcuni giorni di polemiche. Un manifesto che mostrava un bambino in gestazione all'undicesima settimana, accompagnato da alcune scritte. «Tu eri così a 11 settimane», seguito dalla descrizione della foto: «Il tuo cuore batteva già dalla terza settimana dopo il concepimento. Già ti succhiavi il pollice» e poi il finale, molto impattante: «E ora sei qui perché tua mamma non ti ha abortito».
Immagini e frasi che secondo Provita servono a mettere in luce le problematiche legate all'interruzione volontaria di gravidanza, esattamente a 40 anni dall'introduzione in Italia della legge 194. Su tutto, un principio che Provita porta avanti con convinzione: «Con l'aborto si sopprime una vita, non un grumo di cellule».
Fiore, come è nata l'idea del manifesto?
«Siamo una associazione che si occupa di promuovere la cultura della vita a tutti i livelli, è chiaro che l'aborto è uno dei nostri temi etici più sentiti. Anche perché di fatto nasciamo da una vicenda di cronaca legata a questo dramma».
In che senso?
«Il nostro presidente Toni Brandi era amico di Chiara Corbella Petrillo. Chiara rimase incinta di una bambina, Maria Grazia Letizia, a cui venne diagnosticata un'anencefalia. Chiara e il marito scelsero di portare avanti la gravidanza e la piccola, nata il 10 giugno 2009, morì dopo poco più di mezz'ora. Qualche mese dopo Chiara rimase nuovamente incinta. A questo bambino, Davide Giovanni, venne però diagnosticata una grave malformazione viscerale alle pelvi con assenza degli arti inferiori. Anche lui morirà poco dopo essere nato. Quando Chiara rimase incinta per la terza volta scoprì di avere un tumore e a un certo punto sospese le cure per non far male al figlio, Francesco, che venne al mondo sano. Chiara però morì il 13 giugno 2012 perché a quel punto il tumore era troppo esteso».
Capisco. Torniamo al manifesto.
«È chiaro che l'immagine è provocatoria. Volevamo puntare sulla centralità del bambino che una donna porta in grembo».
Perché avete mostrato il feto a undici settimane?
«Perché è un numero di settimane vicine al limite entro il quale è consentito l'aborto. Volevamo fare capire come è formato un bambino in grembo, in quel momento. È un'immagine forte, comprendo. Ma non è la foto vera e propria, è una riproduzione molto verosimile di come è un feto a undici settimane».
Perché è stato rimosso il manifesto?
«Le posso dire quello che è stato comunicato alla società che si è occupata di affiggerlo. È arrivata una multa di circa 500 euro, dicendo che sono stati violati due principi: intanto il rispetto dei diritti individuali, civili e politici. Poi la pubblicità sarebbe una violazione della legge 194 sull'aborto».
In quale punto?
«Questo non l'abbiamo capito. Ma sarebbe il caso di definire le cose come stanno».
Vale a dire?
«Si tratta di censura, punto. In quel manifesto, seppure di forte impatto, non c'è nulla di diffamatorio o di ingiurioso. Proponiamo solo dei fatti, secondo quello che è il nostro pensiero».
Una delle obiezioni è che quell'immagine potrebbe suscitare in una donna che ha abortito una sorta di colpevolizzazione. Come dire: 'Donna che hai abortito, guarda cosa hai fatto!'
«Ma le parole fanno un'enorme differenza. Non abbiamo scritto “tu che hai abortito sei un'assassina". Anche se...».
Anche se?
«Beh, l'aborto è la soppressione di una vita umana. Punto. Poi mi lasci aggiungere».
Prego.
«Pensi alle campagne sociali dello Stato contro il fumo o contro gli incidenti stradali con immagini molto forti. Magari una persona rimasta paralizzata perché non si è messa la cintura di sicurezza non ha piacere a vedere una pubblicità in cui si ricorda di mettere le cinture altrimenti si rischia la vita».
Il radicale Marco Cappato, uno che certamente la pensa all'esatto contrario di voi su questo e altri temi etici, ha detto che è stato sbagliato rimuovere il manifesto.
«Lo ringrazio. La verità è che certe forze politiche, penso ad alcune frange del Pd o al M5s, sono ideologicamente più preoccupanti di Cappato».
Ma quindi storia chiusa?
«Tutt'altro. Abbiamo incaricato alcuni avvocati amministrativisti di occuparsi della vicenda. Magari quel manifesto non ricomparirà esattamente lì, ma vogliamo batterci per la libertà di manifestare il nostro pensiero».
Me lo sintetizza, sul tema dell'aborto?
«Vorrei vivere in uno Stato in cui l'aborto fosse illegale».
Dove si praticano gli aborti clandestini come prima dell'introduzione della legge 194, quarant'anni fa?
«I numeri che diedero i radicali sugli aborti clandestini erano oggettivamente esagerati».
Ma se anche una sola donna fosse costretta a ricorrere alle vecchie mammane, non le sembrerebbe un orrore?
«Mettiamola così: noi di Provita vorremmo uno Stato in grado di tutelare il bene di entrambi gli esseri umani, la donna e il bambino che porta in grembo. Uno Stato che crei situazioni di inclusione in modo da rimuovere le condizioni che portano alla domanda di aborto».
Non crede che una donna sia banalmente libera di decidere che fare della propria vita?
«Questo è il principio che sull'onda del Sessantotto ha portato proprio alla nascita della legge 194. Ma chi pensa alla vita in grembo, alla libertà del bambino? Poi guardi, una donna può abortire se portare avanti una gravidanza le suscita un senso di prostrazione psicologica. Ma dentro a questo concetto di prostrazione c'è di tutto, anche una donna che non ha il sostegno economico».
Non le sembra un valido motivo per non fare un figlio?
«Assolutamente no! Sa quante donne, aiutate concretamente dai centri per la vita, cambiano idea e non praticano l'aborto? Sopprimere una vita per mancanza di soldi mi sembra assurdo, vorremmo informare le donne che esistono possibilità di aiuti concreti».
Sembra che vogliate decidere cosa è meglio per una donna?
«Se pensa che noi facciamo pressioni, ha sbagliato indirizzo. Noi vorremmo solo informare che l'aborto comporta gravi conseguenze sul piano fisico e psichico per la donna. Uno studio inglese dice che le donne che abortiscono aumentano nel futuro il rischio di suicidi, depressione, uso di sostanze illegali e psicofarmaci. Sono altri che fanno pressione sulle donne».
A chi si riferisce?
«Dietro a una donna che interrompe una gravidanza c'è spesso un partner che la spinge a farlo, o genitori che le dicono, in caso di ragazze, che “non è il caso, non sei pronta, non è il momento giusto". Noi informiamo, altri fanno indebite pressioni».
Ma voi cosa vorreste?
«Idealmente, come detto, uno Stato dove non sia consentito abortire. Guardi l'Irlanda o la Polonia, Paesi in cui l'attenzione alla salute materna è tra le più alte dell'Unione europea, guarda caso Paesi con il minore tasso di aborto».
Sono Paesi che hanno una cultura cattolica molto intransigente sul tema.
«Anche la matrice culturale in effetti ha un valore».
Ma lei, a una donna che rimane incinta e che non vuole figli perché non lo ha programmato, cosa dice?
«Le ribalto la domanda: se una donna non volesse più un neonato, cosa potrebbe fare?»
Niente. Se lo sopprime è un infanticida e va in carcere.
«Ecco, invece la legge 194 fa una discriminazione tra il bambino prima di determinate settimane e dopo, ma per noi è una ipocrisia».
Scusi, secondo lei lo Stato tollera un omicidio?
«Il punto centrale è riconoscere cosa c'è nel grembo di una donna. È un bambino. Abbiamo una legge che consente a un essere umano di sopprimere una vita».
«Da Myrmex, in greco formica. Nell'ambito della zoologia mi sono specializzato nello studio del comportamento degli animali, l'etologia. Sono stato allievo del grande Danilo Mainardi, scomparso l'anno scorso. Come modello di studio ho scelto gli insetti. Sa che su quasi 2 milioni di specie viventi attualmente classificate circa 1 milione sono insetti?»
Ah.
«Le dirò di più, se ci limitiamo agli animali, più del 70% di questi sono insetti. Solo che noi umani, vertebrati mammiferi, abbiamo una visione un po' troppo antropocentrica. Tendiamo a pensare che lo studio degli animali sia fondamentalmente lo studio di quelli più simili a noi».
Da dove nasce la passione per le formiche?
«Nasce da bambino. Tutti noi, da piccoli, abbiamo un approccio con le formiche, purtroppo spesso non basato sulla sola osservazione».
Già, chi non ne ha schiacciata una da piccolo?
«Io per contrappasso ne ho fatto l'oggetto dei miei studi».
In che cosa attraggono le formiche?
«Sono una presenza in quasi ogni ambiente, hanno comportamenti estremamente complessi e rappresentano modelli di studio per molte discipline. Hanno una notevole importanza da un punto di vista ecologico. Forniscono servizi ecosistemici essenziali, ovvero prestazioni fondamentali per l'uomo e derivanti da processi naturali. Si tratta di processi che in natura abbiamo gratis, pensi all'impollinazione e alla purificazione di aria e acqua, che altrimenti dovremmo pagare».
Quali servizi offrono le formiche?
«Hanno un impatto positivo sulla qualità del suolo, garantendone con le loro attività sotterranee il rimaneggiamento, l'aerazione e il drenaggio. Arricchiscono il terreno di materiale organico, difendono piante da insetti erbivori e contribuiscono allo smaltimento dei rifiuti».
Addirittura?
«Esistono le formiche spazzine. Uno studio americano certifica che nelle aree verdi urbane di New York gli artropodi, e tra questi in particolare le formiche, consumano grandi quantità di rifiuti alimentari abbandonati dall'uomo, fino a 6,5 chili all'anno in una sola isola spartitraffico».
Ma quante sono queste formiche?
«Si stima che al mondo ne esistano 10 milioni di miliardi distribuite in oltre 13.000 specie. Se consideriamo la loro biomassa, costituiscono il 10-15% del totale del peso degli animali. Sono modelli di studio per applicazioni pratiche anche in medicina, robotica, informatica».
Mi spieghi.
«Le formiche vivono in ambienti super affollati e favorevoli alla proliferazione di microbi, eppure riescono a creare condizioni asettiche. La maggior parte delle formiche ha sviluppato la capacità di secernere sostanze antibatteriche e antifungine. Studiare queste sostanze e il modo in cui vengono prodotte può essere di grande aiuto per l'uomo. Ci sono formiche che ospitano batteri sul proprio corpo che producono antibiotici, come se trasportassero una farmacia ambulante».
Nell'informatica che applicazione hanno?
«Si parte sempre dalla loro caratteristica principale: costituiscono società complesse, fatte da tanti individui che agiscono seguendo regole decisionali ben precise. Ma la loro laboriosità totale produce effetti molto superiori alla semplice somma delle parti».
Non capisco.
«Prenda la costruzione di un nido, che in alcune specie può arrivare a essere grande come un appartamento. Le formiche sono in grado di spostare 40 tonnellate di terra per costruirlo. Eppure non esiste un'organizzazione verticistica con un capo che dirige i lavori. Si tratta di un sistema decentralizzato basato su azioni auto organizzate. Ogni singola formica fa la sua parte (adotta il suo algoritmo decisionale basandosi su informazioni locali) senza conoscere il progetto complessivo. Studiando la logica matematica che caratterizza questa organizzazione sono stati prodotti algoritmi utilizzati per la messa a punto di software per la risoluzione di problemi complessi e di robot che lavorano in sciami».
Sembra di sentir parlare di persone.
«È solo un'impressione. Formiche e uomini in gran parte non funzionano allo stesso modo, ma da buoni umani, nella descrizione di questi organismi ci piace ovviamente usare termini a noi familiari. Sa che ci sono le “formiche pigre"?»
Ma come, la formica è sinonimo di laboriosità!
«Esiste una specie americana, la Temnothorax rugatulus in cui il 40% delle operaie non fa nulla».
Come nulla?
«Per questo sono chiamate le formiche pigre. Le formiche disoccupate».
Guarda caso la disoccupazione giovanile in Italia è proprio al 40% circa.
«Nel caso dei nostri giovani però lo sono loro malgrado, mentre queste formiche sono disoccupate per mestiere, cioè costituiscono forza lavoro di riserva pronta ad agire».
È vero che esiste la formica schiavista?
«Confermo. Ci sono formiche che razziano e saccheggiano gli altri nidi. Ma sa cosa rubano, anzi rapiscono? Larve e pupe di altre specie. Insomma rapiscono altre formiche allo stadio giovanile per farle lavorare nei loro nidi una volta diventate adulte. Ma le formiche non si fanno mancare nulla. Ci sono anche formiche che saccheggiano colonie della stessa specie».
Insomma, anche le formiche nel loro piccolo s'incazzano.
«Eccome. Esistono vere e proprie guerre tra questi insetti. Combattono per il territorio, per le risorse alimentari. Le formiche sanno essere molto aggressive, mordono con le mandibole o possono pungere provocando a volte dolore estremo. In Amazzonia le Paraponera clavata chiamate bullet ants (formiche proiettile) causano una puntura lancinante. I ragazzi di alcune tribù di indios, per segnare il passaggio all'età adulta, in alcuni rituali devono indossare dei guanti che contengono queste formiche. Le lascio immaginare il dolore».
A lei è capitata qualche disavventura?
«Una volta in Australia ho trovato un nido di formiche Myrmecia, le operaie sono grandi anche 2 centimetri, sono molto aggressive e ci vedono benissimo. Mi sono trovato davanti alcune di queste sentinelle che mi hanno fronteggiato. In un attimo molte di queste formiche mi hanno circondato e mi hanno punto al tallone. Per fortuna non ho avuto conseguenze serie, a parte dover camminare scalzo per alcuni giorni per il gonfiore al piede».
Perché le formiche si spostano a volte in colonne ordinate?
«Molte specie utilizzano questa modalità di spostamento per migrare, oppure come sistema di reclutamento per recuperare cibo. Funziona così: ci sono operaie esploratrici che partono in avanscoperta, quando trovano cibo tornano al nido lasciando una traccia chimica per marcare il percorso, un po' come Pollicino. Le compagne poi ripartono tutte a recuperarlo seguendo il percorso inverso».
E spostano pesi enormi.
«Alcune trasportano un peso 100 volte maggiore del loro. Queste prestazioni sono dovute alla loro piccola taglia: si tratta del cosiddetto effetto scala. Semplificando al massimo, la forza di un animale è essenzialmente dovuta alla grandezza dei suoi muscoli che a sua volta è legata alla superficie della loro sezione trasversale. La forza di un animale però, soprattutto quando la si voglia confrontare con quella di altri animali, non va presa in valore assoluto bensì rapportata al suo peso, che a sua volta è proporzionale al volume del corpo. Le formiche hanno un rapporto superficie-volume molto favorevole alla superficie e quindi, in rapporto al loro peso, hanno una forza elevata che permette loro queste imprese».
Che altre formiche mi può proporre?
«Ci sono gli otri viventi (diffuse in America e Australia), veri e propri serbatoi di cibo. Alcune operaie specializzate stoccano una quantità enorme di cibo nel loro stomaco, per cui il loro addome diventa grande come un acino d'uva. Per questo motivo non riescono a muoversi, stanno nel nido e di tanto in tanto rigurgitano il cibo per le altre formiche, su richiesta».
Poi?
«In Sudamerica ci sono le formiche del genere Atta, che coltivano i funghi di cui si nutrono. Hanno inventato l'agricoltura ben prima di noi! Le regine sono enormi, hanno addome rigonfio, tanto che vengono soprannominate le culonas».
Capisco l'allusione.
«Delle vere e proprie leccornie per le popolazioni locali. Sono molto buone, tostate o fritte. C'è ciccia da mangiare, lì».
Oddio.
«L'entomofagia è un'ottima risorsa per il futuro».
Parliamo di mangiare insetti.
«Certo. È una strada da perseguire, darà possibilità enormi. Gli insetti sono una fonte alimentare ricca di proteine e grassi di qualità. Ma soprattutto il loro allevamento è ecologicamente più sostenibile rispetto alla produzione di altre fonti di cibo».
Lei ha provato?
«Sì, ho mangiato vari insetti. In una spedizione in Australia ho provato anche con le formiche. La guida mi suggerì di provarle e ne ho mangiate alcune, vive».
Di cosa sanno?
«Quelle che ho provato io, le Oecophylla smaragdina, sanno di limone a causa di una secrezione acida. Sono gustose. D'altra parte in Thailandia le usano per condire il pesce».




