2024-07-18
La Corte Ue inguaia Ursula per i vaccini Pfizer: «Minata la trasparenza»
Ursula von der Leyen (Ansa)
Commissione condannata: «Nomi dei negoziatori e clausole su indennizzi vanno resi pubblici». Sulla tedesca pende pure il verdetto in Belgio sugli sms con Bourla.Sembrava che la giustizia a orologeria fosse una prerogativa a senso unico squisitamente italiana. Ma le sentenze emesse ieri dalla Corte di Giustizia europea contro la Commissione di Ursula von der Leyen, la presidente condannata per le irregolarità sui contratti dei vaccini anticovid, pur ponendo un fastidioso ostacolo alla sua rielezione - in quanto uscite proprio il giorno prima del voto dell’Europarlamento - sono un atto più che dovuto. È infatti dal 2021 che questa storia va avanti, documentata passo passo dalla Verità. Come riferisce la Corte Ue, von der Leyen ha stipulato «con alcune imprese farmaceutiche» (Pfizer, ma la Corte con commovente delicatezza non cita l’azienda) contratti di acquisto di vaccini contro il Covid: circa 2,7 miliardi di euro per un ordine di oltre un miliardo di dosi. Nel 2021, cinque eurodeputati dei Verdi (quelli che curiosamente dovrebbero oggi garantire sostegno a von der Leyen) e alcuni privati hanno chiesto, sulla base del regolamento, di visionare i contratti «per assicurarsi che l’interesse pubblico fosse tutelato». Ma l'accordo tra Ue e Pfizer è sempre stato al centro delle polemiche: già nel 2021, quando al Mediatore europeo, che aveva chiesto dettagli sui contratti, la Commissione non aveva fornito alcuna risposta; i malumori erano saliti quando il New York Times aveva denunciato lo Pfizergate, rivelando che i contatti informali tra la presidente della Commissione e Albert Bourla, l’amministratore delegato di Pfizer, erano avvenuti via sms, poi distrutti; l’apice delle controversia era stato registrato nel 2022, quando la Corte dei conti dell’Unione europea aveva rilevato che von der Leyen avesse violato il regolamento, spianando la strada al più grande appalto mai stipulato dall’Ue.La Commissione ha commesso l’imperdonabile errore di concedere soltanto un accesso parziale ai contratti, che sono stati messi in rete con intere pagine totalmente sbianchettate. È a questo punto che i ricorrenti si sono rivolti alla Corte di Giustizia Ue. «Nelle sue sentenze» - ha scritto ieri la Corte - il Tribunale accoglie parzialmente entrambi i ricorsi e annulla le decisioni della Commissione nella parte in cui esse contengono irregolarità».Due sono i punti critici contestati a donna Ursula: le clausole relative all’indennizzo delle imprese farmaceutiche da parte degli Stati membri per eventuali risarcimenti (delle quali normalmente avrebbero dovuto farsi carico le aziende stesse) e la presunta «tutela della vita privata delle persone» invocata dalla Commissione per negare parzialmente l’accesso alle dichiarazioni di assenza di conflitto di interessi dei membri della squadra negoziale Ue che ha seguito l’acquisto dei preparati anti covid.Sul primo punto «il Tribunale sottolinea che il produttore è responsabile del danno causato […] e la sua responsabilità non può essere soppressa o limitata, nei confronti del danneggiato, da una clausola esonerativa o limitativa di responsabilità, ai sensi della direttiva 85/374 2». È in effetti curioso che von der Leyen abbia voluto mettere al riparo Pfizer da possibili cause di risarcimento rovesciando sugli Stati membri Ue, e non sull’azienda, questi oneri. Gli avvocati dell’Ue si sono difesi sostenendo che «un accesso più ampio a tali clausole avrebbe arrecato pregiudizio agli interessi commerciali delle aziende» che, poverine, si erano comunque assunte il rischio d’impresa di produrre in tempi stretti i vaccini. Ma il Tribunale ha sentenziato che la Commissione «non ha fornito spiegazioni sufficienti che consentissero di capire in che modo l’accesso […] avrebbe potuto arrecare pregiudizio a tali interessi commerciali».Quanto alla protezione dei negoziatori dei contratti, il Tribunale ha ritenuto che «è solo in possesso dei loro nomi e del loro ruolo professionale o istituzionale che essi avrebbero potuto verificare che i membri in questione non si trovassero in una situazione di conflitto di interessi». La Commissione, di fatto, in un delirio autocratico, ha preteso un atto di fede: i governi han dovuto fidarsi alla cieca.Ursula von der Leyen ha ora due mesi e dieci giorni per appellarsi al caso davanti alla Corte, senza contare che entro fine anno dovrà difendersi anche dall’azione penale, istruita al Tribunale di Liegi, riguardante le accuse di corruzione, conflitto d’interessi, interferenza nelle funzioni pubbliche e distruzione di documenti a seguito della denuncia presentata da Polonia e Ungheria, insieme con il lobbista Frédéric Baldan, il presidente del partito francese «Les Patriotes» Florian Philippot e l’associazione Generazioni Future. La Procura europea (European Public Prosecutor’s Office, o Eppo) aveva ufficialmente annunciato l’avvio di indagini a ottobre 2022, ma von der Leyen ha reagito cercando di ridurre il bilancio della Procura europea, come segnalato da un’allarmata Laura Codruta Kövesi, a capo dell’organismo, in un documento visionato da Politico. L’avvertimento è stato recepito: oggi Eppo sta cercando di avocare a sé la giurisdizione del caso per sottrarlo al Tribunale di Liegi e, verosimilmente, nasconderlo sotto al tappeto. Tra gli altri guai di Ursula non sono state dimenticate le nomine imposte dall’alto, come quella dell’eurodeputato della Cdu Markus Pieper a inviato dell’Ue per le piccole e medie imprese, benché non ne avesse i requisiti. D’altronde, il metodo von der Leyen di gestire contratti e consulenze era ben noto in Germania prima della sua nomina alla Commissione. Quando ricoprì la carica di ministro della Difesa dal 2013 al 2019, lei e il suo vice capo Katrin Suder pagarono centinaia di milioni di dollari in consulenti che avrebbero dovuto consigliare come spendere in armamenti. Nel 2017, secondo N-TV, vennero consegnati alla Bundeswehr, le Forze armate tedesche, 97 nuovi sistemi d’arma, dei quali solo 38 erano funzionanti. Emblematico fu il caso della Gorch Fock, la nave a vela usata dalla Marina tedesca per l’addestramento, il cui costo di riparazione lievitò da 11,6 milioni di dollari a 163 milioni. Von der Leyen ammise: «Dobbiamo fare molto meglio, abbiamo commesso degli errori».L’eurodeputata tedesca Christine Anderson ha annunciato ieri in un breve video su X che presenterà una risoluzione per fermare la rielezione di Ursula e chiederà la continuazione delle indagini penali. «Signora von der Leyen, è giunto il momento che le venga mostrato il cartellino rosso e sia rimossa dall’incarico». Se dunque tutti i pronostici dicono che oggi Ursula sarà riconfermata, una presidente azzoppata non fa bene all’Europa. E, nel segreto dell’urna, le sorprese possono essere ancora tante.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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