2023-03-07
Anche Volkswagen scappa dall’Europa green
Dopo il colosso chimico Basf, la più importante casa automobilistica tedesca va a produrre negli Stati Uniti. Colpa delle scelte demenziali di Berlino, che ha imposto all’Ue un Recovery fund in salsa ambientalista: oltre che costoso si sta rivelando inutile.Dopo il colosso chimico Basf, pure Volkswagen, la più importante casa automobilistica teutonica, va a produrre negli Usa. Colpa delle scelte demenziali di Berlino, che ha imposto all’Ue un Recovery fund in salsa green e favorevole ai tedeschi. Uno sforzo enorme, ma anche inutile. In quello di cui sto per scrivere, per la prima volta mi tocca dividere il becco dal bastonato, che solitamente si mettono assieme. Qui il becco è la Germania, i bastonati sono altri Paesi europei tra i quali l’Italia. La Germania è responsabile di entrambi.Ditemi voi se riuscite a trovare una logica o una parola che possa raccontare quello che sta succedendo in Germania (e in Europa). Per sostenere i Paesi europei nella crisi post pandemia ed energetica l’Europa ha creato il Recovery fund, influenzato molto dalla Germania soprattutto per la transizione ecologica, a favore della propria industria automobilistica. E così fecero gli Stati Uniti con 1.000 miliardi. Sempre gli statunitensi hanno messo sul tavolo altri 370 miliardi di dollari per attenuare gli effetti dell’inflazione, l’Ira (Inflation reduction act). L’Europa sembra abbia deciso di rispondere ma prima che si mettano d’accordo magari l’inflazione sarà già calata, visti i tempi del Recovery plan. La Volkswagen, che doveva aprire un nuovo sito produttivo in Germania, investendo 2 miliardi di euro con la creazione di 4.000 nuovi posti di lavoro, ha deciso di andare a costruirlo negli Usa, nel South Carolina dove realizzerà Suv e pickup Scout. Partiranno nel 2026, producendo 200.000 esemplari l’anno. Alla fine qual è il nome di tutta questa catena di fatti? Semplice: si chiama convenienza per la Volkswagen.Non stiamo parlando di una delocalizzazione di una piccola o media impresa tedesca in un Paese dell’Est. Stiamo parlando di una casa automobilistica della quale potremmo dire quel che si poteva dire della Fiat in Italia: la Volkswagen, nata nel 1937 sotto il nazionalsocialismo di Adolf Hitler, è parte importante della storia industriale ed economica e sociale del popolo tedesco (Volkswagen vuol dire «auto del popolo»). Tra l’altro questo accade dopo la migrazione di un altro gigante tedesco, la Basf. Un’impresa agisce esattamente come il mercato: va dove gli conviene di più andare. Per questioni burocratiche, per questioni di incentivi di vario tipo tra i quali quelli fiscali e quelli costituiti da dazioni di denaro a fondo perduto o a condizioni molto convenienti, velocità di approvazione dei nuovi siti produttivi e di tutto ciò che comporta, cioè il tempo che trascorre tra la presentazione del progetto da parte dell’azienda e il via ai lavori da parte dell’autorità pubblica. Perché non farlo in Germania con tutti i quattrini che ha preso con il Recovery (più altri 200 miliardi messi sul piatto dalla Germania senza nessun accordo con gli altri Stati membri)? Perché, evidentemente, tutto considerato, chi decide al vertice dell’auto del popolo ha ritenuto che fosse più conveniente traslocare negli Usa. Ci sono certamente altri motivi che tra poco indicheremo, ma non si può non pensare che il confronto tra il Recovery europeo e l’Ira - il provvedimento Usa per combattere l’inflazione) sommato a una valutazione dei tempi burocratici europei e quelli americani abbiano giocato un ruolo fondamentale. Del resto sono innumerevoli le testimonianze di imprenditori italiani che, durante la crisi, negli Usa, hanno trovato aiuto dagli Usa stessi sia in termini qualitativi sia in termini di semplicità e velocità degli interventi.Come poi ha osservato Gianclaudio Torlizzi, riconosciuto a livello internazionale tra i migliori esperti sulle commodities, le politiche climatiche europee rappresentano un fattore di rialzo dei prezzi dell’energia sia perché disincentivano la generazione di energia da fonte fossile (notare che il governo tedesco, con i Verdi al suo interno, sta riattivando le miniere di carbone), sia perché affidano troppo peso alle fonti rinnovabili che dipendono dalle dinamiche meteo (vedi il vento per le pale eoliche). Insomma, un vero e proprio guazzabuglio al crocevia tra interessi nazionali divergenti con posizione privilegiata per i Paesi più forti, ideologie verdi di vario tipo che non tengono mai in conto i reali effetti sull’economia di scelte in materia ambientale, un piano di aiuti tardivo, scarso, mal congegnato, di complessa applicazione tanto che alla fine, a bassa voce, lo ha ammesso anche qualche commissario europeo, sostenendo che in effetti forse qualcosa va cambiato. A queste parole è seguito il nulla più assoluto.Riepilogando. La Germania ha voluto che la maggior parte del Recovery andasse indirizzato e speso per transizione ecologica, soprattutto nel settore automobilistico verso l’elettrico. Ha voluto un Recovery tagliato su misura (la sua). Alla fine la Volkswagen ha detto ciao a Olaf Scholz e ha preferito rivolgersi a Joe Biden. Qui, a questo punto, più che un Recovery plan ci vuole un ricovero d’urgenza dell’Ue che fa cose inutili, non c’è come interlocutore politico-diplomatico nelle questioni importanti, come la guerra russo-ucraina, quando fa le cose le fa tardi e male e chi la guida - la Germania - si trova pure becca per opera della Volkswagen. Proprio un bel quadretto.
Leonardo Apache La Russa (Ansa)
Nessuna violenza sessuale, ma un rapporto consenziente». È stata archiviata l’indagine a carico di Leonardo Apache La Russa e l’amico Tommaso Gilardoni, entrambi 24enni, accusati di violenza sessuale da una di ventiduenne (ex compagna di scuola di La Russa jr e che si era risvegliata a casa sua).
Nel riquadro, Howard Thomas Brady (IStock)