2025-05-15
I volenterosi cercano di arruolare il Papa
Keir Starmer, Emmanuel Macron e Friedrich Merz (Ansa)
L’invocazione del Santo Padre durante la recita del Regina coeli per un’intesa duratura sul conflitto ucraino ha scatenato i commentatori, che hanno provato a mistificare il senso delle sue parole. Ignorando però i fondamenti della storia cattolica.di Pietro Dubolino, Presidente di sezione emerito della Corte di CassazioneÈ bastato che il Papa Leone XIV, nelle parole con le quali ha accompagnato, domenica scorsa, la recita del Regina coeli, invocasse, per l’Ucraina, una «pace giusta», oltre che «autentica e duratura», per far sì che taluni dei nostrani commentatori politici, allineati e coperti sulle posizioni della baronessa di ferro Ursula Von der Leyen e dei «volenterosi» d’oltralpe e d’oltre Manica, lo arruolassero d’ufficio - rimarcandone il presunto distanziamento dalle posizioni a suo tempo assunte da papa Bergoglio - tra coloro per i quali la guerra può finire solo a condizione che la Russia sia costretta - non si sa bene come - a rinunciare a pressoché tutti i frutti di quella che, finora, piaccia o non piaccia, è stata la sua sostanziale vittoria sul campo. È questo il caso, ad esempio, di Claudio Cerasa, che, su Il Foglio del 12 maggio scorso, afferma che le parole del Papa sarebbero da intendere, in ultima analisi, come un incoraggiamento a «difendere l’occidente dai suoi aggressori»; o di Matteo Matzuzzi, che, sempre su Il Foglio, scrive, il giorno successivo, che quella del Papa sarebbe stata una «totale adesione alla causa dell’aggredito», in continuità con quanto egli avrebbe già in precedenza chiaramente affermato in un video, di cui si riporta il contenuto, risalente a circa tre anni fa. Sulla stessa linea si pone il commento comparso su La Stampa del 12 maggio scorso, a firma di Stefano Stefanini, secondo cui il Papa avrebbe inteso inviare «un messaggio diretto a Vladimir Putin», in quanto da considerarsi, per la sua dichiarata disponibilità all’apertura di negoziati non accompagnata, però, dall’adesione alla proposta di una tregua incondizionata di almeno trenta giorni, come «il principale ostacolo alla pace». In buona sostanza, quindi, seguendo questa interpretazione, si dovrebbe concludere che anche per il Papa, a fronte del rifiuto dell’aggressore di acconsentire ad una «pace giusta», sarebbe legittimo e doveroso continuare a combatterlo pur senza alcuna ragionevole speranza di vittoria. In realtà, a confutare una tale interpretazione, potrebbe già bastare il richiamo al primo, breve discorso pronunciato dallo stesso Leone XIV, appena dopo la sua elezione, dalla loggia delle benedizioni; discorso in cui quella che si invocava per tutti era una pace «disarmata e disarmante». Difficile, quindi, sostenere che la «pace giusta» da lui auspicata per l’Ucraina possa essere quella alla quale altri vorrebbero, più o meno velleitariamente, che si giungesse mediante la forza delle armi. Ma, volendo andare più in profondità, deve ritenersi che il concetto di «giustizia» al quale il Papa, senza ulteriori specificazioni, ha inteso richiamarsi (al di là dei suoi possibili, personali convincimenti, presenti o passati, sulla guerra in corso) non possa ridursi a quello secondo cui chi è dalla parte della ragione deve necessariamente prevalere su chi è dalla parte del torto. Nella tradizione giudaico-cristiana, infatti, fatta propria dalla Chiesa cattolica (e dalla quale Leone XIV non sembra certo volersi distaccare), la nozione di «giustizia» coincide in primo luogo con quella di conformità alle imperscrutabili volontà di Dio, nella misura in cui si rendano conoscibili, e, solo in via subordinata, con l’auspicabile conformità a regole di diritto, ivi comprese quelle del diritto internazionale. Una pace «giusta», quindi, può essere, in tale ottica, anche quella che scaturisca dalla riscontrata impossibilità di respingere un’ingiusta aggressione con una sia pur minima possibilità di successo. In tal caso, infatti, la guerra contro l’aggressore si tradurrebbe in un inutile e, pertanto, sommamente «ingiusto» sacrificio di vite umane. Esemplare, al riguardo, può considerarsi la decisione del papa Pio IX che, il 20 settembre 1870, pur a fronte di quella che era una evidente, ingiusta aggressione posta in essere dal Regno d’Italia per impossessarsi della città di Roma, che era ancora la capitale dello Stato pontificio, vietò, ritenendola inutile, ogni effettivo tentativo di resistenza alle soverchianti forze dell’aggressore. E può anche ricordarsi che, come riportato dal teologo e filosofo Romano Amerio nel capitolo del suo libro «Iota unum» dedicato alla guerra, il papa Pio XII, in un pubblico discorso tenuto il 19 ottobre 1953, affermò che «si può avere l’obbligo di subire l’ingiustizia» qualora, dovendosi ricorrere, per combatterla, ad una guerra, «i danni da essa prodotti non siano comparabili a quelli dell’ingiustizia». Il che, del resto, non faceva che anticipare quanto ora si legge al punto 2309 del Catechismo della Chiesa cattolica, pubblicato nel 1992, secondo cui anche la guerra di difesa contro l’aggressore, per essere legittima, deve avere «fondate condizioni di successo» e non provocare «mali e disordini più gravi del male da eliminare». D’altra parte, anche a prescindere da qualsivoglia riferimento a principi di natura religiosa, è proprio il concetto di «pace giusta» ad essere, in sé e per sé, privo di fondamento logico, se fatto dipendere da quello che si assuma debba essere l’esito necessariamente vittorioso di una «guerra giusta», quale può essere quella che si affronta per opporsi ad una ingiusta aggressione. In tal modo, infatti, si configura una sorta di indebita e assurda equiparazione tra la guerra ed una controversia giudiziaria, quasi a pretendere che chi si presume sia dalla parte della ragione, così come ha diritto di vedersela riconosciuta dal giudice della controversia, la cui pronuncia è dotata della forza vincolante conferitale dallo Stato, abbia anche analogo diritto all’esito della guerra alla quale si sia visto costretto per difendersi dall’aggressione, pur quando, per sua disgrazia, sia stato quest’ultimo il vincitore. Piaccia o non piaccia, infatti, la guerra si risolve, per sua natura, solo all’esito del confronto di forze fra i belligeranti, indipendentemente da quale, fra i due, sia da ritenersi nella ragione o nel torto. E quando, da quel confronto, uno dei due non abbia, realisticamente, più nulla da sperare, il rifiutarsi di prenderne atto non può che aggravare la sua posizione. Lo capirebbe un bambino, ma non sembrano, finora, in grado di capirlo né il presidente ucraino Volodymyr Zelensky né i suoi, più o meno «volenterosi», amici e alleati europei. Chissà se, a farglielo capire, possa magari contribuire, insieme al presidente Usa Donald Trump, proprio quell’altro americano che ha preso recentemente alloggio in Vaticano.
Luca Zaia intervistato ieri dal direttore della Verità e di Panorama Maurizio Belpietro (Cristian Castelnuovo)
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