2025-05-18
Dai sogni di dominio ai grandi affari. Cosa nasconde il quartetto Weimar
Da sinistra: Donald Tusk, Friedrich Merz, Emmanuel Macron e Keir Starmer (Getty Images)
Approfittando del disimpegno Usa, inglesi e francesi mirano a sfruttare la leva militare per avere l’egemonia nel continente. I teutonici non intendono farsi scalzare. La Polonia, filoamericana, vuole il nucleare schierato.Ci sono un inglese, un francese, un tedesco e un polacco. Non è una barzelletta e speriamo non sia nemmeno l’incipit di una tragedia. È la coalizione dei volenterosi, lanciata da Keir Starmer ed Emmanuel Macron due mesi fa, con quattro obiettivi ufficiali: fornire aiuti militari all’Ucraina indipendentemente dall’eventuale disimpegno americano; imporre condizioni «giuste» di pace; incrementare le difese di Kiev; vincolare una serie di Paesi (finora una trentina, a quanto pare) a offrire garanzie di sicurezza alla nazione invasa dai russi. Se necessario e nonostante i goffi tentativi di rimangiarsi dichiarazioni limpide, inviando truppe. Con modalità da definire: forse non lungo la linea del fronte; in Ucraina occidentale, o appena al di là dei suoi confini. Ma cosa vogliono davvero i volenterosi? Per quale motivo soffiano sul fuoco? Perché l’altro ieri, mentre la delegazione di Volodymyr Zelensky definiva «importante» il risultato dei colloqui con i nemici a Istanbul, dai rappresentanti della nuova alleanza partiva la richiesta di farla «pagare» a Vladimir Putin?Gli interessi in ballo, per i leader del gruppo che coincide con Weimar +, vanno oltre il dossier ucraino; chiamano in causa il futuro assetto del Vecchio continente. E le ambizioni dei partner coincidono a tal punto che è lecito chiedersi se, o fino a quando, sarà possibile farle coesistere.QUI LONDRANon è un caso che l’iniziativa sia partita da Starmer e che sia stata condivisa con Macron: tanto il Regno Unito quanto la Francia intravedono, nell’allontanamento strategico degli Usa, l’opportunità di sfruttare la leva militare per acquisire la leadership in Europa.Washington ha da tempo spostato il proprio baricentro geopolitico nell’Indo-Pacifico; l’amministrazione Trump, con i consueti modi spicci, ha solo accelerato un processo già in atto, insistendo sul contributo degli alleati alle spese Nato e chiedendo che essi diventino più autonomi. Questi ultimi ne hanno approfittato, più che per investire nel Patto atlantico, per costruire contenitori alternativi alle istituzioni multilaterali esistenti. Era inevitabile che gli Stati più forti in termini militari si intestassero la guida di tale trasformazione, che al momento si sta strutturando anche tramite accordi bilaterali di mutua assistenza al di fuori dei trattati già in vigore. L’Inghilterra, peraltro, è ormai estranea pure all’Ue. E nonostante al governo ci sia la sinistra, si sta armando a colpi di tagli al welfare per oltre 7 miliardi di euro. Ecco spiegato perché è così utile agitare lo spauracchio russo.Ma davvero i programmi di Uk e Francia potranno correre in parallelo? O si produrrà una competizione tra le uniche due potenze nucleari europee? E quella che adesso appare come una rinnovata collaborazione post Brexit con Bruxelles, quando diventeranno esplicite le mire egemoniche di Londra, alimenterà nuove discordie?QUI PARIGIDal punto di vista di Macron, la guerra, finché rimane sulla carta, è un’opportunità. Politica, anzitutto: il suo appeal presso gli elettori è minimo e, dopo le batoste rimediate in Africa, concentrarsi sulla frontiera orientale del Vecchio continente è un modo per ravvivare i sogni di grandeur. C’è poi una chance economica: si allargherebbe il business dei colossi dell’industria della Difesa e dello spazio, che aspirano a competere pure con gli Usa (di qui, ad esempio, la spinta a privilegiare i satelliti in house rispetto a quelli di Elon Musk). Euronext, la società francese dei listini, provvederà intanto ad affiancare le aziende che fabbricano armamenti e vogliono quotarsi in Borsa. Certo, l’abbattimento di un Rafale venduto agli indiani da parte di un caccia cinese dell’esercito pakistano, nella guerra lampo tra Delhi e Islamabad, è una grossa sbavatura nei disegni di Parigi.QUI BERLINOIn più, nella contesa per l’egemonia continentale, la Germania non ha alcuna intenzione di sfilarsi. La riforma costituzionale che consente a Friedrich Merz di spendere 1.000 miliardi per rinnovare le forze armate, a prescindere dal piano Ursula, dimostra che, adesso, i tedeschi sono intenzionati a riconvertire la natura della propria influenza: dal soft power all’hard power. Anche al fine di bilanciare l’attivismo francese.Per tutti e tre gli attori principali, è fondamentale conservare un elevato livello di allarme: si devono vincere le resistenze culturali dell’opinione pubblica e si dovrà rendere conto di possibili sforbiciate alle spese sociali, alla inglese.In aggiunta, la postura aggressiva dei teutonici, sulla quale il vecchio cancelliere, Olaf Scholz, aveva delle riserve (si pensi al rifiuto di consegnare i Taurus all’Ucraina), è stata quasi del tutto abbandonata dal successore cristiano-democratico. Stiamo assistendo a una rivoluzione degli assetti emersi dalla seconda guerra mondiale. Ma nessuno, nell’Ue del «pilota automatico», si pone il problema. QUI VARSAVIALa Polonia è tradizionalmente la più filoamericana delle nazioni europee. E pure una delle più antirusse, insieme ai Baltici: ha già alzato al 5 la percentuale della ricchezza totale riservata al settore della Difesa. La politica del premier, Donald Tusk, che ha riesumato il format di Weimar dopo le titubanze del governo euroscettico, risponde forse alla preoccupazione per il montante disinteresse della Casa Bianca nei confronti delle sorti dell’Europa. In gioco, di nuovo, ci sono gli affari: il Paese ha un legame industriale con la Germania e potrebbe beneficiare, almeno di riflesso, degli investimenti tedeschi. Dopodiché, se è vero quanto annunciato qualche sera fa da Macron, i polacchi potrebbero ottenere il dispiegamento delle atomiche francesi sul loro territorio. In fondo, la contesa per il primato in Europa si giocherà su vari piani: tipo la rincorsa, cui già si stanno sfidando Downing Street e l’Eliseo, a chi diventerà l’interlocutore privilegiato del presidente americano. Ma anche i tentativi di mostrare chi ce l’ha più grosso. L’ordigno.