Davanti alle telecamere si stringono la mano. Ma dietro le quinte, se ci sono da spartirsi quote di potere reale, si guardano in cagnesco. Stiamo parlando di Manfred Weber, Ursula von der Leyen e Friedrich Merz: tutti figli della stessa casa madre, quella Cdu che per decenni è stata la potente «balena bianca» teutonica, ma che Angela Merkel ha lasciato letteralmente in macerie. Macerie su cui i conservatori tedeschi vorrebbero iniziare a ricostruire. Eppure il tridente, a quanto pare, non gioca per la stessa squadra.
Di queste tensioni abbiamo avuto un saggio ieri. Nel suo intervento alla plenaria di Strasburgo, Manfred Weber ha squalificato il formato E3, ossia il tavolo Germania-Francia-Regno Unito che, negli ultimi mesi, ha moltiplicato gli sforzi per sostenere l’Ucraina anche sfidando Washington. «Mi chiedo: di quale Europa abbiamo davvero bisogno? Quale Europa sarebbe in grado di rispondere alle sfide di oggi?», si è domandato retoricamente il presidente del Partito popolare europeo (Ppe). «Per esempio», ha aggiunto, «chi parla a nome dell’Europa? Ho visto che i Paesi dell’E3 si stavano riunendo: Germania, Francia, Gran Bretagna. Rispetto tutte queste nazioni, ma devo dire che quella non è la mia Europa. Quando parlano loro, non è la mia Europa».
Difficile non ravvisare in questa bordata un attacco neanche troppo velato a Friedrich Merz. A cui, peraltro, Weber ha contrapposto la presidente della Commissione, che con Merz non è mai stata in rapporti idilliaci: «Ursula von der Leyen, la presidente della Commissione nominata da tutti i leader, da tutte le nazioni, e che ha anche avuto un chiaro mandato in questo Parlamento europeo liberamente eletto, è per me la voce di questa Unione europea. Ecco perché dobbiamo rafforzare il suo ruolo, per avere una vera voce europea», ha affermato il boss dei popolari. Parlando poco prima che l’asse con Ecr sulla legge anti-deforestazione, con cui è stato attenuato uno dei pilastri del Green deal, sopprimesse di nuovo la maggioranza Ursula all’Eurocamera.
Insomma, dopo anni di marginalizzazione imposta dai suoi compagni di partito, Weber ha deciso che è arrivato il momento di rialzare la testa. Mentre Merz fa ancora fatica a imporsi come un cancelliere autorevole e Von der Leyen viene costantemente bypassata dai leader di Berlino, Parigi e Londra, il presidente del Ppe sta provando a recuperare posizioni e peso politico. E lo fa seminando zizzania tra i due caporioni dell’ormai defunta Cdu merkeliana: da una parte Ursula, che della Merkel era delfina e a cui deve tutto, e dall’altra Merz, che si è fatto una carriera contrapponendosi proprio all’ex cancelliera.
Tra Merz e la Von der Leyen, del resto, non è mai corso buon sangue. La presidente della Commissione ha costruito la sua leadership europea evitando di schiacciarsi sulle posizioni della Cdu, mentre Merz - prima da leader dell’opposizione, ora da cancelliere - ha più volte contestato la sua gestione dei grandi dossier, in particolare immigrazione, transizione verde e politica industriale. La tensione è emersa anche quando Ursula si è candidata per un secondo mandato alla guida della Commissione: sostanzialmente costretta a negoziare il sostegno di Merz, ne ha ottenuto l’appoggio, è vero, ma solo dopo che quest’ultimo aveva esplorato tutte le possibili alternative made in Cdu. Per Merz, d’altronde, Ursula incarna quella visione troppo burocratica dell’Europa, distante dalle priorità dei governi nazionali. Per la Von der Leyen, invece, l’attuale cancelliere incarna una Germania con eccessive smanie di protagonismo.
In questo quadro, Weber gioca una partita tutta sua. Da anni incistato nel cuore del Parlamento europeo, ha provato a riaffermare il ruolo dei popolari come vero baricentro politico dell’Unione. La sua rivalità con Merz è antica: l’ascesa di quest’ultimo alla guida della Cdu lo ha privato di una sponda nazionale forte e ne ha indebolito la leadership all’interno del Ppe. Dopo le europee, però, Weber ha riconquistato spazio, diventando il principale interprete di una linea più conservatrice ma pienamente europeista. Insomma, la mossa di ieri non è altro che l’ennesima tappa di una faida familiare.







