2025-06-16
Le banderuole della guerra
Emmanuel Macron e Keir Starmer (Getty Images)
I «volenterosi» leader di Francia e Regno Unito fino a ieri facevano a gara a condannare Bibi in nome di Gaza. Ora che è scoppiato il conflitto tornano alleati. Sperando che Gerusalemme combatta l’estremismo islamico. Fino a pochi giorni fa la Gran Bretagna valutava sanzioni contro Israele per la guerra a Gaza. Mentre alla fine di maggio Emmanuel Macron sosteneva che Benjamin Netanyahu andava fermato e dichiarava che il blocco degli aiuti ai palestinesi attuato dall’esercito di Tel Aviv era - letteralmente - una vergogna. Ma a Keir Starmer e al presidente francese sono bastate poche ore per cambiare idea. Da quando l’aviazione israeliana ha iniziato a bombardare Teheran e il regime iraniano ha risposto con una scarica di missili che hanno colpito Haifa, Gerusalemme e la capitale economica del Paese, sia il premier britannico che l’inquilino dell’Eliseo si sono affrettati a manifestare tutta la loro solidarietà nei confronti di Israele, dicendosi disposti a intervenire in sua difesa.Ovviamente la politica è l’arte del possibile e soprattutto della capacità di tenere il piede in due scarpe. Tuttavia, è difficile non sorprendersi per la evidente contraddizione tra le precedenti critiche a Netanyahu a causa dell’offensiva a Gaza (con la proposta di isolare il Paese e di sanzionarne i ministri) e l’appoggio allo stesso governo di Netanyahu per la guerra scatenata contro gli ayatollah. Se Israele è il male assoluto, come lasciavano intendere fino a ieri i due «volenterosi», non può essere il Paese da aiutare e salvare come dicono ora. La verità è che il prima e il dopo di Gran Bretagna e Francia mettono in evidenza le contraddizioni dell’Occidente quando si parla di guerra, ma soprattutto quando si affronta il tema del Medio Oriente. Ovviamente non si possono mettere sullo stesso piano Gaza e l’Iran, anche se ciò che sta accadendo da un anno e mezzo a questa parte nel fazzoletto di terra in cui vivono i palestinesi ha molto a che fare con il regime teocratico di Teheran. Sono stati i pasdaran a imprimere una torsione fondamentalista e islamica alla causa della Palestina. Loro, cioè i miliziani iraniani, a sostenere i terroristi di Hamas, spingendo il movimento fino alle estreme conseguenze, ovvero alla strage del 7 ottobre. Tuttavia non è questo il punto. Semmai la questione è che se si ritiene Israele responsabile di un genocidio, poi si fa fatica a sostenere lo stesso Israele per una guerra su un altro fronte. A meno di non coltivare una politica dei due forni, o se volete un’arte della convenienza, che consenta di sostenere lo stesso soggetto a seconda di chi difende meglio i propri interessi. In parole semplici, si tratta di opportunismo politico. O forse qualche cosa di più, perché aiutare Israele a decapitare la Repubblica islamica significa soprattutto aiutare sé stessi. È indubbio che l’Iran abbia finanziato per anni i movimenti terroristici ed è altrettanto certo che Francia e Gran Bretagna, pur avendo ospitato in passato gli esuli di Teheran in fuga dalla polizia segreta dello Scià di Persia (Khomeini prima di rientrare in patria con la rivoluzione per anni soggiornò a Parigi), hanno dovuto fare il conto con attentati e infiltrazioni. Dunque, se oggi Netanyahu fa il lavoro sporco di eliminare dalla faccia della terra i vertici di uno Stato canaglia che da oltre 40 anni fa paura al mondo, all’Occidente non dispiace, perché ci sono bombe e bombe. Quelle di Putin sono da contrastare, quelle per radere al suolo i siti militari di Khamenei invece sono da guardare con favore, perché levano le castagne dal fuoco a Europa e America.Non voglio assolutamente legittimare i bombardamenti di Mosca sull’Ucraina né delegittimare quelli israeliani sull’Iran. Capisco che l’Occidente, come la stessa Gerusalemme, guardi con terrore alla possibilità che gli ayatollah abbiano tra le mani l’atomica. Però mi colpisce la doppiezza, il binario su cui corrono le reazioni di alcuni Paesi, i quali sanno bene che il convoglio che viaggia sulle rotaie è uno solo e va in un’unica direzione. A Francia e Gran Bretagna (ma anche a Stati Uniti, Italia, Germania e Spagna) fa comodo che si elimini un pericolo come quello costituito dal regime iraniano, però preferiscono non esporsi troppo in favore di Israele. Criticano il suo governo per ciò che fa a Gaza, ma oltre alle dichiarazioni di rito, agli annunci di sanzioni che non ci sono e non ci saranno, non vanno. Perché in fondo Israele fa comodo a tutti. Non li costringe a intervenire per fermare i piani nucleari di Khamenei, perché a quelli pensa l’odiato Netanyahu. Il quale, pur se inseguito da un mandato di cattura emesso dal tribunale penale dell’Aja, alla lunga è utile come argine al fondamentalismo islamico. È lui che ci mette la faccia, lui che schiera l’esercito, lui che si prende i missili. Mentre Macron e Starmer si limitano a gonfiare il petto con baldanzosi proclami.