2020-12-14
«Vogliono cancellare i papà. Premiato perché mi oppongo»
Ernesto Emanuele (iStock)
Ambrogino d'oro al presidente dei separati cristiani, Ernesto Emanuele: «Mi batto da 30 anni, la legge deve riconoscere anche agli ex mariti gli stessi diritti che attribuisce alle ex mogli».Il 7 dicembre gli hanno conferito l'Ambrogino d'oro, la più importante benemerenza del Comune di Milano, come il «papà» dei separati. Ma Ernesto Emanuele, 86 anni, è anche il padre delle famiglie separate cristiane (si chiama così una delle tante associazioni alle quali ha dato vita) e anche dei figli che subiscono le scelte dei genitori divisi. O forse il nonno, data l'età. Ma lui preferisce richiamare sempre la figura del padre, il grande assente dalle famiglie, dalla società, dalla legge e perfino dalla motivazione dei premi. «Nella bozza predisposta dal Comune», rivela, «non si faceva neppure riferimento ai padri».E che cosa si diceva?«Si parlava soltanto dell'associazione delle Famiglie separate cristiane. Ma io tenevo anche all'associazione Papà separati».Che cosa ha fatto?«Erano in tempo per correggere e mi sono permesso di farlo notare. Sono stato accontentato e così sono stato doppiamente onorato».Perché i padri non erano citati?«Magari è stata una semplice trascuratezza».Il politicamente corretto vieta di parlare dei padri?«Meglio premiare le famiglie in generale, senza sottilizzare sul sesso dei genitori. Comunque, nella motivazione dell'Ambrogino d'oro si parla di papà, e ne do atto al Comune. Come ho scritto ai nostri associati, ringraziandoli, questo riconoscimento “è per le migliaia di persone che da oltre 30 anni collaborano per ascoltare, accogliere e accompagnare i separati. Ci dobbiamo sentire tutti orgogliosi, sia chi ha dedicato all'associazione qualche decina di minuti, sia chi ha dedicato tante ore"».Si aspettava l'Ambrogino?«La notizia mi è arrivata da Filippo Barberis, capogruppo Pd in Consiglio comunale, che aveva trovato la convergenza della Lega. È stato il Pd a fare il mio nome, anche se per le nostre battaglie, da Bibbiano alla chiusura delle case famiglia, spesso siamo su fronti opposti: finalmente il centrosinistra si è accorto che esistono anche i padri separati, oltre alle madri». Da che famiglia viene?«Sono nato a Parma. Mio padre siciliano, importante scienziato in campo alimentare, era un uomo tutto d'un pezzo, mia madre una donna emiliana aperta e cordiale. Ho preso da lei la facilità di stringere rapporti. Erano diversi ma complementari, una coppia unita e affiatata. Mio padre era anticlericale vecchio stampo e per molti anni, come diceva lui, “i preti non entravano in casa nostra". Quand'ero piccolo, nel periodo in cui fummo sfollati per la guerra, abitavamo proprio vicino alla parrocchia. Il sacerdote si faceva in quattro per stare vicino alla gente e subì il rastrellamento tedesco assieme a mio padre, il cui antico anticlericalismo calò, senza mai cessare».Lei è un convertito?«Assolutamente no: la fede è sempre stata presente nella mia vita. Nel tempo ho avuto vari incontri con scrittori cristiani, ma soprattutto con persone che vivevano il Vangelo».Che studi fece?«Sono ingegnere e ho anche dato tutti gli esami della facoltà di economia. Ero a un passo dalla seconda laurea, poi ho lasciato perdere perché il pezzo di carta non mi avrebbe aggiunto nulla».Dove lavorò?«In Bassetti, poi Borgosesia e quindi nel colosso Snia, del quale divenni dirigente ai tempi in cui erano amministratori delegati Cesare Romiti, che poi passò in Alitalia e poi in Fiat, e Mario Schimberni, poi presidente di Montefibre e quindi di Montedison. Di quest'ultimo guadagnai la fiducia dopo aver sistemato alcune faccende molto problematiche. Schimberni mi chiamò per una grossa consulenza in Montefibre. Alla fine degli anni Ottanta lasciai per fondare una società di consulenza aziendale».Sul sito Internet dell'associazione Papà separati, la vostra storia è riassunta in una frase: «Coincide con quella della nostra separazione e della riscoperta della paternità». A volte ci si riscopre padri solo dopo avere rotto un matrimonio?«Questo è un po' un luogo comune. Nel mio caso senz'altro non fu così. Pur essendo molto impegnato in azienda e poi avendo cominciato a fare l'imprenditore, fui sempre presente accanto ai miei figli fino a prima della separazione».Come si ruppe il suo matrimonio?«Accadde più di trent'anni fa. Fu mia moglie a chiedere la separazione. Sono ricordi molto dolorosi. Ma accadde qualcosa che mi cambiò la vita».Che cosa?«I due figli maggiori decisero autonomamente di venire ad abitare con me, prima uno e poi l'altra. Il tribunale li aveva affidati a mia moglie come la terza figlia. In Italia si usa così».Un gesto di disobbedienza?«Be', erano ancora minorenni. Ma fu piuttosto un gesto d'affetto, senza rotture, tant'è vero che tra loro sono sempre stati legatissimi, e lo sono tuttora. Poi ci sono gli altri 8».Altri 8 figli?«A me piace chiamarli così, figli a tempo. Sono amici dei miei figli ai quali voglio molto bene. Uno l'ho ospitato in casa due anni, altri tre erano compagni d'asilo dei miei: avevano tre cognomi diversi, figli di una donna che stava con un quarto uomo».Lei aveva un forte senso della paternità.«Fortissimo. È il più bel mestiere del mondo. Fu la compagnia di tutti loro a farmi capire quanto fossero profondi la solitudine e il disorientamento dei padri separati. Mi resi conto che le persone segnate dalla sofferenza di una famiglia disgregata avevano bisogno di ascolto, assistenza, vicinanza, accompagnamento. A quel tempo nessuno si occupava di questa realtà».Che cosa fece?«Decisi di dedicare tutto me stesso a questa emergenza. Nel 1989 nacque l'associazione Papà separati, da cui poi presero vita tante altre attività, come il telefono Sos separati, attivo 24 ore su 24, 7 giorni su 7, che da trent'anni riceve decine di telefonate ogni giorno. Un salvagente per moltissime persone».Alcune delle realtà associative portano l'aggettivo «cristiane».«Mi convinsi che dovevo fare qualcosa quando incontrai una persona che mi disse: “Quando mi sposai c'erano tre preti, quando mi sono separato ero completamente solo". Sono stato il primo a parlare di “separati cristiani" nella Chiesa italiana».Che accoglienza ebbe?«Nei primi anni Novanta accostare quelle due parole, separati e cristiani, era ancora un tabù nonostante che Giovanni Paolo II, nel 1983, avesse riformato il Codice di diritto canonico togliendo lo stigma di “pubblici concubini e peccatori" ai cattolici sposati civilmente o separati conviventi. Però il Forum delle associazioni familiari ci volle subito con loro».Appena nata la sua associazione?«Sì, capirono l'importanza della nostra voce. Nel 2007 fui chiamato a raccontare la mia esperienza al Family Day in piazza San Giovanni Laterano a Roma. Prima mi chiesero di preparare un appunto per Savino Pezzotta, poi mi fecero intervenire. Era quello promosso dalla Conferenza episcopale italiana, a differenza dei due successivi che poi furono organizzati da altre realtà. L'anno dopo, l'arcivescovo di Milano Dionigi Tettamanzi scrisse una lettera aperta a separati e divorziati chiamandoci “fratelli amati e desiderati". Io ero in contatto con lui da quando ancora era arcivescovo di Genova». Da «papà» dei separati italiani, lei ha condotto in questi decenni tante battaglie civili. «Sì, per esempio la legge sull'affido condiviso, la 54 del 2006, anche grazie all'impegno delle associazioni collegate. Ci battiamo perché agli ex mariti siano riconosciuti gli stessi diritti delle ex mogli in caso di separazione. Ma vogliamo anche un cambiamento di mentalità, con più sostegni alla famiglia, sia quelle unite e regolarmente sposate, sia le altre».Che c'entrano i padri separati con la fiaccolata che avete organizzato a Bibbiano con 3.000 persone?«Questa è una delle questioni che mi sta maggiormente a cuore e mi fa soffrire di più. Da metà anni Novanta mi occupo anche delle famiglie i cui figli sono stati collocati in istituti con motivazioni che non reggono. La giustizia minorile che sottrae i figli alle famiglie sulla base di accuse che spesso si rivelano senza fondamento è una delle emergenze del Paese».Che cosa chiede?«Che sia reso più trasparente e più equo il sistema di protezione dei minori fuori famiglia e siano preclusi gli istituti per tutti i minori che hanno una famiglia. Vorremmo che a Milano il Comune realizzare una “casa dei papà": in troppi finiscono sulla strada. Ho visto padri privati dei figli costretti a dormire in auto o sulla strada».Ne ha parlato a Palazzo Marino?«Sì, all'assessore Gabriele Rabaiotti. È incredibile pensare che a Milano non ci sia una casa per i papà separati quando anche a Mazara del Vallo, città ben più piccola, ce n'è una».Come iniziò questo impegno per i figli accanto a quello per i padri?«Con il caso di Sagliano Micca, una storia terribile».La riassuma.«Veniva da noi Guido Ferraro, al quale l'ex moglie non voleva fare vedere il figlio. Ferraro, la sorella e i loro genitori subirono accuse orribili. La sera prima di presentarsi in tribunale si suicidarono con i gas di scarico lasciando questo biglietto sul cruscotto: “Quattro innocenti sono costretti a uccidersi perché il tribunale di Biella non ha dato la possibilità di dimostrare la loro innocenza". Il processo si fondava sulle perizie di due consulenti: una di essi era l'allora moglie di Claudio Foti, ora indagato nell'inchiesta di Reggio Emilia sui presunti affidi illeciti a Bibbiano».Perché avete così a cuore questi casi?«Al figlio di un mio amico che frequenta le elementari hanno fatto educazione sessuale a scuola, spiegando che cos'è e come si fa un atto sessuale. È tornato a casa e a suo padre ha detto: “Io quelle porcherie lì non le farò mai". Non era maturo, ma alla scuola questo non interessa. L'educazione dei bambini va fatta in famiglia».