2023-01-17
Vivendi esce dal cda per trattare da sola con il governo le sorti della rete Tim
Arnaud de Puyfontaine (Ansa)
La mossa, apprezzata dal mercato, non preclude il disimpegno dei francesi. Che puntano a massimizzare i valori dell’asset.Con le dimissioni di Arnaud de Puyfontaine, ceo di Vivendi, dal cda di Tim, il colosso francese intende fare un passo ulteriore e prova a trattare direttamente con il governo sul tema della rete unica. L’uscita di scena dal cda di de Puyfontaine (consigliere dal 2015), infatti, non preclude a un disimpegno dei francesi (primi azionisti con il 23,75%) dal gruppo telefonico, anzi. Dopo l’uscita di Frank Cadoret dal cda lo scorso novembre e quella di ieri del numero uno della media company francese, Vivendi vuole passare dal piano meramente aziendale a quello politico. Vuole, insomma, discontinuità. Purchè al tavolo siano loro a dare le carte assieme al governo. Tanto più che Vivendi, non ha mai fatto mistero che apprezzerebbe sostituire Rossi con qualcuno di ritenuto più equilibrato agli occhi dei francesi come Massimo Sarmi, figura gradita anche al governo. Tanto che, secondo quanto risulta alla Verità, il manager francese avrebbe informato delle sue dimissioni dal cda di Tim il ministro del Tesoro, Giancarlo Giorgetti, tra i meno coinvolti nella questione all’interno dell’esecutivo. «Arnaud De Puyfontaine», spiega una nota di Tim, «ha soggiunto come, in questa fase di dialogo costruttivo fra i principali azionisti di Tim e le istituzioni sotto la guida del nuovo governo, sia fondamentale che tutte le parti siano libere di lavorare in maniera costruttiva e trasparente nell’interesse della società e di tutti i suoi azionisti. In tal senso, ritiene opportuno dedicarsi, come chief executive officer di Vivendi, a ristabilire per Tim un percorso di crescita e ad assicurare che il valore reale del gruppo e della rete, nella sua unicità, siano correttamente riconosciuti. Da ultimo il consigliere ha confermato che Tim e l’Italia restano centrali nei piani di investimento di Vivendi». L’uscita dal consiglio di amministrazione di de Puyfontaine gli consentirà insomma di muoversi con maggiore libertà sul piano politico in una fase negoziale particolarmente delicata, che vede il governo impegnato a definire i suoi obiettivi per il Paese.D’altronde l’oggetto del contendere è noto in Tim: si tratta della valutazione della rete, problema economico forse tra i più pressanti per il governo Meloni. Da un lato, infatti, c’è Vivendi che valuta la rete tra i 31 e i 34 miliardi di euro. Dall’altro c’è Cdp, che attribuisce un valore tra i 15 e i 18 miliardi. Dal canto suo, Vivendi ha investito quattro miliardi in Tim, mettendo insieme a oggi perdite per oltre tre miliardi, senza considerare che la lunga trattativa con le istituzioni per la rete unica non ha di certo fatto bene al titolo.Sulla base di queste considerazioni, i francesi spingono per una scissione proporzionale del business. Del resto, le strade sono due. C’è sempre l’ipotesi che vedrebbe la vendita dell’intera rete a Cdp (e dunque allo Stato), operazione che vedrebbe tra i protagonisti anche i fondi di private equity Kkr e Macquarie oppure c’è la possibilità che l’infrastruttura venga divisa e finisca in parte a Cdp e per la parte retail a Vivendi. Nel primo caso, l’offerta andrebbe direttamente a Tim, nel secondo i soldi dell’operazione andrebbero direttamente agli azionisti. Certo, sarebbe più facile a dirsi, che a farsi. In casi come questo, infatti, i creditori hanno 60 giorni di tempo per fare opposizione e di fatto devono essere ripagati per i debiti contratti dal gruppo. Nel caso di Tim si parla di 31 miliardi di debito, 17 dei quali in obbligazioni comprate dal mercato e che sono in scadenza nei prossimi mesi. La maggior parte di queste oggi prezzano a un valore inferiore ai 100 punti dell’emissione, motivo per cui Tim dovrebbe rimborsarli alla pari ed emettere nuovo debito con tassi maggiori. La differenza sarebbe di circa due miliardi. C’è poi il tema della conversione delle azioni risparmio. Nel caso di una scissione servirebbe un processo autorizzativo con l’ok dell’assemblea degli azionisti delle «risparmio» tutt'altro che scontato.La strada insomma è ancora molto in salita e non è dato sapere come si concluderà la partita, soprattutto ora che Vivendi non è più rappresentata all’interno della stanza dei bottoni di Tim. Di certo, il cda del 18 gennaio in cui si discuterà del piano industriale del gruppo non sarà facile, alla luce di quanto avvenuto fino ad ora. Il tempo, però, stringe, il 14 febbraio il nuovo piano andrà presentato alla comunità finanziaria. Tutto questo lascia intendere che non ci vorrà molto per capire le intenzioni di Tim e del governo sul futuro dell’ex monopolista delle telecomunicazioni. Di certo, però, il mercato sembra aver apprezzato la mossa di de Puyfontaine. Ieri il titolo Tim è salito del 3,33%. In crescita anche quello di Vivendi dello 0,86%.
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