2022-07-08
Vita ribelle del Pasolini alla vodka. Limonov tra arte, politica e guerra
Eduard Limonov (Pier Marco Tacca/Getty Images)
Lo scrittore russo ha avuto un’esistenza romanzesca che lo ha portato a combattere in Bosnia, a trafficare armi, a fondare un partito nazionalbolscevico, ma anche a diventare un caustico critico della nostra civiltà. «I francesi, i tedeschi, gli americani da tempo non hanno più nessuna energia. Ho avuto molte occasioni per convincermene. Non sentono più la vita. Il futuro appartiene ai talebani, ai turchi, basta guardare come se le danno, ai curdi, a tutta questa folla selvaggia di individui sospetti che gli europei disdegnano e non capiscono. L’Europa è già morta, stanca e profondamente cambiata, perciò tutte quelle splendide fichette di rue du Petit Musc è inutile che sbattano le ciglia. Ci vorrebbe un ceceno che gli s’infili nelle mutande per insegnar loro a rigar dritto».Eduard Limonov è un po’ l’improbabile somma di Arthur Rimbaud e Jean Genet, con un po’ di Pasolini e un po’ di Céline. Ma è in realtà un personaggio inclassificabile, che non trova posto in nessuna casella di una qualsivoglia tavola di Mendeleev! Poeta e teppista, vagabondo e maggiordomo, miliziano filo-serbo durante la guerra di Bosnia, dandy dissidente, cane da guerra, oppositore nel cuore, pazzo della letteratura, amante delle donne e delle risse, oppositore e poi sostenitore di Putin, tutta la sua vita alla vodka è un romanzo incredibile in sé.Eduard Veniaminovich Savenko, conosciuto come Eduard Limonov, nacque nel 1943 a Djerzhinsk, una città industriale dell’ex Unione Sovietica, ma trascorse la sua infanzia a Kharkov, in Ucraina. Suo padre era un ufficiale inferiore dell’Nkvd. Da giovane, leggeva Jules Verne e Alexandre Dumas, e sognava avventure eroiche. Finì ben presto in una banda di teppisti responsabile di vari misfatti, come raccontò più tardi nel suo Autoritratto di un bandito adolescente e ne Il piccolo bastardo. Allo stesso tempo, frequentò la scena bohémien locale, soprattutto i circoli letterari, e comincia a scrivere le sue prime poesie.All’età di 30 anni raggiunse gli Stati Uniti, dove scrisse anche dei romanzi. Si unì ai circoli punk e delle avanguardie di New York, ma visse miseramente, spostandosi di tugurio in tugurio. Limonov si tuffò nella malavita, frequentando ladruncoli, drogati e senzatetto con i quali ebbe molte esperienze sessuali (descritte in The russian poet prefers bigger niggers), prima di trovare lavoro per qualche tempo come domestico per un milionario di New York.Nel 1980 si trasferisce a Parigi, dove si farà molti amici negli ambienti più anticonformisti, scrivendo sulla stampa comunista (L’Humanité), ma anche sulle riviste della destra radicale. Lo si leggerà anche su L’Idiot international, un foglio incendiario curato dallo scrittore Jean-Edern Hallier, dove incontrerà Patrick Besson, Philippe Sollers e Marc-Edouard Nabe. Si dichiarerà subito un «nazional-bolscevico». Durante il crollo del sistema sovietico attaccherà violentemente Gorbaciov, ma anche il gendarme del mondo americano. Scrisse quindi lo straordinario pamphlet intitolato Le grand hospice occidental, in cui paragona i paesi occidentali a dei nosocomi di cure palliative.Alla fine degli anni Ottanta lo ritroviamo nella guerra nell’ex Jugoslavia. Si impegna ardentemente con i nazionalisti serbi e si lega a Radovan Karadzic. Lo si vedrà anche in Abkhasia e in Transnistria. Nel 1994, tornato in Russia, fonda il Partito Nazional Bolscevico (Pnb) con Alexander Dugin (che litigherà presto con lui) e lancia il giornale nazionalista-rivoluzionario Limonka («Bomba a mano» in gergo militare). Nel 2001 fu arrestato per traffico d’armi e tentato colpo di stato in Kazakistan! Questo gli costò due anni di prigione.Nel 2007 il Pnb fu messo fuori legge. Tre anni dopo, Limonov si unì agli oppositori di Vladimir Putin, e lanciò il movimento Strategia 31. Cercò quindi di candidarsi alle elezioni presidenziali, il che gli valse un altro arresto.Nel 2016, la biografia romanzata di Limonov dello scrittore Emmanuel Carrère (Limonov, Pol) ha ricevuto il Prix Renaudot a Parigi e lo ha riportato alla ribalta dei media. A proposito di Carrère, Limonov dice: «Gli auguro di finir male. Tutti i grandi scrittori finiscono male!». Nell’introduzione al suo Libro dell’acqua, scritto in prigione, si chiese quali cose siano state per lui essenziali: «Ne ho scoperte solo due: la guerra e le donne».Nel maggio 2019 Limonov tornò a Parigi per l’ultima volta, desideroso di portare il suo sostegno al movimento dei gilet gialli. È già molto malato, ma continua a bere come sempre, bruciato dalla fiamma che lo ha condotto per tutta la vita. Più anti americano che mai, si dichiara solidale alle repubbliche indipendenti del Donbass e approva l’annessione della Crimea. Continua a pubblicare a tutto spiano. Muore il 17 marzo 2020 a Mosca, all’età di 77 anni. Fiero di essere sempre stato «dalla parte sbagliata». Fiero di essere sempre rimasto libero.
La maxi operazione nella favela di Rio de Janeiro. Nel riquadro, Gaetano Trivelli (Ansa)
Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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Viktor Orbán durante la visita a Roma dove ha incontrato Giorgia Meloni (Ansa)