Lo stop alle cure di Indi è dettato dalla logica del profitto. Per chi l’ha condannata, sopprimerla conviene al sistema sanitario e a lei stessa. Ma la morte della piccola serve anche da monito: in nome della presunta «razionalità», si può perfino uccidere.
Lo stop alle cure di Indi è dettato dalla logica del profitto. Per chi l’ha condannata, sopprimerla conviene al sistema sanitario e a lei stessa. Ma la morte della piccola serve anche da monito: in nome della presunta «razionalità», si può perfino uccidere.«Temete la morte per acqua», ammoniva Thomas Stearns Eliot, il più grande poeta del Novecento. La Gran Bretagna in cui nacque, oggi, è esattamente la Terra desolata che egli aveva vaticinato all’inizio degli anni Venti. Indi Gregory muore per acqua, in fondo: priva d’ossigeno, come annegata in un mondo liquido in cui la soppressione di una bambina è «il suo migliore interesse». Non sorprende nemmeno, non sorprende più. Niente di strano laddove vige soltanto la legge (è ancora Eliot) del «profitto e della perdita», cioè la regola disumana dell’economia.Qui la morte è niente altro che una scelta economica, di interesse appunto. Non conviene al sistema sanitario mantenere Indi, non conviene a lei sopravvivere poiché non può godere dei vantaggi di cui godono altri esseri umani. Sopprimerla, asfissiarla, è una scelta razionale, che garantisce a tutti un risparmio, se non altro di pena e di dolore. Nella Terra desolata d’Albione la perdita e il guadagno sopravanzano il Bene e il Male, l’economia schiaccia la politica. A nulla serve il tentativo - di diplomazia e di cuore - di Giorgia Meloni che si rivolge alle autorità inglesi, all’inutile amico Sunak, cercando una trattativa che non può esistere, perché una piccola ammalata non ha nulla da offrire se non i propri occhioni rivolti al cielo. Non serve nemmeno la concessione della nostra cittadinanza, quasi che di fronte alla morte si dovesse rimanere apolidi. Così muore una italiana, si potrebbe dire, ma Indi parole non ne ha, le manca il respiro, se ne va in silenzio. La Terra desolata è il regno della quantità, in cui conta solo ciò che è commerciabile e misurabile. Su tutto il resto si può marciare a bordo di un rullo compressore, sordi ai pianti e alle preghiere. Hanno deciso i medici, hanno detto, e altro non c’è da aggiungere se no è accanimento. Resta però che hanno sbagliato scienza: è economia, non medicina. Perché la medicina ha tenuto in vita Indi, la scienza le permette di sopravvivere. La scienza e la medicina le permettono di non avere dolore, e di sgranare gli occhioni di fronte a mamma e papà. La scienza e la medicina, al Bambino Gesù di Roma, erano pronte a fare tutto il possibile per lei. E allora quale scienza? Quale medicina? Dove sta, qui, la Santa Ragione di cui l’Occidente si fa vanto, di cui si avvolge per trionfare sulle tenebre oscurantiste della fede? Economia, non medicina. Risparmio, non speranza. Non conviene investire nel mistero, non ci sono algoritmi per contemplarlo, e ci si rifugia allora nei calcoli di bottega. Mica nobile algebra o fisica: addizioni e sottrazioni da banco dei pegni, come in quel medioevo che tanto disgusta i moderni tifosi della rivoluzione digitale. In questo schifo non c’è nemmeno la parte più pura del liberalismo, quella libertà che usiamo spesso come scusa per bombardare e generare macerie. Quale libertà è stata concessa alla famiglia di Indi? Quale autodeterminazione? Eppure l’Italia era pronta ad accogliere, era pronta perfino a pagare. E infatti non c’è neppure l’economia da Nobel, in questa vicenda. Sono sovrani il profitto e la perdita che governano l’esistenza del criminale, del mafioso: fare morire Indi conviene anche solo perché così si tiene il punto, non si cede sovranità, non si molla un grammo di potere. È, in forma diversa, la geometrica potenza del colpirne uno per educarne cento, solo che quell’uno è un fagotto di otto mesi. Resta che nella misurazione dei costi e dei benefici, nessuno ha potuto calcolare l’incalcolabile. Hanno avviato il «protocollo», così lo chiamano, e Indi resiste da ore, così che tutti possiamo osservare l’opera del capitalismo di rapina che le sta rubando la vita. Nella Terra desolata anche il più piccolo e fragile arbusto va eliminato, epperò non è facile da strappare. Come il cardo, che si piega alle intemperie ma non si fa sradicare facilmente. Comunque sia - per la meccanica soddisfazione britannica - infine anche il piccolo fiore cederà. Si farà diserbare. E ci mostrerà chi siamo davvero, qui in Occidente.Lo aveva già detto Eliot: «Non si può stare in piedi qui/ non ci si può sdraiare né sedere/ Non c’è neppure silenzio fra i monti/ Ma secco sterile tuono senza /pioggia». Tutto intorno, appaiono «volti rossi arcigni che ringhiano e sogghignano». Giustizia è fatta, economia è fatta. Ma guardiamoci un momento allo specchio nelle parole del poeta: «Colui che era vivo ora è morto/ Noi che eravamo vivi ora stiamo morendo».
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.