2024-07-25
        «Vincere Sanremo non mi fece sognare, cantai la fine del mio primo amore»
    
 
L’artista Aleandro Baldi: «Dopo il successo ero bombardato, fu un periodo intenso. Poi arrivò Andrea Bocelli e due musicisti ciechi erano troppi...».Scusate signori, una domanda. Due artisti eccellenti, con qualità diverse ma entrambe apprezzabili, accomunati dal fatto di essere toscani e privi della vista, tali sono Aleandro Baldi e Andrea Bocelli, possono convivere sui palcoscenici che contano, contendendosi gli ascolti attraverso i trampolini delle hit parade? La risposta già esiste, ed è no. Attraverso la storia di vita del cantautore Aleandro Baldi, se ne prende atto. Con Non amarmi diventò una stella e, quasi, non si capacitava che un brano così ispirato e così suo fosse diventato il cult del 1992. Poi salì alla ribalta Andrea Bocelli e il suo fu un crescendo, consacrato anche all’estero. Due non vedenti nati nella stessa terra, la Toscana. Uno di essi era di troppo. Baldi, fiorentino, fu indotto, da alti papaveri, a tornare, malinconico, ad ascoltare sogni infranti in bar di provincia. Trovò chiuse le porte dei teatri che lo avevano acclamato. Bocelli, pisano, vide invece spalancarsi, a New York, quelle del Madison Square Garden.Dove abita?«In un paesino in provincia di Firenze, Greve in Chianti».Il suo paese natale, insomma. «Sì, sì».È sposato?«Non sono sposato, non ho una compagna». Quali strumenti sa suonare?«Il basso, che è un po’ parente della chitarra, poi pianoforte e batteria». Quando è nata la passione per musica ?«La passione è nata con me, i pediatri dicevano a mia madre: “gli faccia ascoltare la musica, vedrà che…”, ma era un tentativo. A parte questo, si vedeva già che ero portato per la musica».Che professione hanno svolto sua madre e suo padre?«Mia mamma faceva la casalinga. Il babbo lavorava in un cementificio qui della zona, che ora non c’è più, dove hanno lavorato anche mio nonno e mio fratello. Ho avuto dei bravi genitori, nonostante le caratteristiche e gli sbagli». Fu scoperto dal paroliere Giancarlo Bigazzi, detto Katamar, mancato nel gennaio 2012, autore di celebri testi, tipo Rose rosse. Come lo incontrò?«Ci fu una persona che fece da tramite tra me e lui perché, ascoltando le mie prime canzoni, rimase anche lui colpito. Allora disse “conosco Giancarlo Bigazzi”. All’epoca c’erano le cassette e Bigazzi pensò di tentare di lavorare con me: quando s’inizia a collaborare con un cantante o un cantautore è sempre un terno al lotto».Quanti anni aveva quando ha scritto la prima canzone? «Ho cominciato a scrivere a vent’anni, ma la prima canzone che ho presentato a Giancarlo Bigazzi è stata Alberi, un brano di sette minuti. Allora non pensavo a Sanremo, mi piaceva il rock-progressive, Pfm e Banco del Mutuo Soccorso».Nel 1986, a 27 anni, giunse secondo nella sezione «Giovani» con un pezzo da lei scritto e arrangiato, La nave va. «Come si fa / come si fa / a poter resistere agli stimoli della competitività». «Ero molto “garoso”, cioè competitivo, ecco perché quel verso. Da bambino chiedevo ai miei genitori: “Chi va più forte? Un cane o un treno? Il cane o la volpe?”. Mi piaceva veder gareggiare gli animali e le persone e vedere chi vinceva e chi arrivava secondo». Va bene essere troppo competitivi? «Bigazzi, per questo, trovò una frase abbastanza risolutiva. Usava il termine “verificarsi”. Una sana competizione serve per verificarci, per chiederci “a che punto sono rispetto agli altri?”». «Cosa farai da grande / quando in un attimo il meglio se ne va / sognare è facile / difficile è star sveglio / io che non voglio te e tu che non mi vuoi / adesso noi siamo meteore». Versi di La curva dei sorrisi, del 1987. Era inquieto?«Non ero inquieto, ma molto curioso. A volte volevo in ogni modo soddisfare lo stimolo della curiosità e da questo poteva nascere un po’ d’inquietudine. Così sono stato fino a poco tempo fa».E adesso?«Sono sempre curioso, ma in un altro modo. Sono curioso di conoscere la persona, in quanto persona, e magari poterla io aiutare, invece di conoscere la persona e da questa succhiare». Nel 1989, agguantò il terzo posto a Sanremo nella sezione «Emergenti» con E sia così. «Lo so che ci buttiamo via […] / ma se è così / e così sia». La canzone nasceva da una storia vera?«Nasceva dal dolore per il distacco tra due persone. Anche una storia finita male con un amico la trasformavo in amore, ecco». Ha sofferto per amore?«Soffertissimo».E gratificazioni?«Sì, qualche gratificazione e soddisfazione, nel senso che quando capivo di essere troppo “edera” mi dovevo distaccare e, distaccandomi, ho avuto le maggiori soddisfazioni».Successo clamoroso a Sanremo, nel 1992, con Non amarmi, in coppia con Francesca Alotta. Testo struggente. Questa canzone nacque per essere cantata in coppia?«No no, non era nata per essere cantata in coppia. È stata la mia prima storia sentimentale dove io, in realtà, volevo mettere le mani avanti, dicendole “non amarmi perché sono un cantante”».Come fu scelta Alotta?«Non avvenne per decisione mia. Fu l’allora direttore artistico della Cgd, Mario Nanni che, visto che la mia ragazza di allora non cantava, prese lei».Come si sentì dopo quell’affermazione?«Sogni non me ne sono nati. Avevo appena terminato la storia e quindi mi sono sentito bombardato da tutte le persone che mi volevano intervistare, però, a dir la verità, ho sempre pensato: “mi servirà per allontanare il brutto momento della fine di quella storia”. È stato un periodo così intenso che avevo l’esigenza di raccogliermi in me stesso per pensare a qualcosa di veramente mio. Pur essendo la mia, stranamente, stavo parlando di una storia che non lo era neanche più». È stato lei a volere che quella storia finisse?«Per me è stato un atto di coraggio». Nel 1994 vince ancora Sanremo, con Passerà, un brano che invita a non lasciarsi ingoiare dalla velocità e a cogliere i momenti in cui nascono emozioni e canzoni. «In questo brano si evidenzia che certi mali personali nascono anche da quelli generali. È una società questa, che a volte porta anche al massacro, perché sono richieste così tante cose che a volte uno ce la fa a rispondere, altre volte si perde».Il fatto di essere diventato così famoso, le tolse il tempo per vivere le emozioni private?«Ovviamente sì, nella quantità delle persone che, dopo, ti porta a dire sempre le stesse cose, come un libro stampato». Di quell’anno anche la canzone Ti chiedo onestà. Un amore può essere tale se non c’è chiarezza e onestà tra i partner?«Secondo me no. Ma neanche un’amicizia può essere amicizia se non ci sono chiarezza e onestà». Nel 1994 uscì il suo libro autobiografico Il sole dentro. Furono anni duri quelli trascorsi all’istituto per ciechi di Reggio Emilia, che definisce «il Gabbione»?«È ovvio. Non capivo perché uno di Firenze, un bambino, dovesse andare a scuola lontano in un’altra regione».Quanti anni vi stette?«Tredici, dai 5 a 17 anni».Cosa non andava?«Come istituto era, se non il migliore, uno dei migliori in Italia ma, ovviamente, non sei con i tuoi genitori, con la tua famiglia, sei con altre persone estranee, quando avresti più bisogno della tua famiglia». Dal 2000 al 2014, ha fatto alcune cose, musica, progetti, televisione. Emerge tuttavia che la sua così promettente carriera, a un certo punto, abbia subito una frenata. «È difficile interpretare ma, probabilmente, ho avuto canzoni che mi davano come un personaggio triste. Allora, tutti possiamo essere tristi, ma forse la gente, da me, non voleva sentire la tristezza». Ma se il pubblico la adorava. Poi, nel 1994, a Sanremo giunse Bocelli, ancora poco conosciuto, con Il mare calmo della sera. E a quel festival si esibiva anche lei. «Andrea Bocelli con Con te partirò, arrivò quarto al festival di Sanremo 1995. Però, mentre io avevo una casa discografica un po’ più ostile nei miei confronti, lui aveva persone come Caterina Caselli e Tony Renis che credevano in lui e l’hanno fatto andare all’estero. Da lì ci fu il suo grande successo. E allora, avendo lui successo all’estero, in Italia si arrogarono di dire che il cantante non vedente per eccellenza è lui. Io all’estero, purtroppo non sono andato». Perché Pippo Baudo non l’ha più chiamata? «Perché la commissione di Sanremo deduceva questo: “noi, a Sanremo, vorremmo Bocelli. Aleandro non ha fatto successo nel mondo. E quindi non lo vorremmo”». Qualcuno si è fatto risentire, in seguito, per farla tornare all’Ariston?«No, non mi hanno più coinvolto».Si potrebbe ipotizzare un ritorno?«Io non lavoro per Sanremo. Probabilmente ho fatto canzoni un po’ tristi. Cerco di lavorare in maniera più allegra. Poi, se tornerò anche a Sanremo… Vedremo».Sta scrivendo canzoni?«Sto facendo molto. Ho avuto e ho dei problemi perché l’Italia è fatta anche di persone che imbrogliano, e anche noi più navigati a volte ci caschiamo».Ma non vi si poteva far convivere, lei e Bocelli?«Purtroppo in Italia, non siamo ancora maturi. La gente ha sempre bisogno di un solo leader e in quel momento, avendo fatto successo all’estero, il leader tra i non vedenti era lui. Si può dire quel che si vuole, ma è così».Lo conobbe già all’epoca?«Sì, l’ho conosciuto, abbiamo una certa amichevolezza, indipendentemente dallo star system». L’ha rivisto?«Sì, anche recentemente».Si esprime su questa vicenda?«Lui non dice niente ma forse, involontariamente, nelle mie canzoni mie, specialmente in Non amarmi, è venuto fuori un po’ di pietismo».La strofa di un suo brano, Soli al bar, dice: «Siamo tutti qua come ladri di felicità». Il mondo della canzone, a un certo punto, le ha rubato la felicità? «No, perché non me l’hai data. Insomma, alla fine della storia, la gente mi deve ancora conoscere. Non perché sia bravo, ma per la mia persona».
        «Il delitto di via Poma» (Sky Crime)
    
A 35 anni dall’omicidio di Simonetta Cesaroni, la docuserie Il delitto di via Poma su Sky Crime ripercorre il caso con testimonianze e nuovi spunti d’indagine, cercando di far luce su uno dei misteri più oscuri della cronaca italiana.
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