2025-10-27
Massimo Fini: «Ho cercato in tutti i modi di non arrivare a 80 anni»
Il giornalista: «Bevo ancora vodka, fumo e la notte frequento bettole. Milano è diventata una città di merda. Stimo la Meloni ma non voto. Il titolo del mio coccodrillo? Fu ingenuo».Bella vista.«Bella vista, un cazzo! Prima si vedevano le Alpi. Adesso un pluripremiato grattacielo a forma di diamante incombe proprio su questa stanza». Ovvero, il vissuto soggiorno di Massimo Fini: giornalista e scrittore, una vita da bastian contrario. «A Milano c’erano solo il Pirelli e la Torre Velasca. Questa trasformazione ha fatto aumentare a dismisura il costo delle case e degli affitti. La gente è stata costretta a scappare. E i pochi negozietti che restavano sono spariti. Se mi serve un martello, devo comprarlo su Amazon». Insopportabile, per un antimoderno come lei.«Sono stati cacciati i ceti popolari. Si sono trasferiti in questi non luoghi dell’hinterland, che spesso non hanno nemmeno una piazza o una chiesa». Non le piace più Milano?«È una città di merda. E non solo per l’aria mefitica. Nel dopoguerra si diceva: “Milan col coeur in man”. Eravamo tutti più o meno poveri, ma c’era solidarietà. Adesso regna l’individualismo sfrenato. Ci sono differenze insopportabili tra i ricchi del centro e i poveri delle periferie».Gli zetatiellini sono i più convinti sostenitori del sindaco, Giuseppe Sala?«Certo. Anche se questa espulsione, a dire il vero, era già cominciata prima di lui».Per l’irregolare Fini chi sono i conformisti?«Quasi tutti, ormai. Non mi piace la parola, ma c’è questo mainstream a cui bisogna sempre adeguarsi. Chi resta fuori, ha vita grama. Faccio un esempio personale: è dal 2003 che non metto quasi più piede in una televisione».Perché?«Non sono simpatico ai padroni del vapore».Cos’è successo?«Ero ospite a Ballarò, assieme a D’Alema. Dissi che la guerra in Serbia, nel 1999, non fu solo illegittima ma anche cogliona. Favorì la componente islamica dei Balcani, provocando poi le isterie alla Fallaci. Da quel momento, è scattata la congiura».Non le piaceva la Fallaci?«Umanamente, era pessima. Dal punto di vista professionale, alla fine delle sue interviste sapevi tutto di lei e nulla di Khomeini o Gheddafi». La sfida al politicamente corretto è una delle battaglie di Giorgia Meloni.«Ho stima per lei. Si sbatte molto. Parla in modo diretto, anche per le sue origini popolane. A differenza di Conte, che si esprime come un avvocaticchio. Ho un altro aneddoto a riguardo».Sentiamo.«L’ho conosciuta quando era ancora una ragazza, durante un talk. Visto che c’eravamo stati simpatici, ci siamo scambiati il numero di cellulare. Così, un paio d’anni fa, decisi di chiamarla». Come mai?«Per sfizio. Pensando che non mi avrebbe mai risposto. Era un gioco».Quindi?«Al telefono dico: “Sono tal dei tali, vorrei parlare con il presidente del Consiglio”. “Sono io”, risponde lei. Non aveva nessun filtro. Mi ha pure invitato a Palazzo Chigi. Abbiamo fatto una piacevole chiacchierata, parlando soprattutto di figli e vite quotidiane». Che impressione le ha fatto?«Ottima, dal punto di vista umano».Ed Elly Schlein?«Non capisco nemmeno chi rappresenti. Il Pd ha perso completamente contatto con la gente».Ha mai votato a sinistra?«Non ho mai votato per nessuno. Sono il vero vincitore di tutte le elezioni. L’astensionismo, ormai, trionfa».Frequenta molti politici?«Me ne sono sempre tenuto alla larga».Però è stato compagno di banco di Claudio Martelli, l’ex ministro socialista.«Al liceo Carducci. I primi tempi mi fu di grande aiuto. Per il bacchettonismo di mio padre, avevo sempre frequentato classi maschili. Grazie a lui, iniziai a incontrare le ragazze. Andavamo insieme alle feste. Ma ha ragione Tognoli: “Claudio, appena sale un gradino, distrugge tutto quello che c’è sotto”».Si negava?«Voleva che fossi al suo servizio, ma io sono nato per non essere al servizio di nessuno. Ha tentato di ostacolarmi in tutti modi, anche quando ci fu la possibilità di diventare vice direttore del Giorno. Alla fine, comunque, mi fece un favore. Nonostante tutto, conservo affetto per Claudio».Altri politici?«L’unico che ho conosciuto bene è stato Umberto Bossi, uno dei pochi ad avere pure una visione. Sapeva già allora che, con l’Europa unita, il punto di riferimento non sarebbero state le più nazioni, ma le macro regioni. Adesso stanno sempre lì, in Parlamento, a battagliare sull’autonomia differenziata».Con il Senatur eravate amici?«Bossi era quello che appariva. Gli piaceva mangiare la pizza. Una volta, durante una cena in Brianza, gli chiesi: “Umberto, tu sei più di destra o di sinistra?”. E lui: “Sono più di sinistra, ma se lo scrivi ti faccio un culo così”. Naturalmente, l’ho scritto».Lo sente ancora?«Dopo il secondo ictus, no. Agli uomini di passione, purtroppo, capitano queste cose. Scalfari, invece, è morto a novantotto anni».Perché non avrebbe vissuto di ardori?«Era un uomo di potere, un individuo freddo, un grande imprenditore. Come giornalista, però, faceva pena. Una volta chiesi a Montanelli cosa pensasse di lui. Rispose: “Non è dei nostri”. Invece, quando domandai a Bocca un parere su Indro, mi spiegò: “Gli invidio la chiarezza, la battuta, la frase elegante. Ma non penso che sia profondo”. Sono della sua stessa idea».Montanelli fece la prefazione di un suo celebre libro: Il conformista.«Andai da lui con un certo timore, sebbene non se la tirasse per niente. Gli dissi: “Guarda direttore, è molto peggio di quello che pensi. Non ti chiedo una recensione, ma una prefazione”».Cosa rispose?«“Te la devo”. Ma non mi doveva un cazzo. Montanelli era un uomo di grande eleganza, non solo nel vestire».Scrisse: «Ha le mani pulite, ed è questo che dà tanta forza alla sua frusta e insieme lo rende così inviso alla intellighenzia. Non ne rispetta le regole. Non sta al gioco».«Non ho mai accettato compromessi, sia nella vita professionale che in quella privata. Questo mi ha causato molti guai».E Vittorio Feltri?«I nostri rapporti sono cambiati quando passò dall’Indipendente, dove faceva l’iper forcaiolo, al Giornale, dove divenne iper garantista. Ogni storia, comunque, va vista nel complesso: lui nasce povero, si sposa giovane, diventa vedovo. Da questo, deriva la sua ossessione per il denaro».Lei non se ne cura, invece?«Sallusti, per passare al Giornale, mi propose otto volte quello che prendevo al Fatto. Rifiutai».Perché? «A causa del mio antiberlusconismo».Resta anche un fervente anti modernista.«Stavamo molto meglio prima della rivoluzione industriale».Ha mai usato il computer? «Sono arrivato fino alla macchina da scrivere. Ho smesso quando cominciai ad avere problemi di vista. Ora non riesco neppure a leggere».Come fa con i suoi articoli?«Il vero giornalismo è la cronaca. Adesso, invece, sono costretto a fare commenti. Se avessi occhi per vedere, potrei trovare ancora spunti per un numero infinito di articoli».Detta i pezzi?«Ho una bravissima segretaria. Quella di prima riusciva addirittura ad anticipare la mia frase successiva». E dopo?«Li rileggiamo insieme, almeno tre volte, con la punteggiatura e senza. La scrittura è come la musica. Il periodo deve scorrere liberamente, fluido e armonico. Per questo bisognerebbe prendere spunto dai cantautori».Nonostante la semi cecità, continua a essere uno scapestrato?«Bevo vodka e fumo sigarette».Nient’altro? «Vado in giro di notte assieme agli amici nelle bettole malfamate, quelle che hanno la clientela più inquietante». Con chi esce?«Detesto la compagnia dei vecchi: parlano solo di malattie e ospedali. Difatti, il mio piccolo successo con le ragazze dipende dal fatto che parlo di amore, erotismo e sesso».Fate tardi?«Anche le sei del mattino. In ogni caso, non vado a dormire prima delle tre. L’alba non l’ho mai vista, se non mentre tornavo a casa».Lei è di buona tempra.«Dev’essere una questione di genetica. Evidentemente mia madre, che era russa, mi ha dato un fisico robusto».Ha quasi ottantadue anni.«Li faccio il 19 novembre».L’avrebbe mai detto?«Ho cercato in tutti modi di non arrivarci». Un epitaffio per Massimo Fini.«Ho già detto a mio figlio che non voglio nemmeno il funerale. La mia fidanzata ha commentato infastidita: “Certo che sei un bel prepotente. Vuoi decidere tutto anche da morto”». Il titolo del coccodrillo, almeno.«Fu ingenuo».
Ecco #DimmiLaVerità del 27 ottobre 2025. Ospite Marco Pellegrini del M5s. L'argomento del giorno è: "La follia europea di ostacolare la pace tra Russia e Ucraina"
Matteo Salvini (Ansa)
«Chiederò che sul Piano casa, scoperto nel 2026, parte dei fondi arrivi con gioia ed entusiasmo da parte di un sistema, quello delle banche, che sta facendo margini notevolissimi». Così il ministro dei Trasporti, Matteo Salvini. «Non c'è nessun accanimento nei confronti delle banche. Mi limito a leggere i bilanci. Negli ultimi tre anni le banche hanno fatto 112 miliardi di euro di utili, spesso una parte di questi investimenti coperti da garanzie dello Stato e, quindi, nel caso che tutto andasse bene si va a utile, nel caso non andasse c'è lo Stato che copre e garantisce». Il vicepremier ha spiegato che la richiesta non nasce da una volontà punitiva, ma dal principio di equilibrio e collaborazione tra pubblico e privato. Secondo Salvini, le banche, dopo anni di margini record, possono contribuire concretamente a sostenere misure sociali e infrastrutturali, come il Piano casa, considerato «Una priorita' nazionale per dare risposte a chi oggi non può permettersi un alloggio dignitoso».
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